Una suora speciale, con un cromosoma in più
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Una volta la madre di una ragazza handicappata mi ha detto, "tutti noi pensiamo di aiutare i nostri figli a migliorare le cose nelle quali non riescono molto bene e ci dimentichiamo di valorizzare le cose in cui riescono meglio", sua figlia ha un handicap che avrebbe potuto costringerla ad essere una persona dipendente da tutto e da tutti per la vita ed invece questo handicap è stato l'occasione per permettere a tutti quei talenti che albergavano in lei di esprimersi.
Così, questa meravigliosa fanciulla, danza, dipinge guida l'auto, ha un fidanzato e una gioia di vivere contagiosa, nonostante sia nata senza le braccia.
Quando penso a lei non posso fare a meno di pensare che i vocaboli sono fatti inevitabilmente per definire convenzionalmente delle situazioni, ma dire di Simona Atzori che è handicappata mi fa sorridere, perché in realtà quando stai seduta in salotto a conversare con lei e ad ascoltare le numerose esperienze che ha vissuto e quelle che l'aspettano, se proprio nella stanza un handicappato ci deve essere quello sei tu, che nonostante le braccia non sei riuscita a fare molte delle cose che sono riuscite a lei.
La cronaca di questi giorni ci ha raccontato un'altra storia di "handicap caparbio" perché Cristina 33 anni, affetta da sindrome di down, contro la volontà ha realizzato il suo sogno ed è diventata una suora laica.
La sua caparbietà ha cancellato le comprensibili perplessità della curia e della famiglia e Cristina è entrata nell'Ordo Virginum - un ordine laico che non richiede la dimora in monastero.
Pare abbia confidato alla mamma: "Non voglio entrare in una comunità dove mi trattino come una poveretta".
Leggo Su Repubblica: "La sindrome di down per me non è stata né una maledizione né una benedizione ma il modo per capire che sono portata per delle cose e non per altre. E sono pronta ad affrontare gli impegni che ho assunto".
La sua è una storia straordinaria (raccontata ieri dall'agenzia "Redattore Sociale"). I medici non lasciano speranze su miglioramenti fisici significativi. Il più grosso handicap è la vista. Ma per fortuna le capacità psichiche sono buone, grande la voglia di comunicare con gli altri, rocciosa la volontà. Elementari e medie "normali", poi una scuola differenziale dove tra le altre cose impara il lavoro di sarta. Ma la vista non la sorregge, peggiora. A 19 anni Cristina fa qualche lavoretto, ma sogna di viaggiare, di conoscere gente e posti nuovi. Così convince la madre a lasciarla andare in Africa, dove una zia suora è missionaria. Ed è in Kenya, mentre dà una mano nell'ospedale gestito dalle religiose, che matura la sua vocazione: "Non voglio essere felice da sola".
A casa - dove, tra l'altro, a parte la zia suora, non è che siano praticanti - pensano a un capriccio destinato a passare. Pure la zia non è d'accordo. Ma Cristina tiene duro. Ogni anno, per un mese, torna in Kenya e mostra che, nonostante i suoi limiti, può essere d'aiuto. Quello che tutti, anche i più diffidenti, finiscono per apprezzare in lei è l'equilibrio e la fiducia che riesce a infondere in chi soffre. Racconta Marilena, la madre: "Mia sorella suora ha chiamato e ci ha detto: "Non possiamo far finta di niente. Cristina ha una vocazione sincera. Abbiamo il diritto di dirle di no, solo a causa di quel cromosoma in più che si porta dentro?".
Ben detto, non possiamo far finta di niente, e chissà quante Cristine sono state individuate dalle amniocentesi e eliminate prima che venissero al mondo, con la scusa che sarebbero state infelici ed invece molte volte gli infelici siamo noi.