Thomas Covenant: Conclusione - l’origine del male - 16
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Dopo esserci calati nel mondo dell'autore, si tratta ora di condurre a compimento il nostro percorso, confrontando quanto è emerso dall'analisi con il dato biblico-teologico, per cogliervi analogie, rimandi e differenze.
L'origine del male
Donaldson non risolve del tutto l'enigma dell'origine del male, cioè dello Spregiatore (e della lebbra). D'altronde la sconfitta del Sire Immondo dipende in maniera essenziale dalla comprensione della sua natura, lo Spregio, e quindi della necessità che lo muove e che determina la sua strategia. Pertanto, può darsi che una soluzione più definitiva riguardo alla sua identità sia da aspettarsi dalla conclusione finale del ciclo, presumibilmente alla fine della terza trilogia, di cui è uscito da poco negli USA il primo romanzo. Dobbiamo pertanto attenerci a quanto fin qui manifestato dall'autore.
Il problema dell'origine del male è strettamente connesso alla figura del Creatore. Infatti lo Spregiatore appartiene allo stesso mondo del Creatore: occorre quindi approfondire il rapporto tra i due personaggi.
Lo Spregiatore è, come il Creatore, una creatura immortale; non appartiene alla Landa, ma vi è imprigionato a causa dell'Arco del Tempo, che egli non può spezzare, perché gliene manca il potere. Neanche il Creatore, però, può attraversare l'Arco del Tempo; nel suo caso, perché altrimenti lo spezzerebbe, e con esso la sua creazione, che egli non vuole distruggere.
Lo Spregiatore ha collaborato alla creazione. I poteri negativi e le imperfezioni della creazione sono opera sua. Egli era in qualche modo all'opera accanto al Creatore. In quale modo non viene detto chiaramente, ma vengono prospettate due ipotesi: che egli fosse accanto al Creatore, come un rivale (più astuto, a quanto pare) o che egli fosse parte del Creatore stesso. Solo contemplando la sua opera compiuta il Creatore si accorse del male che vi era nascosto; allora lottò contro il male, fuori o dentro di sé, e in uno scatto di collera lo precipitò nella creazione e richiuse l'Arco del Tempo. Solo dopo si accorse che in questo modo lo aveva certo, mi si perdoni l'espressione, mandato "fuori dai piedi", ma aveva anche costretto le sue creature a sopportarne la non piacevole compagnia. Quindi ora il Creatore è moralmente impegnato ad aiutare la sua creazione, ma dal di fuori, perché una volta conclusa egli non può più toccarla senza distruggerla.
In quanto alla lebbra, Covenant si oppone decisamente a considerarla l'esito di un'azione divina, una punizione; argomenta che se la lebbra fosse l'opera di un potere negativo che gode nel tormentare l'umanità, sarebbe molto più diffusa. Non prende in considerazione il concetto biblico di prova[1], per cui il negativo è permesso da Dio come mezzo per portare a compimento l'umano attraverso la fede. Per lui la lebbra rimane una fatalità priva di causa ed emblematica dell'enigmatico potere del male di colpire a caso, chiunque.
Il racconto mitico riguardante il Creatore è forse la parte più debole dell'impianto romanzesco di Donaldson. E' abbastanza ovvio che le due ipotesi prospettate (e non risolte) si equivalgono nel proporre un modello manicheo: o nell'opera della creazione è venuta allo scoperto una dicotomia di bene e male implicita nel Creatore stesso, oppure vi sono fin dall'origine (non spiegata) almeno due o più entità dotate di poteri enormi ma non illimitati, di cui alcune buone e altre malvagie. In ogni caso il Creatore non è onnipotente.
L'ipotesi manichea sembra essere in effetti quella più ragionevole per spiegare il dato dell'esperienza che vede coesistere nella realtà, il bene ed il male, il grano e la zizzania[2]. Quando l'uomo cerca di dare spiegazione narrativa di questa situazione, ricade spesso, in un modo o nell'altro, in questo modello. Si può dire che essa ha infatti un'unica visione veramente concorrente, che è quella biblica, frutto della Rivelazione.
Neppure nella Rivelazione però l'origine del male è esplicitata del tutto[3]. Ci viene detto nei capitoli iniziali della Genesi che il tentatore è "la più astuta delle bestie selvatiche"[4], dunque una creatura esso stesso, e nulla di più. Quando però il male è compiuto, Dio instaura un processo[5] rivolgendosi prima ad Adamo e chiedendogli ragione del suo comportamento; poiché egli scarica la responsabilità su Eva, Dio si rivolge alla prima donna chiedendole che cosa abbia fatto, ed ella accusa il serpente. Ci si aspetterebbe che Dio rivolga una domanda anche al serpente, chiedendo il perché della sua azione; ma si aspetterebbe invano, perché Dio procede spicciativamente a dire che "poiché tu hai fatto questo…". Forse Egli non gradisce discorrere con i serpenti ed evidentemente sa già benissimo perché il serpente abbia agito in tale maniera; a noi piacerebbe saperlo, ma non ci viene detto, e dovremo aspettare il tempo della mietitura, quando il grano sarà messo nei granai, la zizzania bruciata e finalmente capiremo chi è il "Nemico" che l'ha seminata. Il perché ultimo del male non ci viene quindi rivelato: la tentazione dell'uomo da parte del serpente, figura dell'Avversario, è frutto di un conflitto già in atto, la cui origine non è narrata. Il racconto di Genesi 3 vuole comunicare che il male non è sullo stesso piano del bene, perché il male nasce da un essere creato ed il bene invece procede da Dio stesso, increato; inoltre che l'avversario ha vinto, (sebbene contro l'uomo e non contro Dio, e solo temporaneamente[6]) grazie al decisivo concorso della libertà umana senza il quale la sua volontà di male non sarebbe andata ad effetto. Per questo la natura umana è stata ferita dal male e l'umanità è rimasta segnata da questa scelta di peccato.
Nell'Antico Testamento la sottolineatura dell'onnipotenza divina è costante, al punto che l'agiografo, pur di non porla in dubbio, non indietreggia davanti ad affermazioni che porterebbero a vedere in Dio l'autore anche del male. Nessuna opposizione al piano di Dio è al di fuori della Sua volontà: pensiamo soprattutto all'Esodo[7], dove è Dio che "indurisce il cuore" del Faraone, perché egli non lasci partire Israele. Si tratta però di un dato talmente ripetuto, che sarebbe impossibile citare tutti i passi in cui ciò si rende evidente. La trascendenza di Dio, la sua assoluta superiorità, il suo supremo controllo degli eventi della storia sono il contenuto più proprio della rivelazione dell'Antico Testamento. Il Dio d'Israele è l'unico Dio, e il Dio che libera dall'Egitto è il Dio creatore, tanto che anche la creazione è interpretata a partire dall'esperienza dell'Alleanza. Nulla, assolutamente nulla, esiste fuori dalla sua volontà.
La figura del Creatore della Landa, alquanto pasticcione, non è neppure lontanamente paragonabile al Creatore descritto dalla Bibbia.
In quanto al suo nemico, nel libro di Giobbe, l'Avversario[8] è presentato come un angelo, un essere spirituale fra quelli che compongono la corte di Dio, davanti al quale compare con naturalezza[9]. Egli non è l'Avversario di Dio, bensì dell'uomo; infatti, davanti all'elogio che Dio fa della propria creatura, Satana invece esprime il proprio pessimismo sull'uomo: la sua devozione è interessata, egli non è capace di vero amore per Dio e la sua fede andrà in pezzi appena Dio si comporterà altrimenti da come lui si aspetta per il proprio vantaggio[10].
Portiamo ora il confronto con la rivelazione di Dio in Gesù.
Un ragazzino tredicenne, leggendo Donaldson, si disse commosso dall'idea della debolezza del Creatore. Un concetto paradossale, questo, perché un Creatore dovrebbe essere onnipotente, almeno nei confronti della propria creazione, se non nei confronti di altri "creatori", ponendo un' ipotesi politeista (ipotesi che i "giovani teologi" di un forum sulle "Cronache" aperto in Internet, abituati all'idea di universi paralleli coesistenti in un multiverso, non trovavano da respingere a priori). Un concetto che colpisce, perché anche per la Rivelazione Dio si è fatto debole. Ma si tratta di un genere di debolezza del tutto diverso da quello dell'insufficiente Creatore della Landa.
Il Nuovo Testamento porta a compimento la rivelazione di Dio, attraverso un capovolgimento inaspettato: Dio si rivela infatti, nell'Incarnazione, non attraverso la propria potenza, ma attraverso la debolezza[11].
Un capovolgimento in qualche modo preannunziato dai profeti. Pensiamo ad Elia sul monte Oreb[12], quando Dio gli si rivela non attraverso imponenti fenomeni naturali associati in altre occasioni alla teofania di Dio[13], ma attraverso il soffio di una brezza leggera[14]. Soprattutto Osea, con il suo amore non ricambiato per la prostituta, ha però illuminato la natura della debolezza di Dio, che è l'immenso amore che ha per le sue creature.
La Rivelazione che Dio è amore[15] illumina il paradosso dell'onnipotenza divina e della presenza del male. Poiché Dio è amore, egli lascia, perché tale è la natura dell'amore, che la sua creatura abbia una propria volontà, così rispettata da poter diventare persino volontà del male senza che l'Onnipotente intervenga con la sua potenza per cambiarla. Dio rispetta le sue creature e lascia che la loro volontà determini gli eventi, eppure rimane il sovrano padrone della storia. Come ciò accada, rimane un paradosso che non giungiamo a capire.
La realtà è così più romanzesca, cioè drammatica, di qualsiasi romanzo. Il dramma nasce dall'incontro di due libertà e proprio per questo il suo esito non è scontato.
L'onnipotenza di un protagonista dovrebbe togliere ogni sugo a qualsiasi storia; se il creatore potesse sistemare in quattro e quattr'otto la situazione della Landa, non ci sarebbe stato spazio per 3, 6 e forse 9 romanzi. L'autore doveva per forza limitare in qualche modo il suo personaggio "creatore" per ottenere una vicenda, ma questo rende il personaggio poco credibile e contraddittorio, come anche i "piccoli teologi" notavano con disappunto[16]. Inoltre, al di fuori della verità rivelata, l'uomo sembra capace di escogitare solo diverse varianti del manicheismo, tutte al fondo insoddisfacenti. La Rivelazione propone una soluzione che supera la ragione, ma non la contraddice, anzi spiega in modo più completo sia il dato di fatto della coesistenza del bene e del male nell'esperienza, sia l'aspirazione del cuore umano ad una realtà da cui il male sia definitivamente bandito.
Note
[1] Il concetto biblico di prova emerge con chiarezza nel libro di Giobbe, che è tutto dedicato alla riflessione sul problema del male. Per approfondire cfr. Wieser A., Giobbe, Brescia, 1975; Ravasi G., Giobbe, Roma, 1984; Mazzinghi L., La Bibbia: la sapienza in Israele: Salmi, Giobbe, Proverbi, Cantico dei Cantici: introduzione, Milano, 2000.
[2] Mt 13,36.
[3] Sul tema della teodicea è disponibile una bibliografia sterminata. Segnaliamo soltanto due pubblicazioni abbastanza recenti in quanto utili ad orientarsi nel problema: Häring Hermann, Il male nel mondo. Potenza o impotenza di Dio?, Brescia, 2001; Kreiner Armin, Dio nel dolore. Sulla validità degli argomenti della teodicea, Brescia 2000.
[4] Gn 3,1.
[5] Gn 3,11-14.
[6] Infatti alla donna è promessa la vittoria finale: Gn 3, 15. [7] Es 4, 21; Es 7, 3; Es 9,12; Es 10, 20; Es 10, 27; Es 11,10; Es 14,4; Es 14,8; Es 14, 17.
[8] Avversario o Accusatore è il significato nel nome Satana, che solo successivamente verrà considerato un nome proprio. Cfr. "La Bibbia di Gerusalemme", nota a Gb 1,6.
[9] Gb 1,6 –7.
[10] Gb 1, 8-11; Gb 2, 4-5.
[11] Fil 2,6-8.
[12] 1 Re 11-13.
[13] Es 19,16.18; Es 20, 18-19.
[14] Letteralmente "attraverso il silenzio leggero di un alito di vento".
[15] I Gv 4, 8.
[16] Lamentano infatti nel forum che il Creatore enunci le proprie limitazioni come anche le proprie possibilità senza uno straccio di spiegazioni delle loro motivazioni: perché non può più toccare la sua creazione ? Chi ha posto questa e altre regole cui il Creatore è sottoposto? Come può egli influire nel nostro mondo se non ne è il creatore?