Complicazioni e conseguenze
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
L’Osio, rinchiuso nel carcere di Pavia, si fa rilasciare una compiacente dichiarazione medica attestante un precarissimo stato di salute per ottenere la scarcerazione e, sempre a tale fine, commette l’imprudenza di scrivere anche al Card. Borromeo, per sollecitarne l’intervento.
La lettera non solo non ottiene lo scopo desiderato, ma mette “in sospetto”. Il segretario del Cardinale, infatti, indugia un paio di settimane prima di consegnare la lettera al porporato, per avere il tempo di “raccogliere informazioni” presso mons. Settale, arciprete del Duomo di Monza, notoriamente ritenuto “uomo probo e vigile”, il quale, però, “dopo aver molto ricercato ed inquisito”, non può aggiungere niente di più a ciò che, in Monza, “è già di pubblico dominio”. La lettera dell’Osio, unita alle varie “dicerie” che circolano per Monza, sono, per il Cardinale, motivi sufficienti per intervenire, seppure “con circospezione”. Finge, perciò, una visita canonica ai vari monasteri monzesi e, giunto al Monastero di S. Margherita, dopo aver parlato con altre suore, onde “non destar sospetti”, si intrattiene a lungo con sr. Virginia. Durante tale colloquio, come ci informa il Ripamonti, il Card. Borromeo, dopo averle inizialmente parlato di altre cose, giunge “con calma al problema che doveva trattare, sonda l’animo della donna, lo rigira da ogni parte più per ottenere la confessione di una colpa - qualora ce ne sia qualcuna - che per biasimarla e accusarla…”. Ma sr. Virginia “recita” la parte dell’offesa, sostenendo, tra l’altro incautamente, che la prigionia dell’Osio a Pavia, essendo da tutti collegata alle varie dicerie che circolano, “attenta all’onor suo”. Perciò, come commenta il nostro storico, “L’esito del colloquio fu il seguente: che da un lato la donna rimase più sospettosa di quanto fosse in precedenza; dall’altro il Cardinale se ne partì più inquieto e preoccupato di quanto fosse prima di giungervi”.
Commentando questo colloquio del Cardinale con sr. Virginia, il Ripamonti annota: “È facile comprendere come da quel corpo, da quella bocca e da quell’animo, insieme alla verginità, se ne fosse andato anche ogni pudore, e come essa, non più vergine, non fosse degna di stare più a lungo nel novero delle vergini; e infatti osò dire di essere stata iniziata agli ordini sacri in modo non conforme alle regole e alle disposizioni; di essere stata chiusa in un monastero dai suoi contro la propria volontà; di non aver avuta l’età prescritta quando vi entrò; di non aver avuto li anni richiesti per la cerimonia della professione; e quindi che non poteva pronunciare i voti. E sospinta dalla propria audacia e da una grande arroganza pronunciò in particolare queste parole: che lei si doveva sposare, e che dovevano darle colui che essa aveva già prescelto”.
Sicuramente questa descrizione, fornitaci dal Ripamonti, è “dura”, ma, è altrettanto vero che, pur nel “delirio” della sua reazione isterica, sr. Virginia, in fondo, ha detto anche delle verità: in monastero, infatti, vi è entrata, come si suol dire, “liberamente costretta” ed è anche verissimo che, essendo nata nel dicembre del 1575, il 12 settembre 1591, le mancavano due mesi a compiere i “16 anni compiuti”, richiesti dalle norme canoniche, per poter emettere validamente la Professione religiosa. Ovviamente ciò non la giustifica per quanto commesso in seguito.
Nel frattempo, Gian Paolo, riesce a fuggire di prigione e, appena riacquistata la libertà, provvede …ad “aggiustare il tiro precedentemente andato a vuoto” e così, per mano di un bravo dell’Osio, anche lo speziale Rainerio, testimone oltremodo scomodo della “monastica tresca”, che, per di più non aveva cessato di spargere voci, viene trovato assassinato.
Anche in questo omicidio, si tenta di sviare le indagini nascondendo alcune “armi proibite” in casa del prete Paolo Arrigone. La manovra inizialmente riesce e, così, il detto prete, viene arrestato. Ma i sospetti e i pettegolezzi continuano a circolare e, inutile dirlo, anche questa morte viene immediatamente collegata al precedente omicidio del fabbro e alla relazione di Gio. Paolo Osio e sr. Virginia De Leyva.
Elisabetta Serra, moglie del fattore del Monastero, interrogata al processo su questo argomento, sebbene inizialmente dica: “io non so la causa perché si dica detto signor Rainerio sia stato amazzato dal signor Gio. Paolo Osio,” proseguirà la sua testimonianza ammettendo che “si è detto pubblicamente che l’habbi amazzato perché avesse detto male di lui et di sr. Virginia Maria, cioè che detto Osio fosse entrato dentro al monastero di S.ta Margherita et avesse ingravidato detta sr. Virginia Maria, la quale poi avesse partorito una putta, et il medesimo signor Rainerio prima che fosse amazzato, et già un pezzo fa mi disse avete visto quella putta che ha in casa Gio. Paolo Osio, et rispondendole io che non l’havevo ancora vista, esso mi soggiunse guardatela un poco che si assomiglia a sr. Virginia Maria, et che l’aveva fatta lei sendo restata gravida dell’Osio, et così in progresso di tempo viddi detta putta che è piccola di qualche tre anni, et il medesimo mi disse anche doi anni e mezzo passati in circa la Signora Lucretia Homata madre di sr. Benedetta sendo io andata a casa sua…mi disse, hai mai tu inteso niente delle monache? Et rispondendole io di no essa soggiunse: sr. Virginia Maria ha partorito una putta, qual fu portata dal Pesseno (un bravo dell’Osio) a Milano ad allattare, soggiungendo che lei sapeva tutte cose, ma non disse però in che modo”.
Come vediamo da questa testimonianza, la storia non solo è di dominio pubblico ma lo è anche “nel dettaglio” e lo è “già da un pezzo”.
Le autorità, perciò, proseguono le indagini.
Gio Paolo si sente in pericolo: indagato dalle autorità ecclesiastiche da una parte e braccato dall’altra dal governatore di Milano, Fuentes. Sa di non poter sfuggire ad un’imminente cattura.
Passa alcuni giorni rintanato in casa ma, consapevole di non essere al sicuro, “chiede rifugio” a sr. Virginia, la quale, dopo i primi tentennamenti, acconsente. La sera della Vigilia di Ognissanti, l’Osio scavalca il muro ed entra in Monastero, l’unico luogo dove il Fuentes non può raggiungerlo ed arrestarlo vigendovi il “diritto d’asilo”.
Ma in Monastero, a questo punto, la misura è però colma. Le suore reagiscono, il silenzio è rotto e viene fatta giungere notizia al Cardinale, di tutto ciò che sta avvenendo tra le mura del monastero di S. Margherita.
Il Cardinale non si fa attendere e interviene immediatamente dando ordine di prelevare sr. Virginia e portarla a Milano, nel Monastero benedettino di S. Ulderico, detto del Bocchetto.
Domenica 25 Novembre 1607, dunque, sr. Virginia Maria, per disposizione del Card. Borromeo, viene prelevata, “a viva forza”, dal Monastero di S. Margherita in Monza, per essere trasferita in quello milanese delle benedettine, ad opera del Vicario Criminale Gerolamo Soncino.
La prima reazione di sr. Virginia alla notizia del trasferimento, di fronte agli inviati del Cardinale, è “isterica”: nel disperato quanto inutile tentativo di sfuggire, si rivolta, grida e, impugnata una spada (con tutta probabilità quella dell’Osio, il quale, non dimentichiamolo, mentre tutto ciò accade, è nascosto nella cella di sr. Benedetta, dietro una cassa posta in un vano appositamente scavato nel muro sotto la finestra), tenta di guadagnare la porta del Monastero, onde trovare una via di fuga, “menando fendenti a destra e a manca”. Fermata “sbatté il capo contro la parete e, se non fosse stata disarmata e trattenuta da alcune mani, si sarebbe colpita da sé”.
In queste condizioni psicologiche, sr. Virginia è condotta a Milano.
È sempre dalla Storia del Ripamonti che apprendiamo quello che fu, sulle prime, il comportamento di sr. Virginia: “Quella che, com’era stata prima nel delitto, così fu prima nella gloria della santità, - scrive il nostro autore - fece un rumor da non dire quando, strappata alle sue libidini e svelta dal regno suo, trovossi là dove nuove compagne, nuova casa, tanti occhi intesi in se sola, infine il non poter altrimenti, chiedevano altri costumi, altro tenore di vita. Ruppe le catene e la prigione, e afferrato un coltello, minacciosa, furibonda, tentò spezzare i chiusi e le porte; poi di nuovo arrestata, rifiutò ogni cibo come risoluta a morire, diè del capo nel muro, e se non che fu disarmata e rattenuta, volgeva in sé le mani violente. Né picciola parte di suo furore e di sua frenesia era un’interna rabbia ed un odio a morte verso il cardinale contro cui e spropositi di fuoco e bestemmie da forsennata”.
E l’Osio? Passate alcune ore dalla “forzata partenza” di sr. Virginia, anche Gio Paolo, dopo aver scavalcato il muro che separava il monastero dal suo giardino, lascia il recinto claustrale, dandosi alla macchia, pur rimanendo, almeno da principio, nei pressi di Monza, probabilmente anche in attesa di vedere che piega prendono gli avvenimenti che lo vedono implicato insieme a sr. Virginia (che, nonostante tutto, egli ama realmente, come dimostrerà a processo iniziato) e poter quindi decidere, di conseguenza, il da farsi.