Il Cieco nato: rinascere dallo sguardo - 2

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El Greco Il Cieco nato, 1570 -75, Galleria Nazionale, Parma

Nella tela di Parma, l’iniziativa divina è più evidente rispetto alle altre versioni (peraltro incomplete) Gesù infatti si trova quasi al centro della scena e, realizzando una scenografica molto vicina alle vedute del Tintoretto, El Greco separa Cristo dall’architettura circostante mediante l’allontanamento vertiginoso del punto focale della prospettiva. La formazione veneziana di Domenikos appare evidente ma, nell’accentuazione classica delle forme si registra anche il suo rapido soggiorno romano. La tela viene, infatti, datata attorno al 1570.
In quegli anni Roma, più lontana dai paesi d’oltralpe, godeva di un clima totalmente differente di fronte agli sconcerti creati dalla Riforma. Il ritorno a forme classicheggianti dice il desiderio di affermare con solennità e certezza la propria fede.

Nel vangelo di Giovanni il primo momento vede dunque l’incontro ravvicinato tra il cieco e Gesù: Gesù vide. Qui il volto di Gesù è il punto più luminoso del quadro. Egli ha gli occhi abbassati verso il cieco e lo guarda in profondità.
I suoi discepoli però non sono ancora capaci di questo sguardo. Essi non si preoccupano minimamente del cieco ma sono tutti intenti ai loro discorsi: chi ha peccato lui o i genitori?
Le operazioni ideologiche di fronte alla realtà non sono certo prerogativa dei nostri giorni. Le filosofie moderne hanno avuto la conseguenza di renderle sistema di pensiero e cultura diffusa, ma già qui Giovanni registra una grave ideologizzazione della realtà. La persona del cieco con i suoi drammi personali e le sue necessità (diverse indubbiamente da qualunque altro cieco) diventa una categoria, un fenomeno, di fronte al quale è possibile disquisire, quasi che la risposta generalizzata alla condizione di quell’uomo fosse in grado di rispondere all’intero dramma del male della morte presente nel mondo. Ed è interessante notare come Giovanni colga questo sulle labbra dei discepoli, di quelli cioè che hanno già aderito a lui.
Colpisce una figura accanto al miracolato, essa di spalle indica qualcosa.
Questa è stata è stata variamente interpretata. Qualcuno la identifica come un secondo cieco, poiché veste nello stesso modo del cieco nato, supponendo così che El Greco si sia ispirato al Vangelo di Matteo che narra, appunto, di due ciechi. Altri lo vedono come un enigmatico personaggio che intende distogliere l’attenzione dei presenti dal miracolo: con tale espediente pittorico El Greco avrebbe denunciato l’opera di demitizzazione avviata dalla eresia protestante.

Non è infrequente nella pittura della Rinascenza inserire figure di spalle o di mezzo profilo che abbiano in qualche modo il compito di commentare la scena o di suggerire alla stessa un significato altro. Nella trasfigurazione di Raffaello (figura 1), ad esempio, proprio al centro della tela appare una donna di spalle che, come il nostro personaggio, indica qualcosa. Si tratta, nell’intento dell’autore, della personificazione della fede che invita gli apostoli incapaci di guarire l’indemoniato a guardare all’episodio della trasfigurazione per comprendere il perché. Solo infatti dopo la Pasqua, quindi dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo essi saranno in grado di operare miracoli come Gesù. Avranno infatti lo spirito e la forza di Gesù stesso manifestatosi ormai come il Kyrios, il Risorto.
Anche nella tela parmigiana del cieco nato il personaggio di spalle ha qualcosa da insegnarci.
Cristo è Dio o è solo un grande profeta? La sua dottrina salva l’uomo dal di dentro o offre ragioni morali sul male e fonda filosoficamente norme etico giuridiche per una convivenza pacifica.
Di fronte alla guarigione del cieco, che si consuma in uno sguardo, la città è chiaramente lontana. Sia per lo sfondamento prospettico che si apre dietro al miracolo stesso, sia per i vari gruppi che attorniano l’evento. Nessuno, o quasi nessuno, veramente si cura di costui.
La gamba dell’uomo di spalle si inserisce armonicamente nel movimento del braccio del cieco quasi creando un tutt’uno con esso. Addirittura potremmo spontaneamente pensare possa trattarsi dello stesso personaggio che, ormai guarito diventa capace di indicare, di condurre altri a vedere altri proprio lui che prima era cieco e cieco da sempre.
Non va dimenticato che El Greco, si era formato alla scuola bizantina, a Creta si cimentò nella pittura di Icone, si potrebbe essere ispirato qui alla pittura ravennate o di Duccio da Boninsegna che, in un solo pannello racchiude le diverse fasi della guarigione del cieco.
Questo personaggio, dunque potrebbe significare lo stesso cieco colto nel secondo momento della scena, quello in cui Gesù si è allontanato dalla folla. Egli infatti veste in modo molto simile al cieco nato e dice, con il suo abbigliamento, di essere stato guardato da Cristo nel profondo delle sue nudità.
Il miracolato rimane solo davanti a quanti lo interrogano con domande incalzanti alle quali, però, risponde con grande semplicità. Egli mostra da un lato di rimanere aderente alla verità. Quando gli chiedono chi è Gesù risponde sinceramente solo quello che sa «un uomo di nome Gesù», dall’altro offre, proprio in virtù di questa semplicità, un punto di vista altro da cui guardare l’evento, fuori dalle questioni teologiche (chi ha peccato) o settarie (pro o contro farisei).

Ma cosa sta indicando? Un punto prospettico esterno e lontano da quello, pur altrettanto lontano, che si trova al centro della scena. Come nel dettato evangelico non sono molti ad accogliere le sue risposte, così nella tela di Parma, l’invito a “guardare in alto” non è accolto se non da una donna (o un uomo) con copricapo orientale. Gli altri non guardano affatto se non molto distrattamente. Come quel volto signorile collocato proprio dietro al profilo di Colui che sta indicando.
Essi come bene descrive El Greco rimangono come all’esterno, non vogliono compromettersi. Nemmeno riescono veramente a “vedere” il miracolo: allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È; lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista» (Gv 9, 8-11).

Questo punto di vista altro è quello di Cristo: né lui né i genitori hanno peccato, ma è così perché si manifestassero le opere di Dio. Gesù cioè rifiuta la teoria della retribuzione secondo la quale ogni sofferenza era causa da un peccato proprio o dei propri genitori, ma aiuta a guadare alle situazioni con lo sguardo stesso di Dio. Nel dolore si manifesta innanzi tutto quell’opera di Dio che Cristo realizza. La risposta sul peccato e sulla morte verrà data dall’ora della croce e della risurrezione. Un’ora che si pone a compimento di quel tempio che pare essere indicato dal giovane di spalle. Un secondo personaggio classificabile come uno dei discepoli potrebbe essere quello che guarda da vicino i gesti di Gesù ed è posto esattamente dietro il miracolato. È; la figura di chi si china sul mistero cercando sinceramente di capire.
Tra la folla vi è anche un altro personaggio che guarda verso il pubblico. Si tratta chiaramente di un ritratto che per qualcuno è da ricondurre al ritratto dello stesso pittore giovanissimo, per altri a quello di un giovane membro della famiglia Farnese, probabilmente Alessandro (nato nel 1545), futuro duca di Parma e già combattente vittorioso a Lepanto. In ogni caso lo sguardo rivolto a noi di questo misterioso personaggio contemporaneo all’opera è un chiaro invito che l’artista rivolge a tutti: chi è per noi Cristo? Un uomo, un profeta? L’Inviato del Padre?
Se nella tela di Dresda Cristo, quasi mescolato fra la folla, era colui che il giovane non vedente riconosce come l’uomo Gesù di Nazaret, qui Cristo, centrale nella scena e opposto alla punto di fuga prospettico che ha alle spalle, dice il progressivo “vedere” del Cieco: Gesù è un profeta.