Maria Valtorta (1897-1961)

E' la scrittrice mistica immersa nel dramma della Passione, come nelle altre vicende della vita di Gesù. La descrive, soffrendola, ma senza subire fenomeni dolorosi cruenti.
Per l'immediatezza dello scritto che segue la visione simultaneamente, la sua attendibilità descrittiva è unica.
Autore:
Giacometti, Giulio - Sessa, Piero
Fonte:
Mimep-Docete ©

"Sia flagellato" ordina Pilato a un centurione.
"Quanto?" "Quanto ti pare… Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va'" Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l'atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un'alta colonna simile a quella del porticato. A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello. A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull'alto del capo, dopo che fu fatto spogliare. Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali. Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all'anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi… E deve essere tortura anche questa posizione.
Ho letto non so dove che la colonna era bassa e Gesù stava curvo. Sarà. Io vedo così e così dico.
Dietro a Lui si colloca uno dalla faccia di boia dal netto profilo ebraico, davanti a Lui un altro dalla faccia uguale. Sono armati del flagello fatto di sette strisce di cuoio legate ad un manico e terminanti in un martelletto di piombo. Ritmicamente, come per un esercizio, si dànno a colpire. Uno davanti, l'altro di dietro, di modo che il tronco di Gesù è in una ruota di sferze e di flagelli. I quattro soldati, a cui è consegnato, indifferenti, si sono messi a giocare a dadi con altri tre soldati sopraggiunti.
E le voci dei giuocatori si cadenzano sul suono dei flagelli che fischiano come serpi e poi suonano come sassi gettati sulla pelle tesa di un tamburo, percuotendo il povero corpo così snello e di un bianco d'avorio vecchio e che diviene prima zebrato di un rosa sempre più vivo, poi viola, poi si orna di rilievi d'indaco gonfi di sangue, e poi si crepa e rompe lasciando colare sangue da ogni parte. E infieriscono specie sul torace e l'addome, ma non mancano i colpi dati alle gambe e alle braccia e fin sul capo, perché non vi fosse brano di pelle senza dolore.
E non un lamento… Se non fosse sostenuto dalla fune cadrebbe. Ma non cade e non geme. Solo la testa gli pende, dopo colpi e colpi ricevuti, sul petto, come per svenimento.
"Ohè! Fermati! Deve essere ucciso da vivo" urla e motteggia un soldato.
I due boia si fermano e si asciugano il sudore.
"Siamo sfiniti" dicono. "Dateci la paga, che si possa bere per ristorarci…" "La forca vi darei! Ma prendete…" e un decurione getta una larga moneta ad ognuno dei due boia.
"Avete lavorato a dovere. Pare un mosaico. Tito: dici che era proprio questo l'amore di Alessandro? Allora gliene daremo notizia perché faccia il lutto. Sleghiamolo un poco.
" Lo slegano e Gesù si accascia al suolo come morto. Lo lasciano là, urtandolo ogni tanto col piede calzato dalle calighe per vedere se geme.
Ma Egli tace.
"Che sia morto? Possibile? é giovane e artiere, mi hanno detto… e pare una dama delicata." "Ora ci penso io" dice un soldato. E lo mette seduto con la schiena alla colonna. Dove Egli era sono grumi di sangue… Poi va ad una fontanella che chioccola sotto al portico, empie un mastello d'acqua e la rovescia sul capo e sul corpo di Gesù. "Così! Ai fiori fa bene l'acqua." Gesù sospira profondamente e fa per alzarsi, ma ancora sta ad occhi chiusi.
"Oh! bene. Su bellino! Che ti aspetta la dama!…" Ma Gesù inutilmente punta al suolo i pugni nel tentativo di drizzarsi.
"Su! Svelto! Sei debole? Ecco il ristoro" ghigna un altro soldato. E con l'asta della sua alabarda mena una bastonata al viso e coglie Gesù fra lo zigomo destro e il naso, che si mette a sanguinare.
Gesù apre gli occhi, li gira. Uno sguardo velato… Fissa il soldato percuotitore, si asciuga il sangue con la mano, e poi, con molto sforzo, si pone in piedi.
"Vestiti. Non è decenza stare così. Impudico!". Ridono tutti in cerchio intorno a Lui.
Egli ubbidisce senza parlare. Ma mentre si china - e solo Lui sa quello che soffre nel piegarsi al suolo, così contuso come è e con le piaghe che nel tendersi della pelle si aprono più ancora, e altre che se ne formano per vesciche che si rompono - un soldato dà un calcio alle vesti e le sparpaglia e ogni volta che Gesù le raggiunge, andando barcollante dove esse cadono, un soldato le spinge o le getta in altra direzione. E Gesù, soffrendo acutamente, le insegue senza una parola, mentre i soldati lo deridono oscenamente.
Può finalmente rivestirsi. E rimette anche la veste bianca, rimasta pulita in un angolo. Pare voglia nascondere la sua povera veste rossa, solo ieri tanto bella ed ora lurida di immondizie e macchiata del sangue sudato nel Getsemani. Anzi, prima di mettersi la tunichella corta sulla pelle, con essa si asciuga il volto bagnato e lo deterge così da polvere e sputi. Ed esso, il povero, santo volto, appare pulito, solo segnato da lividi e piccole ferite. E si ravvia i capelli caduti scomposti, e la barba, per un innato bisogno di essere ordinato nella persona.
E poi si accoccola al sole. Perché trema, il mio Gesù… La febbre comincia a serpeggiare in Lui con i suoi brividi. E anche la debolezza del sangue perduto, del digiuno, del molto cammino, si fa sentire.
Gli legano di nuovo le mani. E la corda torna a segare là dove è già un rosso braccialetto di pelle scorticata.
"E ora? Che ne facciamo? Io mi annoio!" "Aspetta. I giudei vogliono un re. Ora glielo diamo. Quello lì…" dice un soldato.
E corre fuori, in un retrostante cortile certo, dal quale torna con un fascio di rami di biancospino selvatico, ancora flessibili perché la primavera tiene relativamente morbidi i rami, ma ben duri nelle spine lunghe e acuminate. Con la daga levano foglie e fioretti, piegano a cerchio i rami e li calcano sul povero capo. Ma la barbara corona ricade sul collo.
"Non ci sta. Più stretta. Levala." La levano e sgraffiano le guance, risicando di acciecarlo, e strappano i capelli nel farlo. La stringono. Ora è troppo stretta e per quanto la pigino, conficcando gli aculei nel capo, essa minaccia di cadere. Via di nuovo strappando altri capelli. La modificano di nuovo. Ora va bene. Davanti è un triplice cordone spinoso. Dietro, dove gli estremi dei tre rami si incrociano, è un vero nodo di spini che entrano nella nuca.
"Vedi come stai bene? Bronzo naturale e rubini schietti. Specchiati, o re, nella mia corazza" motteggia l'ideatore del supplizio.
"Non basta la corona a fare un re. Ci vuole porpora e scettro. Nella stalla è una canna e nella cloaca è una clamide rossa. Prendile, Cornelio." E avutele mettono il sudicio straccio rosso sulle spalle di Gesù e prima di mettergli fra le mani la canna gliela dànno sul capo inchinandosi e salutando: "Ave, re dei Giudei" e si sbellicano dalle risa.
Gesù li lascia fare. Si lascia mettere seduto sul "trono", un mastello capovolto, certo usato per abbeverare i cavalli, si lascia colpire, schernire, senza mai parlare. Li guarda solo… ed è uno sguardo di una dolcezza e di un dolore così atroce che non lo posso sostenere senza sentirne ferita al cuore.
I soldati smettono lo scherno solo alla voce aspra di un superiore che ordina la traduzione davanti a Pilato del reo.
Reo! Di che? Gesù è riportato nell'atrio, ora coperto da un prezioso velario per il sole. Ha ancora la corona, la clamide e la canna.
"Vieni avanti. Che io ti mostri al popolo." Gesù, già franto, si raddrizza dignitoso. Oh! che è veramente re! "Udite, ebrei. Qui è l'uomo. Io l'ho punito. Ma ora lasciatelo andare." "No, no! Vogliamo vederlo! Fuori! Che si veda il bestemmiatore!" "Conducetelo fuori. E guardate non sia preso." E mentre Gesù esce nel vestibolo e si mostra nel quadrato dei soldati, Ponzio Pilato lo accenna colla mano dicendo: "Ecco l'Uomo. Il vostro re. Non basta ancora? " Il sole di una giornata afosa, che ormai scende quasi diritto perché si è a metà tra terza e sesta, accende e dà risalto agli sguardi e ai volti: sono uomini quelli? No: iene idrofobe. Urlano, mostrano i pugni, chiedono morte… Gesù sta eretto. E le assicuro che mai ebbe la nobiltà di ora. Neppure quando faceva i più potenti miracoli. Nobiltà di dolore. Ma talmente divino che basterebbe a segnarlo del nome di Dio. Ma per dire quel nome bisogna essere almeno uomini. E Gerusalemme non ha uomini oggi. Ma solo demoni.
Gesù gira lo sguardo sulla folla, cerca, trova, nel mare dei visi astiosi, i volti amici. Quanti? Meno di venti amici in migliaia di nemici… E curva il capo colpito da questo abbandono. Una lacrima cade… un'altra… un'altra… La vista del suo pianto non genera pietà, ma ancor più fiero odio.
Viene riportato nell'atrio.
"Dunque? Lasciatelo andare. È giustizia." "No. A morte. Crocifiggi."