Lo sguardo della verità: il Battista in Giovanni e Bosch
La Testimonianza del Battista- Autore:
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Giovanni nel suo Vangelo narra di un grande processo su Gesù di Nazareth, un processo che tiene fin dal suo inizio come sullo sfondo la condanna.
Il primo testimone ad entrare in scena è Giovanni il Battista, il quale – a differenza dei sinottici – viene presentato, non come un profeta vestito di pelo di cammello che vive di locuste e miele selvatico, ma semplicemente come uomo di Dio (Gv 1,6), come testimone della vera Luce (Gv 1,7), come l’amico dello Sposo (Gv 3,29). Tali appellativi sorprendono perché mettono a fuoco non tanto l’identità del Battista quanto la sua relazione con Cristo, il Verbo di Dio. Per l’evangelista Giovanni, il Battista non era la Luce, bensì colui che annuncia la vera Luce, anzi egli è l’unico tra i profeti a cui è stata concessa la grazia di indicarla presente. Si coglie fra le righe la preoccupazione dell’evangelista di affermare chiaramente – forse contro alcuni seguaci che ne onoravano la memoria – che il Battista non era il Messia.
Un volto più umano, dunque, quello del Battista giovanneo, un volto che ritroviamo in un pannello di Jeronimus Bosch presente nella Fundación Lazáro Galdiano di Madrid, raffigurante il santo. In quest’opera gli studiosi hanno riconosciuto il pandant della tavola di Berlino raffigurante san Giovanni a Patmos. I due pannelli erano originariamente collocati all’interno del retablo voluto dalla Confratenità della Misericordia (a cui Bosch apparteneva) per la cattedrale di ’s Hertogenbosch.
Nel pannello di Madrid, il Battista è curiosamente dipinto nei panni di un filosofo, immerso nella bellezza di una natura che attorno a lui fiorisce rigogliosa: un corso d’acqua sulla sinistra attraversa la valle, sullo sfondo alcuni animali selvatici pascolano docili e indisturbati, tra essi distinguiamo chiaramente un cervo (simbolo di Cristo) e un cinghiale (simbolo del potere demoniaco che tenta l’uomo nella sua carne), diversi volatili circondano invece una pianta esotica, vicinissima al poeta, sulla cui cima vi è un corvo, forse incaricato, come già fu per Elia, di portare cibo all’uomo di Dio. Nella sua solitudine il Precursore appare come l’uomo pacificato, il nuovo Adamo capace di un rapporto sereno con la natura e con se stesso.
Il Battista giace tutto proteso verso un piccolo agnello, seminascosto ai suoi occhi – che pure lo cercano indicandolo –, ma vicino all’osservatore. L’espressione del suo volto è del tutto singolare: melanconica eppure anche sorridente, quasi sorniona. A chi è rivolta? Forse agli osservatori del dipinto? Forse a quei farisei che, partiti da Gerusalemme, andarono a lui per interrogarlo circa la sua identità?
E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: ”Chi sei tu?”. Egli confessò e non negò, e confessò: ”Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: ”Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose: ”Non lo sono”. ”Sei tu il profeta?”. Rispose: ”No”. Gli dissero dunque: ”Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia» (Gv 1,19-23).
Nel 1996, con l’aiuto della riflettografia, si è scoperta la presenza, accanto a Giovanni, del committente dell’opera rivolto verso il centro del retablo. Forse a lui il Battista sta indicando l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Forse, in questo committente scomparso, s’incarna l’umanità di ogni tempo che domanda – ancora oggi – a Giovanni il Battezzatore, ragione della sua testimonianza.
Ignoriamo come mai, in un secondo tempo, sia stata cancellata la figura del committente, certo è che Bosch ha sentito il desiderio di lasciare il Battista nella più piena solitudine, rivestendolo dei panni di un filosofo che riposa dentro la ricerca di quella sapienza che sola può condurre alla verità. Il Logos che egli viene ad annunciare, del resto, è la sapienza ordinatrice di Dio nella quale e per la quale tutte le situazioni dell’esistenza trovano significato. Anche la croce.
E il Battista, che facilmente avrebbe potuto essere il Messia confessò e non negò e confessò come attesta Giovanni di non essere il Cristo. Da qui forse la leggera ironia che traspare dal suo sorriso: l’uomo è sempre incline al sensazionale, a una sapienza che viene dall’uomo, ma il Cristo che egli era venuto ad annunciare aveva scelto un’altra via. Quella di Nazareth, quella della più assoluta normalità.
Anche dietro a questo pannello doveva esserci un dipinto in grisaglia raffigurante un’iride con la pupilla come in quello precedente. Se là, come ricordiamo, c’erano dipinte scene della passione qui, dicono gli studiosi, dovevano esserci le scene dell’infanzia con al centro della pupilla, al posto del pellicano, l’immagine della fenice, uccello simbolo della risurrezione. Colui che risorto per noi è, più di noi, nato per morire. Perciò il Battista lo indica ai suoi discepoli come l’agnello di Dio, come l’Innocente pronto per il sacrificio:
Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: ”Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29).
In greco troviamo qui il verbo blepo che significa scorgere, notare qualcosa. Giovanni, pur sapendo di essere ritenuto da molti il Messia, interrogato, non sfrutta l’equivoco per fini personali, ma dichiara: Io non sono il Cristo. Egli rimane dunque, nella verità ed è per questa purezza interiore che scorgendo Gesù egli è in grado, pur senza conoscerlo (v. 31), di indicarlo quale Agnello di Dio.