Una forma di pensiero critico

Testimonianza di Ferdinando Vicentini Orgnani, Regista
Autore:
Vicentini Orgnani, Ferdinando
Fonte:
CulturaCattolica.it

Per me l’incontro con le Adoratrici Perpetue è stato quasi ironico, una chiamata, una telefonata, è stato lo stupore di un incontro che non mi aspettavo; però, andando avanti nel tempo, nel corso di questi mesi, l’ironia sta scemando e rimane, invece, la sorpresa di scoprire delle cose sulle quali non mi ero mai soffermato a pensare. Io sono stato chiamato, appunto, in quanto sono un regista, uno sceneggiatore, uno che racconta le storie, che cerca di metterle in scena, di mettere insieme tutti i frammenti di quello che poi diventa un film che viene trasmesso, che gira il mondo: quindi servo a raccontare una storia.
Ho sentito prima usare da Piero Damosso un’espressione che mi è molto cara: «in punta di piedi»; è una cosa che io faccio sempre quando comincio a entrare in una vicenda che non è una mia vicenda personale e dalla quale comincio a essere contaminato: cerco di entrarvi con grande rispetto, cercando una via d’accesso e riuscire a individuarla è un processo molto lento, molto strano, perché devi capire determinate cose.
Dopo un incontro bellissimo che ho avuto con sr. Maria Gloria, in un piccolo convento da dove è partita tutta la vicenda di Madre Maddalena, a Ischia di Castro, sono stato subito colpito da questo senso di pace, da questa strana “allure” spirituale che si respirava assolutamente nell’aria e mi sono trovato a scontrarmi contro un preconcetto (che credo sia molto diffuso): che senso ha l’isolamento, che senso ha rinunciare apparentemente a un rapporto con il mondo?
In questi mesi, invece, ho capito che questo tipo di presenza nel mondo è una forma molto sottile di pensiero critico, è una forma estremamente alta e difficile da comprendere: che cosa possiamo fare noi di fronte a un mondo che ci mostra una continua violenza? - sembra che la violenza e non l’amore, la guerra e la cultura del conflitto siano dominanti - Possiamo solamente cercare di guadagnare delle posizioni e di vivere una sorta di utopia della realtà, cioè infilare nella nostra vita dei frammenti di quella che è un’utopia che non sarà mai, probabilmente, realizzata in questo mondo; però questa utopia, questi elementi di utopia, come una vita distaccata, una vita lontana, inseriscono un elemento di valore che può fare qualche cosa di buono.
Io credo che quando uno ha il potere di raccontare una storia, un film, un libro, si deve porre questo problema: che cosa serve quello che io sto facendo, che cosa può portare? Io sto cercando di individuare il contributo che io posso dare in questo momento (anche di crisi della mia vita, di confusione) che rapporto ha con me questa strana avventura che mi sta accadendo, questi viaggi… dopo un primo incontro a Monza, sono andato a San Francisco a trovare le Sorelle americane e sono rimasto con loro alcuni giorni ospite: sono arrivato a conoscerle e ogni giorno ci incontravamo dalle nove alle undici e dalle tre alle cinque (loro hanno degli orari molto precisi!)
Dal momento che io ho abitato alcuni mesi a San Francisco - quando studiavo musica circa vent’anni fa -, è accaduto, in quei giorni, che alcuni miei amici venissero a prendermi al Monastero per poi potarmi fuori e, entrando, incontrassero le Sorelle: rimasero entusiasti di queste immagini, di queste Sorelle con i loro vestiti rossi (che nessuno si aspetta di vedere!) erano colpiti e dicevano “ma è una cosa incredibile, fantastica quella che ti è successa!”.
Sì! È una cosa incredibile, che non riesco ancora a capire, che sto cercando di decifrare. Da quando sono tornato, stiamo cominciando a lavorare, a cercare questa via di accesso, insieme a due scrittori, due scrittori di romanzi, che sono Marcello Fois e Rino Camilleri, i quali mi aiutano in questa impresa. Ci auguriamo e speriamo che questo film possa offrire a tutti un contributo interessante e importante.