Sr. Candida Colomba Brancolini: l’amica timorosa

Fonte:
CulturaCattolica.it

Veniamo a conoscere alcuni tratti del carattere di sr. Candida (al secolo Anna Lucia Brancolini) ed il tipo di rapporto di amicizia che la legava a sr. Virginia, dalle sue deposizioni al processo.
All’inizio, anche lei come molte delle altre suore interrogate, non si sbilancia e sta sulle generali.
All’inizio della relazione di sr. Virginia e Gio Paolo Osio, poi, sr. Candida non solo ne è realmente estranea, ma si dimostra anche “moralmente corretta”, se è vero, come asserisce, che “nella camera contigua a quella di suor Virginia Maria… ci stavo io et era prima che cominciasse l’amicitia tra l’Osio et suor Virginia Maria” precisando che “cominciandosi poi et venendo suor Virginia Maria ad un finestrino che dalla detta mia camera si guardava nel giardino dell’Osio sodetto ne avisai la madre suor Francesca allhora priora, et ora vicaria, che lo facesse stoppare… non li dissi però la causa”.
Sr. Candida, dunque, è vicina di camera a sr. Virginia e le è anche amica. Desumiamo questo, sia dal fatto che sr. Virginia, nei confronti di sr. Candida, si sente “libera”, al punto da non farsi problemi nell’andare alla finestra della camera di quest’ultima, per “spiare” Gio Paolo; sia dal fatto che sr. Candida, una volta accortasi “di quanto stava accadendo”, avvisa la Madre, affinché prenda provvedimenti nei confronti della “finestra galeotta”, ma, nel far questo, “non fa nomi”, cioè si limita ad esporre alla Superiora la richiesta di far murare quella finestra, ma senza specificare il perché chieda ciò. Così facendo, sr. Candida, si mostra, sì, corretta e “coscienziosa” ma, nel contempo, anche “leale” nei confronti dell’amica, non volendola accusare. Il fatto che sr. Virginia spiasse l’Osio, non deve, infatti, sembrarle un fatto tanto grave, soprattutto se considerato nell’ambito del clima lasso e “permissivo”, che caratterizzava la vita nel monastero di S. Margherita, in quel periodo. Perciò, a nostro avviso, è per questo che non ritiene necessario, almeno per il momento, accusare sr. Virginia davanti alla priora e reputa che il semplice “eliminare il mezzo materiale”, che permetteva questa “divagazione”, sia sufficiente.
Interrogata, poi, se sappia o abbia sentito dire che suor Virginia Maria, abbia partorito dei figli, risponde “Si è detto che detta suor Virginia Maria ha partorito doi filioli in questo monastero sendo restata gravida di detto Osio et lo sentivo dire da persone di fuori” ma poi, dimostrando di voler “scagionare” l’amica dalla grave responsabilità degli atti suddetti e da lei citati “per averne sentito parlare”, aggiunge: “se suor Virginia Maria ha fatto qualche cosa è perché costui l’ha maleficiata e non merita castigo… del resto non so però altro”. Dimostra, cioè, di essere a conoscenza dei vari fatti, ma tenta di non compromettersi e anche di non compromettere “gravemente” sr. Virginia. Finché, infatti, tutto restava sul piano del “sentito dire” e del “si dice”, cioè finché niente poteva essere “provato”, e ci si limitava ad esporre dei sospetti (anche se fondati e “quasi certi”) e delle illazioni, la possibilità che i “provvedimenti disciplinari” (che sicuramente sarebbero stati presi, non fosse altro che per “tacitare certe voci”), in assenza di prove certe e schiaccianti, fossero “blandi” era ancora aperta.
Il “registro” delle testimonianze di sr. Candida cambia solo quando, nel secondo interrogatorio cui è sottoposta, viene alla luce la sua relazione con prete Paolo Arrigone. Probabilmente, a questo punto, sr. Candida, comprende che la verità sta venendo a galla e che, di conseguenza, è ormai inutile negare quanto sa e la sua parte di responsabilità, sia nei fatti che l’hanno vista protagonista, sia nella vicenda di sr. Virginia.
Perciò, quando le viene chiesto se sia mai stata di notte nel parlatorio usato solitamente dalle monache per confessarsi, per qual motivo e quante volte, sebbene cerchi ancora di “giustificarsi”, ammette tutto, rispondendo: “Io son stata da tre o quattro volte nel parlatorio dove sogliamo confessarsi… di notte a parlar con prete Paolo Arrigone… mi spiace somamente che questo negotio occulto si sappi, tuttavia già che vostra signoria mi ha dato il giuramento voglio confessar come ho fatto questa legierezza supplicandola ad riavermi per iscusata se pretende che in me sia qualche colpa poi che son passata semplicemente et senza alcuna malitia”. È sincera, cioè è davvero tanto ingenua? Non ci è dato saperlo, ma è un fatto che, su questa suo presunto aver agito “senza alcuna malitia”, si basa tutta la sua testimonianza.
Nello spiegare i termini di questa sua relazione, dice infatti: “Detto prete Paolo Arrigone quale è curato di S. Mauritio mi scrisse una lettera con dirmi che voleva trattar meco d’alcuni negotii importanti et che venessi qua nel parlatorio alle cinque hore di notte et che… dassi le chiave a Domenico nostro servitore che aprisse il parlatorio, che già lui gli ne havea parlato… et arrivata in cambio di trattarmi di cose come m’havea significato cominciò a parlarmi di cose amorose mostrando di portarmi affettione… Oltre le parole d’amore che passarno tra noi ci toccassimo anco la mano che io gli sporgevo la mia fuori della ferrata, mossa dalle sue preghiere non pensando che fosse cosa mala, et ci toccavamo la mano ogni volta che lui veneva qua”. Infine, dopo aver parlato dell’“indecenza” successa durante l’ultimo loro colloquio segreto nel parlatorio del confessore, ammette anche che prete Paolo Arrigone “scrisse ultimamente una lettera nella quale mi diceva che volea venir nel monastero et che gli’accordassi, et che nel resto lo lasciassi far a lui et io gli resposi che non volevo et che mi meravigliavo de fatti suoi et per questo smessi la pratica”.
È solo in seguito a queste rivelazioni, cui è stata costretta, che, spostato l’argomento dell’interrogatorio da lei alla vicenda di sr. Virginia e dettole di raccontare con ordine tutto ciò che sa a proposito della relazione intessuta da quest’ultima con Gio Paolo Osio, ammette che “interrogata già un’altra volta… negai di sapere che detto Osio entrasse dentro al monastero et havesse comercio carnale con detta suor Virginia Maria” e, dopo aver assicurato che “hora dico per verità…”, inizia a raccontare ciò che sa. Nell’arco della sua deposizione, parla, innanzitutto, degli scrupoli di coscienza che le entrate notturne dell’Osio in monastero, a lungo andare, le causavano, sottolineando che “sapendo l’amicitia che passava tra detto Osio et suor Virginia Maria passati doi o tre anni havendo il scroppolo che detto Osio venesse dentro al monastero et stasse con detta suor Virginia Maria venendo un giubileo o fosse altra indulgenza, dissi a detta suor Virginia del scroppolo che havevo, et che se lei toleva facoltà di confessarsi da un confessore straordinario, non arrischiandomi di dirlo al nostro confessore ordinario, la togliesse anco per me”. Spiega, poi, che “il giuditio che facevo che detto Osio facesse queste cose lo feci perché una sera detta suor Virginia Maria mi fece suonare il regale che era in chiesa credo perché non si sentisse quello che facevano, et anco perché una volta essa mi disse che andava in parlatorio et andando doppo a vedere non ci trovai alcuno et così pensai che havessero introdotto detto Osio”, precisando che “con quella occasione suor Virginia Maria mi raccontò tutti li suoi secreti, et mi tirrò nella sua fatione nella quale erano già suor Benedetta suor Ottavia et suor Silvia et così cominciai a vedere che detto Gio Paolo Osio… dormiva nella camera di detta suor Virginia Maria”.
Richiesta di precisare alcune sue dichiarazioni, dice: “Quando suor Virginia Maria mi conferrì li suoi secreti del comercio con detto Osio era gravida,… al qual parto mi trovai presente io anco… Da lì poi a poco tempo… suor Virginia Maria restò gravida… un’alta volta et… partorì una putta… et anco a questo parto mi trovai presente… et è quella putta che detto Osio questi anni e mesi passati havea in casa et che suor Virginia Maria si faceva portare qui al monastero et li faceva carezze”.
Dopo aver dimostrato, per tutto il tempo della sua deposizione, una certa “amicizia fondata” nei confronti di sr. Virginia, sembra “rinnegare” l’esistenza di questo legame di amicizia alla fine dell’interrogatorio, quando dice: “Vostra Signoria averta che a queste cose acconsentei perché non potevo far di manco, che in progresso di tempo più volte ho ammonito suor Virginia Maria che lasciasse questa pratica et essa dubitando che io rivelassi le cose che sapevo vedendo che mi spiacevano mi bravò su la vita più volte dicendomi che mi volea affogare con una servietta, o con una forca amazzarmi… et credo che mi conducessero a veder dar la morte a detta Cattarina perché io non parlassi temendo che non mi avenesse l’istesso”.
La sua amicizia con sr. Virginia non era dunque vera ed ella agiva solo per timore? Sebbene non si possa escludere con certezza tale ipotesi, a nostro giudizio, ciò non è esatto.
Probabilmente sr. Candida è, sì, amica della Signora e tenta di dimostrarsi tale, ma, avendo un carattere debole e timoroso, si lascia alla fine prendere dalla paura e, nel tentativo di “giustificare” (forse più a se stessa che agli altri) ciò che ha commesso, “rinnega”, per così dire, tutto e tutti. Non è da dimenticare, inoltre, che sr. Virginia aveva, sebbene solo all’apparenza, un carattere “autoritario” e non è certo inverosimile che, nel tentativo di salvaguardare la sua relazione con Gio Paolo, abbia realmente fatto ricorso alle minacce, sapendo che sr. Candida era timorosa e che, quindi, “certe espressioni” avrebbero facilmente “fatto colpo” su di lei.