Lazzaro: lo sguardo della vita - 2
La malattia di Lazzaro- Autore:
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Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso d’olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand’ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbi, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s’è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Gv 11, 1-16).
Dal testo si evince che Lazzaro non è noto ai più. Si parla di “un certo”, dunque Lazzaro non è conosciuto se non a Gesù, tanto che le sorelle possono mandare a dirgli: «il tuo amico è malato». Alla comunità sono note, invece, le sorelle Marta e Maria. Di Maria si parla nel Vangelo citando un episodio che sarà poi narrato nel capitolo successivo. È; evidente dunque la narrazione post pasquale dell’evento. Chi racconta conosce già lo svolgimento completo dei fatti.
Solo Giovanni ci parla di Lazzaro e dipinge lui e le sue sorelle come amici intimi di Gesù. Nel volto di questi amici, dunque ciascuno di noi si può riconoscere l’intera vicenda del resto è avvolta da nomi altamente simbolici.
Il nome Betania significa, infatti, Casa dei poveri di Javhè (da Beth = Casa Anìa= poveri di Javhè). Considerato il tenore di vita della famiglia di Lazzaro che doveva essere invece piuttosto alto, è chiaro che si individua in questa casa un luogo dove regna la vera povertà, quella spirituale quella dell’abbandono assoluto a Dio. Nel nome di Lazzaro poi, sta scritto il suo stesso destino, significa infatti: Dio aiuta.
Il punto centrale di questa prima parte dell’episodio è rappresentato dalle parole enigmatiche di Gesù: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce».
Il fatto che Gesù ritardi nel soccorrere l’amico aspettando che muoia e l’equivocare continuo dei discepoli nei confronti delle reali intenzioni del Maestro dicono chiaramente come le tenebre di cui Gesù parla siano quelle che calano sugli occhi dell’uomo incapace di comprendere il disegno di Dio che si realizza dentro una storia travagliata.
Gesù con queste parole enigmatiche colloca la malattia di Lazzaro in stretta relazione con la sua ora. Gesù non teme di tornare in Giudea dove già avevano tentato di ucciderlo perché è certo che la sua «ora» non è ancora giunta. E la sua ora coinciderà con il trionfo solo momentaneo e apparente dell’ora delle tenebre. Mentre Lui opera si è in pieno giorno e nulla potrà accadere. Quanto però sta per fare su Lazzaro dimostrerà che per un credente in Cristo il giorno non tramonterà mai. Un cristiano «vede» sempre anche nelle tenebre più fitte che sono, appunto, quelle della morte.
Di queste tenebre entro le quali «si vede» parla sapientemente Rembrandt, in una delle più suggestive rappresentazioni della risurrezione di Lazzaro della storia dell’arte: un pannello dipinto a olio nel 1630 e ora conservato a Los Angeles.
L’antro buio della tomba rivela la presenza di armi appese sulla parete di destra. Una presenza inquietante anche per la facilità con cui si distinguono a dispetto della scarsissima luminosità di cui gode la parete che le ospita.
Le armi, sbucando dall’oscurità hanno la funzione di segnalare il dramma della morte che ha colpito Lazzaro e che ancora lo colpirà dopo la sua risurrezione quando cioè, come recita il versetto 10 del cap 12 di Giovanni: «I sommi sacerdoti deliberarono di uccidere anche Lazzaro».
Quelle armi dicono l’ora a cui i discepoli di Cristo devono essere di lì a poco introdotti. Sono armi che avvertono il cristiano di ogni tempo che seguire Cristo non risparmia dal dramma dell’inimicizia, secondo il detto dello stesso Signore: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10, 34.). Anzi nel Vangelo di Luca, proprio a ridosso della Passione, ancora il Signore ammonisce: «[…] chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Lc22, 36).
Rembandt crebbe in una Olanda attraversata da lotte intestine per questioni teologiche e conobbe questo dramma da vicino. Nel 1630, mentre dipinge questa tela, vede morire il padre e iniziare la guerra svedese dei trent’anni. Inoltre, quattro anni più tardi, nel 1634, avendo deciso di sposare una giovane proveniente dai protestanti riformati, verrà fortemente osteggiato dalla propria famiglia, di origine cattolico calvinista.
Anche la risurrezione di Lazzaro chiuderà Gesù come in una morsa che affretterà lo scoccare dell’ora. Come i sinottici preparano i discepoli allo scandalo della croce attraverso l’episodio della Trasfigurazione, Giovanni li prepara mediante la risurrezione di Lazzaro.