Il "caso Galileo"

Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
Autore:
Gargantini, Mario

«È importante che i teatri tengano presente che, qualora la rappresentazione di questo dramma venga diretta principalmente contro la Chiesa cattolica, esso è destinato a perdere gran parte della sua efficacia... La Chiesa non ha il diritto di vedere occultate le debolezze umane dei suoi membri; ma il dramma non intende neppure gridare alla Chiesa: "giù le mani dalla scienza!"». Così scriveva niente meno che Berthold Brecht, in occasione della rappresentazione teatrale del suo «Vita di Galileo» nell'estate del 1947 in California. Sono affermazioni sistematicamente dimenticate in tutti i dibattiti che accompagnano ogni rinnovata versione del celebre dramma.
Soprattutto sono dimenticate nelle discussioni che puntualmente si innescano nelle aule scolastiche quando, in Storia, Filosofia, Scienze o Letteratura, ci si imbatte nell'«affare Galileo».
È opportuno perciò puntualizzare alcuni criteri utili per leggere adeguatamente questa vicenda.

L'opera di Galileo
Bisogna anzitutto comprendere il contenuto essenziale dell'opera di Galileo, riassumibile in tre risultati scientifici:
• la prima descrizione cinematica corretta del moto di caduta dei gravi e, conseguentemente, l'iniziale superamento della separazione aristotelica tra fisica terrestre e celeste (che sarà completato nella sintesi newtoniana un secolo dopo);
• il primo impiego «scientifico» del telescopio che, a dispetto di quanto molti libri di testo continuano a ripetere, non è stata una sua invenzione: il merito di Galileo è stato quello di averlo utilizzato per tentare di controllare alcune ipotesi scientifiche sull'universo; il gesto veramente rivoluzionario è stato quello di puntare verso i cieli «l'occhiale» degli olandesi, di cui era venuto a conoscenza grazie ai mercanti veneziani;
• la prima formulazione del principio di relatività dei moti, che resterà il punto di partenza, tre secoli più tardi, della imponente costruzione teorica rappresentata dalla relatività einsteiniana.
Tuttavia l'importanza scientifica del grande pisano sta altrove; prima e più che nei risultati conseguiti, è dal metodo che si dovrà valutare il suo decisivo apporto allo sviluppo della cultura occidentale moderna. Con Galileo si stabilisce una modalità nuova di fare scienza che, nelle sue linee portanti, continuerà fino ai giorni nostri.
Una modalità che è molto di più di una tecnica o di una serie di abilità conoscitive e pratiche: è un modo nuovo di porsi di fronte alla natura, un diverso approccio alla realtà, reso possibile dalle diverse domande di partenza affrontate da Galileo. E ciò non è comprensibile senza un riferimento al contesto storico e culturale: Galileo è un uomo del suo tempo, un tempo travagliato, in cui si andava affermando una nuova immagine di uomo e di cosmo, in cui si ponevano ovunque nuove domande, nuovi interrogativi, in cui nascevano nuove aspettative nei confronti del sapere.

Al di là dei miti

Si può ben capire, quindi, come siano riduttivi e mal impostati i dibattiti che riconducono tutta la questione al solo processo e ai rapporti tra Galileo e la Chiesa; anche perché la cultura contemporanea non è ancora riuscita a liberarsi da una serie di miti e deformazioni storiche che inquinano pesantemente l'opinione corrente e non mancano neppure nelle opere di studiosi e divulgatori.
Elenchiamone alcuni.
1. L'apporto di Galileo è stato decisivo per il sorgere della scienza moderna, ma non è stata una partenza da zero. La concezione aristotelica del moto si stava già sgretolando sotto i colpi di alcuni studiosi medioevali (Giordano Nemorario, Filopono, Buridano, Benedetti...); e anche circa il metodo c'era stato l'importante contributo della scuola di Oxford (Grossatesta e R. Bacone) dove si faceva già fisica sperimentale.
2. Galileo non ha codificato il metodo scientifico, non l'ha ridotto a un elenco di regole, ben consapevole che la conoscenza scientifica è un'avventura a più dimensioni, carica di tutta la drammaticità e l'imponderabilità di ogni altra impresa umana. Come pure l'attenzione galileiana per l'aspetto sperimentale non va confusa con quell'atteggiamento empiristico, diffusosi specie nei paesi anglosassoni nei secoli successivi.
3. Più difficile da rimuovere è il mito della subordinazione della scienza alla tecnica; anche perché in Italia ha ricevuto l'imprimatur di Ludovico Geymonat.
L'esempio del cannocchiale è emblematico. Per Geymonat la scienza moderna non si sarebbe evoluta senza le nuove tecniche osservative; viceversa bisogna dire che il cannocchiale non sarebbe entrato nella storia del sapere se Galileo non avesse «osato» puntarlo verso il cielo: un gesto non necessitato dall'esistenza dello strumento bensì dalla pressione di idee e teorie da verificare.
4. Il metodo sciejitifico non rende immuni da errori. Lo stesso Galileo aveva poggiato la sua difesa di Copernico su un modello teorico delle maree, rivelatosi completamente sbagliato (e il Dialogo dei massimi sistemi era nato proprio come Dialogo sulle maree).
5. In campo astronomico Galileo non ha potuto applicare il suo metodo così bene come in meccanica; diversamente da quanto riportato in non molti affrettati giudizi, nelle sue opere non c'è la dimostra-zione dell'ipotesi copernicana. E non poteva esserci in quanto Galileo:
— non ha saputo cogliere l'aspetto dinamico del problema
— non ha considerato le leggi di Keplero;
non ha ammesso che il moto circolare non poteva essere inerziale;
— non ha distinto tra massa e peso.
Il suo è stato un ottimo lavoro di osservazione e di raccolta di prove non tanto pro-Copernico quanto contro il modello tolemaico; basterà citare: le macchie solari, le fasi di Venere, i satelliti di Giove, gli
anelli di Saturno. Da notare che, secondo recenti riletture del Dialogo, Galileo non avrebbe mai dichiarato di aver «dimostrato» il modello copernicano: se la dichiarazione non c'è mai stata, cade allora ,la tesi che l'abiura sia stata uno spergiuro...
6. È da rivedere anche l'immagine della situazione di allora come dominata da due schieramenti contrapposti: Galileo e i progressisti da un lato, la Chiesa e i conservatori dall'altro. Le nuove idee scientifiche erano stimate da molti ecclesiastici e dallo stesso Papa Urbano VIII. Le ricerche di W. Wallace hanno rimesso in luce il debito di Galileo verso i gesuiti del Collegio romano, solitamente visti come i suoi più accaniti oppositori. E il verdetto del processo non è stato all'unanimità: mancavano 3 firme su 10, compresa quella del card. Barberini, nipote del Papa.
7. Infine non è affatto vero che la condanna di Galileo abbia frenato la scienza. Le ricerche sono continuate ininterrotte secondo l'impostazione del nuovo metodo sperimentale e, in campo astronomico, il modello eliocentrico si è gradatamente affermato (anche se si dovrà attendere un secolo per inquadrarlo in una coerente teoria, la gravitazione newtoniana, e ancor di più per avere delle «prove» risolutive).
Bisogna inoltre guardarsi dall'interpretare i fatti col filtro dell'attuale società dell'informazione: all'epoca il caso Galileo non fu affatto un «caso». Il processo ebbe scarsa risonanza, anche negli ambienti culturali, e all'interno dell'Inquisizione stessa la sua collocazione era nella terza classe, cioè tra quelli non particolarmente importanti. Il suo innalzamento a caso emblematico è di molto posteriore: è l'ingombrante eredità del secolo dei lumi e del positivismo ottocentesco, abituati a vedere la Chiesa come rivale e ostacolo al progresso della scienza e dell'umana razionalità; un'abitudine «irrazionale» in quanto contraria alle evidenze della storia.

Il processo

Ancora una volta è necessario cercare di esaminare i fatti tenendo debito conto del contesto.
Siamo nei primi decenni del 1600: di fronte alla Chiesa, impegnata nell'opera di Riforma partita col Concilio di Trento, c'era una gravissima situazione dell'Europa, scossa dalla guerra dei 30 anni; nello stesso tempo si assisteva a un prorompente sviluppo delle arti, della filosofia e delle scienze.
Iniziava a diffondersi, forse senza che i protagonisti ne avessero completa consapevolezza, una diversa modalità di rapporto tra i fedeli e l'autorità: l'obbedienza diventava limite e vincolo all'esprimersi dell'autonomia dell'individuo e non più aiuto per una crescita pienamente umana.
Il caso Galileo si colloca nelle pieghe di questo dramma: di un'incapacità, da entrambe le parti, a condurre quel sereno e fecondo dialogo, rispettoso delle reciproche competenze e funzioni, che resta l'unica via per comporre qualunque dissidio.
Più di uno storico concorda nel giudizio che senza le intemperanze nel comportamento dello scienziato, le cose forse avrebbero seguito un altro corso. La procedura seguita per ottenere l' «imprimatur», l'affrettata stampa a Firenze senza che il censore padre Riccardi potesse rileggere il testo, e l'atteggiamento nei confronti dell'ex-amico Urbano VIII, costituiscono una serie di errori evitabili e che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica. I
II più autorevole traduttore inglese di Galileo, lo storico Stillman Drake, giudica il Dialogo «ironico fino al cinismo e cinico fino all'ipocrisia» e si meraviglia di «come il libro potesse aver ottenuto una. licenza di stampa anche da parte del più disattento teologo cattolico del tempo».
Al di là dei problemi di temperamento, tutto il rapporto tra Galileo e le autorità romane può essere letto come manifestazione di quella pretesa autosufficienza e assolutezza del sapere scientifico, presente soltanto in germe nel suo pensiero, ma destinata a imporsi in seguito. Una pretesa riassorbita nel gesto finale di sottomissione, difficile da giudicare, ma probabilmente meno forzato o dettato da semplice paura di quanto spesso lo si presenti. Peraltro, durante il dibattimento e dopo, Galileo fu sempre trattato con la massima cortesia: non fu mai rinchiuso in carcere né subì torture. Se la tortura fu minacciata, era per ottemperare a una formula rituale, tipica di quei processi e, in ogni caso, gli fu rivolta alla fine del procedimento, quando egli aveva già accettato l'abiura.
Dal canto suo anche la Chiesa ha molto da obiettare circa l'operato di molti suoi esponenti di quel tempo, tanto da giustificare le parole di Giovanni Paolo II: «Galileo [...] ebbe molto a soffrire — non possiamo nasconderlo — da parte di uomini e organismi di Chiesa», e l'invito affinché «si approfondisca l'esame del caso Galileo, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano».

«Ex suppositione...»
In realtà la Chiesa stava iniziando a considerare in modo più aperto ;e conquiste del sapere scientifico. La messa all'indice, nel 1616, del libro di Copernico va strettamente connesso all'«ardore polemico con cui Galileo si segnalò nei cenacoli colti della Roma patrizia ed ecclefsiastica». Il Concilio di Trento invece non aveva condannato l'eliocentrismo, anzi c'era stato un invito a esaminare le teorie copernicane, considerandole come «ipotesi» interessanti.
Molti epistemologi non esitano a definire «moderna» la posizione del card. Bellarmino che avrebbe chiesto a Galileo di trattare il modello copernicano «ex suppositione e non assolutamente»: una posizione che richiama il carattere circoscritto e rivedibile del sapere scientifico, oggi riconosciuto da tutti.
Prevalsero però le faziosità di alcuni e «l'istruttoria processuale fu sintetizzata in alcune pagine tanto piene di errori e di inesattezze da attenuare la colpa di Urbano VIII e dei cardinali del sant'Uffizio se essi si servirono di quell'infelice riassunto per decidere la sorte dell'imputato».
Gli studi riaperti qualche anno fa, dopo lo storico discorso del Papa, in occasione del 350es'mo del processo, hanno contribuito a inquadrare meglio l'intera vicenda nel suo tempo e in riferimento all'oggi, e non si può certo condividere l'opinione di chi consigliava la Chiesa a «mettere una grossa pietra sul passato [...] lasciando questi capitoli infausti consegnati alla storia»."