L’Avvenimento dell’Amore

In margine alla "Deus caritas est"
Autore:
Re, don Piero
Fonte:
CulturaCattolica.it

Sembra proprio che i primi commenti – e sono tanti, entusiasti, cauti o già negativi – non prestino l'attenzione dovuta al secondo paragrafo del n. 1 dell'enciclica del nuovo papa. Eppure è da supporre non vi sia stato messo a caso nell'introduzione del suo primo atto di magistero ordinario. Merita di essere trascritto per intero: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Non c'è termine che non meriti riflessione. Rileggo e ne faccio qualcuna.
La prima non può che riguardare la parola "avvenimento". È il termine che meglio definisce la natura del cristianesimo. Il papa teologo si preoccupa di non ridurre la novità cristiana ad un "pacchetto" di norme morali (fossero le migliori), osservando le quali uno si mette a posto la coscienza e può stimare meritevoli le sue opere buone. Il papa teologo esclude anche che l'identità profonda del cristianesimo si possa trovare in un sistema di idee o in una spiegazione, conosciute le quali uno si ritenga il più illuminato e capace di darsi ragione di tutto.
Se così fosse, tra l'altro, ne rimarremmo tutti esclusi, perché – secondo il Vangelo – nessuno può dirsi senza peccato e perché il regno dei salvati non è affatto appannaggio esclusivo dei sapienti e degli intelligenti.
Certo, la vita del cristiano è orientata dalle 10 Parole che regolano il patto dell'Alleanza Antica e dalle Beatitudini evangeliche, tutte riassunte nel comandamento dell'Amore. Certo, la ragione umana non finirà mai di penetrare nell'abisso luminoso della Sapienza, racchiusa nel disegno salvifico della Creazione e della Redenzione. Certo, i sentimenti umani trovano già pace vera nella sequela di Cristo, anche lungo la via stretta che porta alla Croce. Certo, è richiesto di attingere i doni della grazia e della verità nella celebrazione dei sacramenti, culminanti nell' Eucaristia.
Tuttavia: le norme morali e i contenuti del Simbolo, le ragioni del cuore e la perfezione dei riti, tutto va inscritto e vissuto nell'Avvenimento salvifico. Perché non scadano nel moralismo, nell'intellettualismo, nel sentimentalismo, nel ritualismo. E gli "ismi" – lo sappiamo – sono degenerazioni e svuotamenti di ogni autenticità.
"Cerca il confuso viatore invano… meta o ragione" (G. Leopardi, Il tramonto della luna). La risposta è venuta da Dio, in maniera sorprendente e gratuita, mediante l'avvenimento cristiano. Un fatto, un fenomeno storico straordinariamente ricco e omnicomprensivo; non riducibile ad alcun patrimonio di varia dottrina, di cultura antropologica, di esperienze religiose, di proposte operative, di consuetudini rituali.
Un fatto che coincide con una Persona: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo nel seno della Vergine Maria; il Verbo della Vita che si è reso visibile, udibile, toccabile; nato a Betlemme al tempo del censimento di Augusto, morto sul Golgota e risorto presumibilmente tra l'8 e il 9 aprile dell'anno 30.
Questo fatto ha un seguito permanente, la Persona di Cristo è tuttora vivente nell'Avvenimento della Chiesa. Essa è il nuovo corpo che Cristo ha scelto per restare con noi, presente e operante nella storia ora e sempre, qui e fino agli estremi confini della terra.
Soltanto conservando la priorità di questo punto centrale e sorgivo della salvezza cristiana, si comprende la necessità che la sua comunicazione avvenga con l'"incontro" di fede con i suoi testimoni; sono coloro che in questo Avvenimento – cristologico ed ecclesiale – si sono lasciati totalmente coinvolgere, così che l'Annuncio è dato dalla novità che la loro vita ha ricevuto. Il valore provvidenziale della Tradizione della Chiesa sta proprio qui: Cristo è reso incontrabile dalle generazioni di testimoni nei quali sopravvive l'Avvenimento personale di Cristo Risorto.
La fondamentale caratteristica di Avvenimento riaffiora ancora nell'enciclica, quando il papa teologo richiamerà "l'intima compenetrazione dei due Testamenti": "La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito" (n. 12). Un realismo che prosegue con la "presenza duratura" dell'"Amore incarnato di Dio" nell'Eucaristia, nella quale "veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione" (n. 13).
Tornando alle espressioni riportate all'inizio, un ultimo ma non trascurabile appunto. Il padre-maestro della nostra vita cristiana attribuisce – proprio e soltanto – all'incontro con l'Avvenimento-Cristo (e al permanere in esso, senza riserve e scadenze) la capacità dell'uomo di dare alla intera propria esistenza quel "nuovo orizzonte" culturale che altrove non gli è dato; e di infondere alla nativa fragilità della sua natura quella "decisiva" energia di cui abbisogna.