Sr. Ottavia Ricci: l’amica intima e la confidente
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Sr. Ottavia, al secolo Vittoria Ricci, è maggiore tre anni di sr. Virginia e può essere considerata “l’amica intima e più stretta” della Signora. È lei a conoscerne tutti i segreti e a raccoglierne tutte le confidenze.
La sua testimonianza processuale è, inoltre, di somma importanza, al fine di appurare la verità della relazione e della storia ad essa collegata, perché, date le gravissime condizioni fisiche in cui sr. Ottavia versa, la sua deposizione può essere ritenuta “sincera senza ombra di dubbio”: essendo in fin di vita e mirando solo a “sgravarsi la coscienza”, non ha alcun motivo, né tanto meno interesse, per mentire.
È interessante seguire lo svolgersi dei fatti accaduti (rivedendoli, quasi come in un “flash back”, col “senno di poi”), seguendo la sua testimonianza, a partire da quanto essa narra essere stato il suo stato d’animo dopo l’arresto di sr. Virginia.
Dopo che sr. Virginia è stata prelevata dal Monastero e condotta a Milano, sr. Ottavia è interiormente agitata. Decide così di non stare sola. Dice infatti: “rincrescendomi stare nella mia camera havendo l’animo inquieto doppo che fu condotta via quella monaca dal nostro monastero andai nella camera dove stanno sr. Candida e sr. Degnamerita, et mi spogliavo per andar a letto con sr. Silvia qual dorme nella medesima camera... venne all’uscio della detta camera sr. Benedetta Homati… et mi fece cenno che uscissi.” Sr. Ottavia, dunque, teme di restare sola con se stessa (e, soprattutto, con i suoi pensieri) “avendo l’animo inquieto”. Non è da dimenticare che sr. Ottavia era legata a sr. Virginia da un’amicizia profonda e, di conseguenza, a turbarla profondamente, concorrono molti fattori, legati non solo alla scabrosità delle vicende vissute, ma anche ai sentimenti contrastanti che, sicuramente, devono aver preso possesso del suo animo, dopo l’arresto di sr. Virginia. È così che decide di stare con altre suore. Da notarsi: sceglie di stare proprio con le altre “amiche di sr. Virginia”, ritenendo, probabilmente e a ragione, che anch’esse siano nello stesso stato d’animo e possono, quindi, “tacitamente comprendere” il suo turbamento.
È da notare che, in questa prima deposizione, non nomina sr. Virginia, ma si limita a definirla “quella monaca”. Perché sembra prenderne le distanze? Forse perché, dopo quanto successo e l’eco che tali avvenimenti hanno suscitato dentro e fuori delle mura claustrali, ha paura? Oppure era talmente interiormente scossa, per quanto accaduto all’amica (dato che il suo affetto per sr. Virginia, come abbiamo detto, era sincero e profondo, e di ciò aveva già dato prova in svariate circostanze), da non riuscire a nominarla? O fu forse solo “un caso” che ella abbia usato un appellativo tanto generico per riferirsi a sr. Virginia, sebbene con lei avesse vissuto e condiviso tutto ciò che tale vicenda aveva comportato? Sono tante le ipotesi che si potrebbero fare, ma tra esse quale sia quella più rispondente al vero, non ci è dato saperlo, sebbene, noi, propendiamo per la seconda.
Solo nel terzo interrogatorio a cui è sottoposta (viene interrogata più volte, poiché, a causa delle sue gravi condizioni di salute, non può sopportare a lungo gli interrogatori e, per tale motivo, deve, dunque, essere ascoltata a più riprese) racconta tutto ciò che sa (cioè tutto) della relazione tra sr. Virginia e Gio Paolo.
Veniamo così a sapere che sr. Virginia, all’inizio della storia, dietro insistenza di Gio Paolo, accetta di scrivergli una lettera perché “li insegnasse una regola come dovea governarsi” ma che ricevuta la prima lettera che l’Osio le scrisse, nella quale usava “delle parole dishoneste cioè d’abbracciarla e baciarla… essa li rescrisse che si meravigliava di lui… mostrando d’avere grandissima colera”.
Parla così dell’intervento di prete Paolo Arrigone, del “paro di guanti… di seta bianca a goccia con un filo d’oro” mandati a sr. Virginia dall’Osio, “accompagnati con una lettera… che trattava della purità de quei guanti et che tale era l’animo suo” e di tutti regali e le missive scambiatesi in seguito.
Sr. Ottavia, nella sua deposizione, fa menzione anche della “calamita battezzata” che l’Osio “havea legata in oro dicendo che era una reliquia” e che detto Osio “la basciò tocandola con la lengua et poi la volse dare a sr. Virginia Maria, ma lei stava renitente e teso gli soggiunse che che lo facea perché havea schivio di lui et fece tanto che gli la fece toccare con la lingua”; e del Graffio, il “libro latino… detto casi di coscienza” mandato sempre dall’Osio a sr. Virginia “dicendoli che guardasse e leggesse… che havrebbe visto che non era peccato et non si incorreva nella scomunica entrando nel monastero” aggiungendo che ella crede che Gio Paolo “gli lo mandasse per ingannarla perché volea a quel modo non intendendo essa il lattino dovesse credere che il libro contenesse tal cosa”.
Dopo la nascita del putto morto, è sempre sr. Ottavia che esorta sr. Virginia a troncare la relazione con Gio Paolo “con dirli che se Iddio ci havea fatto grazia sin a quel tempo che fosse passato questo negozio occulto si sarebbe potuto scoprire”. È, dunque, grazie anche ai consigli e all’amicizia di sr. Ottavia che sr. Virginia tenta di resistere al desiderio di rincontrare l’Osio, “et così per quattro mesi continui stette che non lo volse di dentro” anche se, poi, “detto Osio scrisse tante lettere et usò tante preghiere con dire che moriva per lei dicendoglielo anco a bocca due o tre volte che di giorno li parlò nel parlatorio, ch’essa di novo l’introdusse a dormir con lei… et così restò di novo gravida di lui et partorì una putta.”
Nell’ambito della sua deposizione, parla anche di prete Paolo Arrigone, dicendo che “il medesimo prete Paolo ha detto l’amicitia che passava tra esso et l’Osio et oltre di questo… guardando nel giardino per vedere l’Osio, più volte il prete sudetto stava là con lui, ma faceva il ghiottone fingendo di non accorgersi della pratica ma allhora non lo conoscevamo et stavamo con pensiero che fosse un gran prelato, et il Peseno ci disse che in quel tempo che loro doi non erano nel giardino, stavano in un camerino del detto Osio a scrivere et comporre lettere da mandare a sr. Virginia Maria et si è giudicato che detto prete aiutasse in questa pratica l’Osio con pensiero di affradelarsi ancor lui con detta sr. Virginia”. Qui sr. Ottavia dimostra di essere “avveduta”, accorgendosi che le “manovre” di prete Paolo, sono indirizzate ad un fine ben preciso e… non certo “lodevole e santo”. Deve, perciò, aver messo “in guardia” anche sr. Virginia, rendendola partecipe di queste sue deduzioni. Di questo sembra di poterne trarre conferma dal fatto che, quando l’Arrigone, “venendo un giorno al parlatorio… fece dimandar sr. Virginia fingendo di volerli dire cose di grandissima importanza, et poi non li parlò altro che di cose d’amore col dirli che era innamorato di lei… che era lui che scriveva le lettere a lei per detto Osio,… sr. Virginia non gli rispose altro se non che l’amava come religioso et nelle viscere di Giesù Christo, et che pregasse nostro Signore per lei”, dimostrando una prontezza di spirito e un’ironia che, sebbene sr. Virginia, tenendoci molto alla sua “immagine”, quand’era “in pubblico” fosse avvezza a controllarsi, non erano tipiche del suo abituale comportamento “in privato” e non certo nei confronti di prete Paolo Arrigone, come dimostra anche una lettera “infuocata” che sr. Virginia gli indirizzò in seguito.
Sr. Ottavia, inoltre, dimostra la sua amicizia nei confronti di sr. Virginia anche facendo “sparire”, al momento dell’arresto di sr. Virginia, i certificati riguardanti il battesimo e la legittimazione di Alma Francesca, dallo “scritorio di sr. Virginia Maria che vi era ancora la fede del battesmo ma si è tratta via” ammettendo, poi, durante l’interrogatorio, che fu lei a prenderli e a porli nel pagliericcio del suo letto.
Conclude, infine, la sua deposizione, assicurando che ciò che ha rivelato è la verità in quanto, dice: “Ho detto tutte queste cose per la verità per scarrico della coscienza mia stante il stato nel quale mi trovo”.