Dalla clausura: una lettura dell'Enciclica

Carissima sr. Gloria,
ho letto l'Enciclica, e sono grato al Signore per questo grande Papa, che ci aiuta a comprendere e vivere così intensamente la nostra vocazione cristiana.

Sul sito ho messo a proposito dell'Enciclica alcune cose tue: grazie, sono proprio bellissime. Mi piacerebbe anche mettere alcune cose nuove, per questo ti ho preparato alcune domande, ma quello che mi preme è proprio un a fondo della tua esperienza.
Fonte:
CulturaCattolica.it

Domanda: Il Papa ha insistito in maniera straordinaria sull'unità di eros/agape, come una particolare ricchezza del cristianesimo. Ora a me pare che nella nostra esperienza quello che sia il punto di unificazione si chiama verginità. È proprio nella verginità, così come ne parla don Giussani, che si ha questa unificazione: «C'è un secondo stato: quello della verginità, che costituisce anch'essa una funzione fondamentale e che apparirà anche più chiaramente se noi recuperiamo il motivo ultimo ed esauriente per cui ci si offre a Dio: questo motivo è l'imitazione di Cristo. L'imitazione di Cristo è la legge di tutti i cristiani, però nella scelta di uno stato di questo genere essa oggettivamente tocca il suo vertice, perché è l'imitazione dello stato di Cristo nella sua pienezza. Lo stato di Cristo nella sua pienezza era un rapporto col Padre che, da un certo punto di vista, come persona, non era mediato da nulla. Ma si comprenderà ancora meglio la questione, se noi osserviamo in che consiste veramente la verginità di Cristo (come, del resto, anche lo stato matrimoniale). È un modo di rapportarsi con l'Essere; è un modo di possedere l'Essere, di possedere la realtà. Il matrimonio è un certo modo di possedere la realtà e non si limita affatto, appena, al rapporto uomo-donna; ma questo influisce su tutto il modo in cui uno si mette in rapporto o entra in possesso di tutta la realtà. A lungo andare, se vissute coscientemente, queste scelte diventano dimensioni che investono tutti i rapporti della vita. Il modo con cui Cristo possedeva la realtà era un modo che preannunciava come l'uomo avrebbe posseduto tutte le cose nell'escatologia... Gesù Cristo, con la sua verginità, non era un mutilato. Perciò il concetto di rinuncia, se indica il riverbero psicologico che l'esistenza genera in quel caso, dal punto di vista del valore, dal punto di vista ontologico non è rinuncia a qualche cosa, ma è l'addentrarsi in un possesso più profondo e più finale delle cose. La verginità di Cristo era un modo più profondo di possedere la donna, un modo più profondo di possedere le cose. Questo ha avuto, per così dire, il suo compimento nel fatto della resurrezione, attraverso la quale Cristo possedette tutte le cose come noi le possederemo alla fine del mondo».
Allora ti chiedo: com'è nella tua esperienza quotidiana, nelle tue scelte, nei rapporti con chi ti sta vicino e con chi incontri?

Risposta: La verginità consiste per me nel far convergere eros e agape al servizio dell'altro, in una donazione che tiene, comunque, costantemente presente la tentazione latente di servire se stessi. Io credo che per la donna la verginità sia un modo particolare di realizzare pienamente se stessa, la sua persona, cioè il suo essere-per. È evidente che ogni persona - lo dice la stessa parola - si realizza nell'essere-per, dunque anche l'uomo, ma la struttura fisica e biologica della donna è tale da rendere l'essere-per costitutivo per lei. A causa del mio attuale ruolo in comunità di Maestra delle Novizie, nella mia vita quotidiana questo essere-per si esprime anzitutto nella cura di coloro che mi sono affidate. Il compito educativo implica un rapporto coinvolgente che mette alla prova la tua capacità di dono gratuito e, dunque, la tua verginità. Imparare che la sessualità, e con essa l'eros, prima di essere funzionale al proprio piacere è il mezzo prezioso che permette di "sentire" l'altro, avvertire i suoi desideri e le sue necessità, è la via per vivere fino in fondo la verginità. Questa infatti conduce inevitabilmente ad amare l'altro per se stesso e non per un proprio bisogno. In questo senso la verginità è la via migliore per l'eros di giungere all'agape.

Domanda: Parlando dell'amore di Dio, il Papa giunge all'Eucaristia: «Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena». Ma proprio lo sguardo all'Eucaristia è il cuore della tua vocazione: in che cosa consiste in particolare la tua esperienza? Come questo sguardo compie la tua umanità?

Risposta: Nello spiegare la sua enciclica il papa ebbe a citare Dante il quale "narra di una "vista" che "s'avvalorava" mentre egli guardava e lo mutava interiormente (cfr Par., XXXIII, vv. 112-114).
Chi di noi non ha sperimentato quanto un'immagine possa essere coinvolgente e portarti là dove sono le radici del cuore? Mi viene in mente un quadro di Henry Matisse (Interno con violino, 1917-18. Olio su tela. Statens Museum for Kunst, Copenhagen) [Figura 1] dove una stanza intinta nel blu con le persiane appena accostate, parla di una calura estiva che ti par di sentire sulla pelle a prescindere dalla situazione climatica in cui ti trovi. In questa stessa stanza un violino abbandonato (che forse aveva riempito l'aria di note o che presto sarà impugnato dal musicista per suonare di nuovo), suggerisce un profondo silenzio e una quiete simile quella estiva nel mezzogiorno di un qualunque ferragosto. Sole e silenzio non sono dipinti nella tela (ne il silenzio potrebbe mai essere descritto) eppure quanto sono presenti!
Così, passando ad un piano infinitamente superiore, davanti all'Eucaristia si percepisce il Presente, l'Essente, cioè Dio stesso con tutta la sua soavità e la sua forza. Il segno è povero: un pane, una forma (come povera è una tela e una tavolozza di colori rispetto al sole o all'inafferrabilità del silenzio), eppure quale potente veicolo essa è di Lui, per grazia!
Davanti all'Eucaristia si comprende meglio anche il proprio io, la propria interiorità. Si apprende nel silenzio che siamo realmente fatti a sua immagine, plasmati dalla soavità e dalla forza del suo Spirito e ci si lascia gradatamente fare. S'impara cioè a riceversi da un Altro e dunque a non temere mai, per nulla, le rivoluzioni della vita perché egli è comunque l'Amore che guida e forgia ogni situazione. Davanti all'Eucaristia si affina anche la nostra capacità di ascolto. Dopo esser stati a lungo in adorazione si comprende più a fondo il valore della parola. Sia la Parola in assoluto, quella divina che parla dai tempi antichi e che ha compiuto ogni rivelazione nel Verbo di Dio, sia la parola umana, che così tanto oggi ha perso il suo valore. Si ritrova così il senso del linguaggio, non nel senso di una maggior profondità culturale (la qual cosa comunque non resta esclusa), ma nel senso della profondità del comunicare. Dunque, davanti all'Eucaristia che è il Verbo fatto carne, s'impara a comunicare non tanto le nostre idee più o meno buone, più o meno fallaci, bensì il nostro comprenderci in Lui, il comprendere quel "qualcosa dentro qualcosa" che forma il mistero del nostro esistere con gli altri. Solo da una simile percezione, solo da un simile ascolto nasce una parola vera, una parola che comunica. Questo tipo di ascolto anima il mio quotidiano, informa le mie scelte, riempie il mio comunicare, almeno per quanto riesce la mia umanità a svuotarsi di sé per far spazio a Dio.

Domanda: Come sai insegno, e molti miei alunni, quando racconto di te, della nostra amicizia, della tua esperienza di clausura mi ripetono le solite frasi sull'inutilità di questa scelta... Del resto il Papa, ancora nella sua Enciclica, dice: «Ora però c'è da far attenzione ad un altro aspetto: la «mistica» del Sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane», dice san Paolo (1 Cor 10, 17). L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi». In che modo vivi la tua vocazione come dentro il grande mistero della comunione ecclesiale, più ancora, come abbraccio ad ogni uomo, nello slancio di quella «nuova evangelizzazione» a cui ci ha appassionati Giovanni Paolo II?

Risposta: Già san Tommaso diceva: contemplata aliis tradere vale a dire trasmettere agli altri le cose contemplate. Se questa espressione può definire la missione della vita contemplativa in generale, molto più definisce il senso del nostro esistere e del nostro adorare nel cuore della città.
Ogni volta che compiamo l'atto più contemplativo della nostra giornata, quello appunto di adorare il Signore Presente nel Sacramento, compiamo anche l'atto più missionario poiché siamo lì, in ginocchio, perché altri lo possano adorare. Certo questa diuturna scuola di silenzio e di compagnia a Gesù opera impercettibilmente una grande trasformazione del cuore e dello sguardo (che del cuore è segno e specchio). Non è possibile stare davanti al Verbo Incarnato senza cogliere la grandezza e la dignità dell'uomo, senza sentire la necessità di custodire le sorgenti della vita, così tremendamente importanti per il Creatore d'aver subordinato tutte le leggi ad esse. Non puoi sedere ai piedi del Maestro senza comprendere in modo nuovo la storia, la tua piccola storia e la grande storia degli uomini. L'Eucaristia getta un raggio di luce sulla storia degli uomini, aveva detto Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica, e Papa Benedetto gli fa eco nella sua prima Enciclica sottolineando appunto il carattere sociale del Sacramento. Sostando in continua adorazione si sperimenta la verità di queste parole, non solo: si entra nel cuore della rivelazione di Dio, il quale ha voluto cambiare le sorti del mondo non dall'alto della sua Maestà, ma dal basso dell'umanità, scegliendo un popolo. Pertanto davanti all'Eucaristia ho contemplato la bellezza della Chiesa, il suo valore di lievito, di granello: un valore impastato di materia e povertà ma capace di custodire il Mistero di una Presenza.
Per questa Chiesa non si può non donare tutto di sé in una esclusività che solo la vita consacrata può raggiungere.