L’Enciclica di Benedetto XVI e Marx
Un altro contributo sull'Enciclica: con l'autore e con Gigi Trezzi, alla presenza del Vescovo di San Marino-Montefeltro, a Monza, il 22 marzo 2006 ci sarà un incontro pubblico, organizzato da CulturaCattolica.it e dal Centro Culturale Talamoni. In seguito i dettagli.- Autore:
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Nella sua prima enciclica Benedetto XVI, mette in guardia da qualsiasi tendenza che si ponga lo scopo di sopperire al dono e al servizio dell'amore tramite un ordinamento statale che a tutto pensa e tutto organizza. "Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto uomo". Il sottinteso riferimento è rivolto a tutti quei regimi che nel corso della storia sono nati come movimenti che dovevano rendere l'uomo libero dalle oppressioni, ma che alla fine lo hanno annullato e annientato come un semplice numero. I sogni che hanno ispirato le rivoluzioni proletarie muovevano i loro obiettivi dalla pretesa teorica di superare tutte quelle forme di esistenza che da sempre hanno generato l'uomo alienato. Lo stalinismo ne è un tipico esempio. Si costituì con esso una società basata sull'universale monopolio dello Stato, nella quale l'idea marxista di pianificazione fu trasformata in una sua contraddizione. L'uomo, in quanto produttore, non diventò il pianificatore ma entrò a far parte di un piano, divenendo esso stesso pianificato. Questo azzeramento dell'essere umano che la messa in opera del marxismo portò con sé, non fu solo una totale abiura dell'individuo come creatura, ma la negazione stessa del tentativo di Marx di concepire l'uomo come costruttore della propria libertà in comunità con i propri simili. Ne "La questione ebraica" (1843) il pensatore tedesco arriva a contestare la Costituzione più radicale della tradizione borghese, cioè quella francese del 1793, che sostanzialmente dice che all'uomo è conferito il potere di fare tutto quello che non può nuocere ai diritti altrui. In base a questo concetto, analizzava Marx, il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza ledere l'altro è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due terreni è stabilito per mezzo di una recinzione. Il diritto della persona alla libertà non si basa su un legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. E' il diritto dell'individuo limitato a se stesso che trova nella legge la garanzia di tale isolamento. Una società di codesto tipo appare come una limitazione dell'uomo rispetto alla sua indipendenza originaria. L'unico legame che tiene assieme gli uomini è l'interesse privato, la conservazione della loro proprietà e della loro persona egoistica. Il socialismo reale, ben lontano dal confutare questa premessa, ha prodotto gli orrori e le barbarie che ben conosciamo. Non si tratta di trovare un'attenuante a Marx, ma è storicamente e concettualmente opportuno differenziare Marx stesso dai vari marxismi, dal marxismo-leninismo e dallo stalinismo. Mentre l'uomo di Treviri, tentò di perseguire, attraverso la sua opera teorica, ideali di eguaglianza, giustizia, liberazione e libertà, i suoi "realizzatori" pratici ne annullarono sistematicamente le istanze ed i propositi. J. Ratzinger in "Deus caritas est" ha voluto evidenziare quanto la negazione dell'uomo come soggetto bisognoso di dare e ricevere amore, sia passata anche dalla teorica marxista che, in nome della necessità della rivoluzione degli oppressi, abbia contestato alla Chiesa l'opera di carità rivolta ai più poveri. Secondo l'utopia della rivoluzione, infatti, gli aiuti che fedeli e religiosi conferivano agli strati meno abbienti della popolazione, sarebbero serviti nella realtà a mantenere la condizione di ingiustizia sociale che imperversava sul proletariato. Questa constatazione, che venne comunque a cadere soprattutto in Europa già dopo le due grandi guerre, non solo corrisponde a realtà ma è la medesima che fece da logica guida alla scontro rivoluzionari-riformisti. Il sindacato stesso è stato vittima di questa accusa da parte dell'ortodossia marxista. Permanendo all'interno dello stesso orizzonte del capitale e distaccandosi quindi apertamente dal sindacalismo rivoluzionario defunto con la Prima guerra mondiale, le organizzazioni sindacali avrebbero semplicemente regolato lo sfruttamento capitalistico secondo le condizioni di mercato. Se in linea teorica l'obiezione è corretta è vero che l'azione riformatrice delle organizzazioni dei lavoratori e i risultati di salvaguardia ottenuti, rappresentato forse il migliore lascito dell'eredità marxiana. La critica rivolta quindi all'azione caritativa della Chiesa, rappresenta certo una delle tante ottusità che il marxismo ha portato con sé. L'immagine però di un Marx proteso nell'edificazione di una società burocratica, priva del senso dell'umano è inesatta. Considerata l'epoca storica in cui egli visse e l'impronta dialettica che scaturì dall'analisi sulla società capitalistica, l'errore più abnorme, oltre a considerare il marxismo una scienza, fu senz'altro quello di pretendere di fare delle parole di Marx un testo biblico da ricopiare e realizzare sulla testa degli uomini. La sproporzione e lo sbilanciamento inumano tra mezzi e fini produsse poi le nefandezze del socialismo reale. Del marxismo come eresia del Cristianesimo sembra darcene una conferma sempre Benedetto XVI in "Deus caritas est" che ricorda come nella Chiesa l'iniziale impulso fu quello di darsi un'organizzazione nella quale l'amore per l'altro potesse ordinarsi all'interno della comunità. "Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno". Marx ricalcando volontariamente o involontariamente questa concezione pensò al lavoro (inteso come attività costitutiva dell'uomo) come un mezzo che permettesse agli uomini di "fare comunità". Il lavoro disalienato secondo l'autore de "Il capitale" in una società epurata dall'egoismo capitalista doveva fungere da intermediario tra uomo e uomo. In tale situazione, proseguiva Marx: "se io supponessi di aver prodotto in quanto uomo, verrei inteso e sentito dall'altro, come un'integrazione del suo essere e come una parte indispensabile della sua vita, contemporaneamente mi sentirei confermato tanto nel suo pensiero quanto nel suo amore". Senza ombra di dubbio, l'amore di Marx è altra cosa da quello ragionato da Benedetto XVI in "Deus caritas est" e nessun paragone merita di essere dimostrato. Senza amore sopravvivono solo le mostruosità dei totalitarismi e in questa lettera rivolta alla moglie, Marx sembra già prevederlo: "Io mi sento di nuovo un uomo perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive ed oggettive, sono fatte apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irresoluti. Ma l'amore non per l'uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di Moleschott, non per il proletariato, bensì l'amore per l'amata, per te, fa dell'uomo nuovamente un uomo".