Cantici d’Amore tra stupore e Mistero - 5 Tela: Cantico della vita

Fonte:
CulturaCattolica.it

Esplode il meriggio, la luce solare investe ogni cosa: visitato dai suoi raggi il rosso si è tramutato in rosa. Gli elementi dei quadri precedenti tornano qui ricomposti, ordinati dalla capacità che l’Amore ha di fare nuove tutte le cose. È l’esplosione finale della grande sinfonia dell’amore, dove la polifonia dei toni è completa e il cantus firmus si attenua, fino a scomparire subissato dal continuo rimbalzare dei toni.
Nulla è perduto, non sono cancellati né morte, né dramma, ma ovunque riecheggia il canto della speranza:



Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio
(Ct 8,6-7).


Dalla sposa, bianca come nube d’incenso, fiorisce la pace; ella s’innalza come muro a difesa del suo mistero:


Io sono un muro
e i miei seni sono come torri!
Così sono ai suoi occhi
come colei che ha trovato pace!
(Ct 8,10).


Per Rashi i seni come torri sono le tavole della torà. Ritorna il tema della Parola, che ormai ha sciolto il suo sigillo. Qui il libro della Parola non è più semplicemente «guardato» come nel primo quadro, ma è tenuto aperto e additato da una mano: il mistero è stato rivelato, la promessa fatta all’uomo di avere accanto colei che gli è simile, realizzata.
Ed ecco il frutto: al di sotto della sposa il trono di Salomone, finalmente occupato! Chagall vi ha collocato i leoni della tribù di Giuda, dipinti con fattezze umane e, al centro, il nome della città duale per eccellenza, Gerusalemme. Come già «nazioni» lottavano nel seno di Rebecca, antica madre di Israele, – madre di Esaù e Giacobbe – così anche nel seno di ogni donna sono potenzialmente generati popoli in lite fra loro. La lotta contro male non è mai definitivamente vinta, ogni amore gioca la sua sfida, ogni esistenza umana deve trovare la cifra segreta del suo esistere, il volto nel quale rispecchiarsi e raggiungere lo shalom.

Lo strascico della donna raccoglie e ferma i flutti della Dvina: l’amore è più forte della morte, è un ponte è gettato tra cielo e terra. L’ultima tela non ha più una direzione precisa, ma il fiume taglia orizzontalmente la scena, il fiume con le due città: Gerusalemme e Vitebsk. A destra la città delle radici umane, a sinistra la città delle radici spirituali e in mezzo il fiume sul quale però è definitivamente gettato il ponte dell’alleanza.
Lo sposo fissa negli occhi la sposa e suona, dolcemente ormai, l’arpa del desiderio. L’incontro è avvenuto, egli ne è ricolmo e gode di questa sapienza d’amore che gli ha tinto di viola il vestito. Anche la sposa porta i segni di un incontro consumato: il suo volto per la prima volta è blu, un colore che Chagall fino a questo momento aveva riservato allo sposo. L’uccello dell’Eros, rosso cupo, ingaggia una danza con l’uccello bianco dell’Agape.
Il tema dell’unione degli amanti rimbalza qua e là nel cielo: il volto dello sposo e della sposa ripropongono i colori delle due gazzelle della prima tela, ma qui lo sposo (precedentemente identificato nell’animale blu) inebriato dalla luce del volto di lei è diventato verde smeraldo, in alto all’estrema sinistra i due giacciono nell’intimità del giardino, e attorno al sole ancora la danza degli amanti. In questa danza la sposa tiene in mano il bouquet e indica una giovane in volo:


Una sorella piccola abbiamo,
e ancora non ha seni.
Che faremo per la nostra sorella,
nel giorno in cui se ne parlerà?
(Ct 8, 8).


Una generazione narra all’altre le tue opere, canta il salmo. L’amore non è mai fine a se stesso, possiede una fecondità che travalica anche l’atto generativo. Ogni generazione raccoglie conquiste e sconfitte di quella che l’ha preceduta e le rilancia. C’è una circolarità della storia che, nell’esperienza dell’Amore, diviene spirale, ascesa verso l’alto. Ogni volta che un amore vero si consuma, l’intera umanità si eleva e viene a sua volta spinta ad andare più in alto a raggiungere un nuovo traguardo.
Non più un angelo,infatti, suona lo shofar, ma un rabbino e dietro a lui, di nuovo, l’abbraccio degli amanti. Un angelo dirige invece la danza del popolo. I flutti mortiferi della storia sono vinti dalla solidarietà dell’amore che trova la sua radice nella coppia umana, ma che abbracciando l’intera umanità s’innalza come fiamma fino a Dio.

Nel Cantico dei Cantici, il nome di Dio non risuona mai esplicitamente. Chagall lo cita qua e là sommessamente mediante simboli e metafore, ma il sigillo divino risplende nel magnifico sole a sette punte. Sorge il giorno settimo, il giorno unico, il giorno del riposo in cui Dio tornerà di nuovo a passeggiare nel giardino dell’umanità.

Se Dio è amore, scrisse un giorno S. Agostino, allora l’amore è Dio.
Dio è qui! Ha esclamato Chagall novantaseienne, entrando nella stanza del Cantico. Dio è ovunque si compia la sinfonia dell’amore, ma ovunque si operi con il cuore, là è un’esperienza del divino, capace di attingere nuovi colori per dipingere la vita:


Si leverà un’altra stella
E dai tuoi occhi prenderà il volo una colomba
Io vorrei esaudire il tuo sogno
Mostrare un’altra verità
Attingere alla tua luce
I miei colori
(Marc Chagall).