Mendel e la genetica
Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini- Autore:
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La Genetica oggi si presenta come una disciplina dai molti volti.
È fonte di grandi speranze, soprattutto in campo medico: dalla terapia genica ci si aspettano soluzioni definitive per molte malattie ereditarie e forse anche i primi passi decisivi nella lotta contro il cancro.
D'altra parte proprio attorno alla Genetica si annodano alcune delle più acute sfide etiche delle scienze contemporanee: le tecniche di ingegneria genetica e la possibilità, purtroppo non solo teorica, di manipolazioni sugli embrioni umani, ripropongono a ricercatori, medici, legislatori e politici alcuni interrogativi profondi sulla natura dell'uomo e sul senso dell'esistenza.
È utile allora riandare alle origini di questa scienza relativamente giovane.
E alle origini troviamo la figura e l'opera di un monaco, l'abate Gregor Mendel, un agostiniano della Slesia, autore «della più grande scoperta scientifica nel campo della biologia degli ultimi 500 anni» ma ignorato per 40 anni dalla scienza ufficiale. Un personaggio schivo e umile che non poteva certo immaginare le dirompenti conseguenze applicative dei suoi esperimenti; anche se era ben consapevole di aver compiuto un notevole passo avanti nella conoscenza della natura.
Soprattutto Mendel aveva chiari alcuni principi fondamentali su cosa fosse la ricerca scientifica, sui suoi rapporti con l'etica e con la fede; principi che, se adottati anche oggi farebbero assumere alla Genetica una ben diversa fisionomia.
Il contesto in cui operò Mendel
L'opera di Mendel si innesta su un problema affrontato fin dall'antichità e di grande importanza per la civiltà dei contadini e allevatori: la trasmissione dei caratteri ereditari.
Fino agli inizi dell'800 era rimasto incompreso il ruolo dei due genitori nella formazione delle progenie; teorie di derivazione filosofi-ca o, più spesso, folkloristica, venivano accreditate anche in ambito scientifico. Risultati che avrebbero potuto aprire nuovi orizzonti erano stati conseguiti dai botanici che studiavano l'ibridazione delle piante; ma soprattutto in ambito tedesco era risultato prevalente il clima culturale creato dalla Filosofia della natura, col suo carattere unitario e poco incline a considerare il contributo di singoli elementi rispetto al tutto; ad essa si aggiungeva la teoria fissista, che bloccava ogni ricerca delle cause della variabilità tra le diverse specie viventi.
Verso la metà del secolo, tuttavia, entrambe queste concezioni subiscono assalti decisivi: l'unitarietà e la continuità della natura sembra incrinata dall'affermarsi in Chimica della teoria atomica; mentre sul problema dell'origine delle specie arriva il ciclone Darwin, con tutto il suo contorno filosofico e ideologico.
In tale situazione il giovane abate Mendel arriva all'università di Vienna per frequentare il corso di Scienze naturali. Giungeva dal monastero di Brno, dove era entrato nel 1843 per essere ordinato sacerdote quattro anni più tardi.
Pur di famiglia povera, la sua spiccata attitudine per gli studi aveva spinto i genitori a fargli frequentare il liceo e successivamente a laurearlo in Filosofia; a questo punto ecco la decisione di farsi agostiniano.
Dall'ambiente contadino moravo aveva appreso la passione per la natura e la scrupolosità e precisione nel lavoro su di essa.
Nel monastero di Brno Mendel trova un centro di cultura e un luogo di scienza molto apprezzato; trova una raccolta botanica molto ricca e lo spazio per iniziare gli esperimenti di incrocio tra piante di piselli comuni, che gli daranno poi la celebrità.
A Vienna incontra maestri che completano la sua formazione scientifica e lo avviano all'approccio sperimentale e alla applicazione dei metodi matematici nell'elaborazione dei risultati.
È proprio al livello del metodo che si rileva un fondamentale contributo di Mendel alla Genetica: egli per primo applica lo strumento matematico, e in particolare la statistica e il calcolo delle probabilità, nello studio dell'eredità biologica. Gli storici della scienza sono incerti nello spiegare come il monaco slovacco sia giunto a tale risultato: chi lo attribuisce all'influenza del fisico Doppler, docente a Vienna, chi agli studi meteorologici compiuti dal giovane Mendel, chi ancora ricorda il ruolo attribuito da sant'Agostino ai numeri e alle proporzioni matematiche nella comprensione della natura.
Quanto ai risultati, dopo sette anni di esperimenti, due di elaborazione dei dati, e dopo aver analizzato almeno 28.000 piante di Pisum sativum, l'abate Gregor arrivò a formulare tre leggi valide an-cor oggi, a distanza di un secolo, e ora spiegate anche a livello di biologia molecolare.
Alla base delle ricerche di Mendel c'era un'idea innovativa: quella che l'eredità fosse un fenomeno «particellare» dovuto all'azione di «fattori» specifici presenti nei genitori; un'idea azzardata per le concezioni del tempo, quando il modello generalmente accettato era quello di eredità per «rimescolamento» di caratteri plasmabili esistenti nel sangue.
Soltanto nel 1903 ai «fattori» ipotizzati da Mendel fu dato il nome di geni e nel 1906 Bateson definì col termine Genetica la scienza dell'ereditarietà; ed è storia recente quella che conduce a collocare i geni su frammenti di DNA, i cromosomi, e a tentare di redigere la mappa completa del patrimonio ereditario dell'uomo, il cosiddetto genoma.
Altri aspetti di questa scoperta meritano di essere citati, in quanto aiutano meglio a delineare i caratteri del metodo sperimentale e i problemi che anche oggi si possono porre di fronte a risultati imprevisti.
Si è discusso molto se Mendel fosse giunto alle sue conclusioni solo per tentativi, grazie alla pazienza di accumulare casi su casi. Sembra che le cose non siano andate così.
Mendel, oltre ad essere uno specialista nell'ibridazione di piante, aveva ben presente quale ipotesi andasse a verificare; ne è una riprova la descrizione accurata con cui racconta la scelta del tipo di esperimenti da eseguire, delle condizioni necessarie, delle scelte da compiere per non mancare un obiettivo tutt'altro che vago.
Qualcuno poi, colpito dalla straordinaria precisione dei risultati, ha avanzato l'accusa di falso nei confronti del monaco scienziato: Mendel avrebbe truccato i dati per avallare le sue tesi. Dopo decenni di dibattiti, nel 1975 il biologo Blixt ha definitivamente smentito l'insinuazione, reinterpretando le scelte felici di Mendel alla luce delle nuove conoscenze sulla genetica di quel tipo di piante.
Censura e riscoperta
Mendel, seguendo la regolare prassi scientifica, presentò i risultati durante due sedute della Società di Scienze Naturali di Brno, che li pubblicò nei suoi annali. 120 copie della relazione furono spedite in tutta Europa e giunsero ai maggiori biologi del momento. Eppure la scoperta fu ignorata.
Il perché non è poi così difficile da individuare.
Anzitutto sta il fatto che l'autore della scoperta era un monaco, al di fuori del mondo accademico e fino ad allora sconosciuto dalla scienza ufficiale.
Un'altra ragione sta nella diffidenza che ancora permeava la comunità scientifica del tempo di fronte a conclusioni basate su trattazione statistica di numerosi dati; si può dire che «la scoperta era probabilmente prematura per le conoscenze biologiche del tempo».
Più acute sono le osservazioni di Giuseppe Sermonti, che mette direttamente in collegamento la vicenda di Mendel con le sorti della teoria evoluzionistica darwiniana. Mendel era certo al corrente dei lavori di Darwin, di pochi anni più vecchio; la conoscenza diretta dei testi darwiniani fu però successiva ai suoi esperimenti con i piselli; viceversa Darwin non sentì probabilmente neppure nominare il modesto botanico del monastero di Brno.
In ogni caso i loro erano due problemi diversi. Darwin voleva capire l'origine delle varietà delle specie viventi; Mendel cercò invece di spiegare il meccanismo che consentiva la continuità nella trasmissione dei caratteri. Per il primo, e per i suoi seguaci, l'idea dominante era quella della continua mutazione, del graduale cambiamento dei viventi e della sopravvivenza di quelli meglio adattabili all'ambiente.
Per Mendel la preoccupazione era trovare gli elementi discreti, ben definiti, che si trasmettevano di generazione in generazione.
Soltanto che Darwin era riuscito ad imporre il suo come problema centrale della Biologia. «La gente — scrive Sermonti — si aspettava di saperne qualcosa di più in proposito e le esperienze di Mendel erano del tutto fuori tema. Se pure fossero state conosciute nei dettagli e nello spirito, esse sarebbero state considerate irrilevanti, perché non dicevano nulla sul problema dell'origine della specie... Se Mendel fosse stato capito, sarebbe stato a maggior ragione rifiutato...».
In effetti Mendel aveva risolto un problema per il quale Darwin non aveva risposte; ma se anche l'opera dell'abate fosse capitata nelle mani dello scienziato inglese, sempre secondo Sermonti, non avrebbe trovato accoglienza: «il problema di Darwin era quello del trasferimento alla discendenza delle piccole variazioni; un altro problema, quasi opposto a quello di cui Mendel si occupava».
Questi giudizi, difficilmente contestabili sul piano storico, permettono anche di spiegare la riscoperta di Mendel, operata da De Vries, Correns e Tschermak nell'anno 1900. I tre, dopo essere giunti alle stesse conclusioni del monaco boemo, si accorsero della sua opera e, più o meno volentieri, gliene riconobbero il merito. Ma il loro lavoro è quello di biologi della generazione dopo-Darwin: «il paradigma della variazione continua era ormai caduto» i giovani biologi erano lontani dallo spirito della crociata evoluzionistica ed eriditavano una Biologia dove le tesi di Darwin iniziavano a mostrare segni di crisi.
Mendel uomo e credente
Non sono molte le testimonianze sulla vita e il pensiero del padre della Genetica. Tutte però concordano nel descriverlo come un ricercatore silenzioso, mite e schivo; non risentito per i mancati riconoscimenti in campo scientifico.
Dopo il disinteresse seguito alla diffusione dei suoi risultati tuttavia, la sua attività scientifica rallentò, fino a terminare del tutto anche a causa dei nuovi impegni di carattere pastorale e sociale che gli vennero affidati.
La profonda spiritualità lo portò a vedere sempre le vicende della vita come obbedienza consapevole a una chiamata superiore.
L'attività di ricercatore fu certamente parte di questa «vocazione» e ciò gli permise di viverla con grande dedizione ma con sufficiente distacco.
Secondo il suo biografo Iltis, «era piuttosto portato a considerare i fatti, e comunque a non lasciarsi andare a speculazioni e sentimentalismi».
A sorreggere tutta l'attività scientifica è comunque servita la convinzione, maturata fin dagli anni giovanili, che «le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia che è compito dell'uomo scoprire per il bene dell'uomo stesso e la gloria del Creatore».
Oggi la Genetica è una disciplina affermata. Ma non ha risolto tutti i suoi problemi teorici; e soprattutto si trova in un momento in cui il confine tra attività conoscitiva e applicazioni è assai tenue.
Maggiore perciò è il bisogno di vedere chiari i limiti e i criteri di azione. È il bisogno di essere coltivata da gente che, in qualche misura, si paragoni con le dimensioni dell'obbedienza e del distacco incarnate da Mendel. È il bisogno, ancor più, di clima di alta tensione morale e di grande rispetto per la realtà e la verità.
Purtroppo l'impressione più evidente è che tale clima stenti a manifestarsi.