Sr. Virginia: conversione o psicosi? Alcune riflessioni

Fonte:
CulturaCattolica.it

Franco Pastore, in un testo poetico dedicato alla Monaca di Monza, così si esprime:
“Era lì / il centro / della tua vita; / ne assaporavi / il gusto‚ / con la forza / dei vent’anni. / Una rivincita / dei sensi‚/ nel godimento / che ti stordiva‚/ col battito del cuore / che ti saliva / in gola. / Bruciavi offese / millenarie‚ / dissacrando l’ipocrisia; / offrendo il corpo‚ / libero da freni‚ / a chi prendeva / l’anima‚ / suggendoti la vita. / E non fu fede / a fermarti‚ / ma / follia…” (tratta da: Franco Pastore: “Gertrude storia a confronto”).
Di fronte a questo testo, però, molteplici sono, a nostro giudizio, gli interrogativi interiori che esso suscita.
Fu davvero solo la follia che fermò sr. Virginia? Realmente non vi fu alcun intervento della fede? Nel “caso” di sr. Virginia si può o no, parlare di “provvida sventura”?
Sono queste solo alcune delle molteplici domande che sorgono nell’accostarsi alla vicenda di sr. Virginia: al suo “abissale peccato” cui, almeno secondo quanto riportano gli storici dell’epoca, fa da contrasto un’altrettanto profonda conversione seguita da un’eccelsa vita di fede.
Ma il testo poetico preso in esame sembrerebbe voler smentire questa “irruzione della Grazia” e insinuare il dubbio che le cose non andarono “realmente” così.
Ci chiediamo allora: quella di sr. Virginia fu una conversione autentica o ha ragione chi la mette in dubbio ed ipotizza che a generare e sostenere il comportamento “ascetico” di sr. Virginia non fu la Grazia ma fu, invece, il suo “super-io psicotico”?
Certamente la prima reazione di sr. Virginia dinanzi agli inviati del Cardinale, fu, se così possiamo definirla, di “folle ribellione isterica”, ma poi, come vedremo, il cambiamento, che in lei si verificò, fin dall’inizio del processo, ci autorizza, a nostro modesto parere, a supporre che “il dito di Dio” abbia realmente fatto irruzione nella sua vita, per scrivere, sulle righe storte della sua travagliata vicenda, una delle pagine più fulgide della santità cristiana.
Viene, perciò, spontaneo chiedersi: Non è ingiusto ritenere che la relazione amorosa, intessuta da sr. Virginia con l’Osio, costituì davvero “il centro” della sua “vita” (come scrive Pastore nel testo riportato e da lui dedicato alla Monaca di Monza)? A tal riguardo, a nostro giudizio, basterebbe pensare a quale rilevanza ebbe, sia per lei che per l’Osio, la nascita di Alma Francesca e come la semplice presenza della figlia, “polarizzò” il loro rapporto affettivo, facendo loro porre “in secondo piano” la relazione stessa, per far sorgere alcuni dubbi sulla veridicità storica di quanto asserito nel testo poetico.
Ed inoltre, nel vivere questa relazione, sapendo quali interiori tormenti e rimorsi l’accompagnarono, ci è lecito sostenere che di essa, ella si limitò ad “assaporarne” “il gusto‚ con la forza dei vent’anni” in “una rivincita dei sensi‚ nel godimento che stordiva‚ col battito del cuore che saliva in gola” e “bruciava” “offese millenarie‚ dissacrando l’ipocrisia; offrendo il corpo‚ libero da freni”?
Ci sembra, per lo meno, azzardato, esserne tanto sicuri.
Siamo più propensi a ritenere che, benché l’’amore di Gio Paolo abbia certamente appagato i suoi sensi, non è fuori luogo supporre che tale affetto, ancor prima ed ancora di più che il corpo, abbia appagato “l’anima” di sr. Virginia, soddisfacendo, anche se in modo lacunoso e tanto sofferto, quella insaziabile sete di affetto, cui ardentemente anelava il suo cuore fin dalla fanciullezza.
E, allora, viene spontaneo chiedersi ancora: quella di Virginia, fu solo una peccaminosa esperienza erotica, aggravata, oltretutto, da molteplici delitti, o fu qualcosa di ben più “intimo” e profondo?
Noi siamo propensi a credere che, nella drammatica vicenda, di cui sr. Virginia fu la principale protagonista, fu coinvolta tutta la sua esistenza, con ripercussioni che riguardarono molto più la sua interiorità che la sua fisicità.