La Monaca di Monza manzoniana: l’infanzia di Gertrude

Fonte:
CulturaCattolica.it

Manzoni, dopo aver presentato Gertrude, nell'incontro con Agnese e Lucia, come "una monaca singolare", e averci, prima ancora, nella risposta del barrocciaio ad Agnese su chi fosse la Signora, informato che ella era "una monaca; ma non una monaca come l'altre e i suoi del tempo antico erano gente grande, e per questo la chiamano la signora, onde anche lei può far alto e basso nel monastero; e anche la gente di fuori le porta un gran rispetto; e quando prende un impegno, le riesce anche di spuntarlo", ritiene doveroso, per meglio spiegare la "singolarità" di tale figura, risalire alla storia "dell'infelice".
Si apre, allora, un grande scorcio su quella che era la vita nella società-bene del '600 e il "dito letterario" dell'autore si posa, impietoso verso la società ma compassionevole verso le sue vittime, sulla piaga delle monacazioni forzate. Gertrude è una di queste infelici.
Sebbene Manzoni non "scusi", né tanto meno "giustifichi", il comportamento morale e le conseguenti scelte di Gertrude, egli ha per lei un certo qual "compatimento", una delicatezza di tratto nel delinearne le vicende e, per dir così, un "pudore del cuore" nello scandagliarne i moti interiori. Nessuna attenuante è, invece, concessa al padre, che è presentato come un essere crudele e insensibile e, perciò, viene moralmente condannato dall'autore "senza possibilità d'appello".
Destinata al chiostro ancora prima della nascita "la nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita. Rimaneva soltanto da decidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza".
Gertrude viene cresciuta ed educata alimentandone "l'orgoglio per la nobiltà del censo", sottolineando i privilegi ed il prestigio di cui ella avrebbe sempre goduto in monastero, il suo "splendido" destino di Madre Badessa,… e sebbene "nessuno le disse mai direttamente: tu devi farti monaca" questa "era un'idea sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri". "Tutte le parole di questo genere stampavano nel cervello della fanciullina l'idea che già lei doveva esser monaca; ma quelle che venivan dalla bocca del padre, facevan più effetto di tutte l'altre insieme" poichè. "dal suo volto e da ogni sua parola traspariva un'immobilità di risoluzione, una ombrosa gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d'una necessità fatale".
L'idea che ella debba essere monaca è sottesa, scontata, data come certa. Che per tale "vocazione" sia necessario il suo consenso e, prima ancora, una chiamata divina, neppure a parlarne, una cosa simile è fuori discussione e non passa per la testa a nessuno di metterla in dubbio. Da simili progetti "vocazionali" Dio è totalmente assente, ostracizzato dalla volontà umana del padre che assurge a nume divino, perciò insindacabile.
Geltrude è monaca fin dal grembo di sua madre… ma quale differenza tra la sua vocazione e quella del profeta Geremia a cui "fu rivolta la parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato;ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger. 1,4-5)! Geremia è "chiamato da Dio, consacrato dall'Altissimo che lo costituisce Suo messaggero; Geltrude è votata a tale destino dagli uomini, sacrificata sull'ara del tornaconto economico e della consuetudine sociale.