Le "armonie celesti" di Keplero

Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
Autore:
Gargantini, Mario

Chi ha mai detto che una visione metafisica o addirittura mistica non possa offrire spunti preziosi per il procedere della ricerca scientifica?
Non ci riferiamo al taoismo e alle filosofie orientali, oggi tanto di moda tra i fisici; in questi casi, più che fornire suggerimenti all'indagine scientifica, la filosofia svolge la funzione di copertura e di pronto soccorso epistemologico per superare (apparentemente) i colli di bottiglia in cui la fisica subnucleare si è infilata.
Vogliamo piuttosto ritornare a quel tormentato periodo, passato alla storia con il termine di «rivoluzione scientifica» ma vissuto dai protagonisti in modo ben poco rivoluzionario.
È il caso anche di Giovanni Keplero, uno dei primi e autorevoli sostenitori della cosmologia copernicana.

Tra Platone...
Vissuto, come Galileo, a cavallo tra il 1500 e il 1600, in una terra travagliata come la Germania, risente più che mai di tutte le difficoltà ideologiche e spirituali dell'epoca; riuscendo tuttavia a trasformare quel ribollire di tendenze contraddittorie in ricchezza di immagini e di idee.
La sua prima delle tre ben note leggi, quella che colloca la Terra su di un'orbita ellittica con il Sole in uno dei fuochi, è forse altrettanto «rivoluzionaria» quanto l'ipotesi eliocentrica di Copernico. Lo stesso abate polacco, come pure Galileo, non avevano osato intaccare il dogma platonico della circolarità dei moti celesti, simbolo di uniformità e di perfezione. Keplero invece non esita a infrangere la barriera, forte di quell'attaccamento ai dati delle osservazioni assimilato negli anni di collaborazione con il grande astronomo Tycho Brahe.
Come pure non evita di porsi in contrasto con Galileo sulla questione delle maree, facendosi accusare da quest'ultimo di aver «prestato fede a delle proprietà occulte e altre simili fantasie».
In entrambi i casi aveva ragione lui; ma ci volle più di un secolo, e il genio sintetico di Newton, per dimostrarlo.
A dispetto di queste posizioni progressiste, l'«humus » culturale di Keplero era imbevuto di tradizione classica. A partire proprio da Piatone. È evidente il riferimento al filosofo greco nella ardita costruzione del modello kepleriano di sistema solare. Keplero non possedeva ancora la chiave interpretativa dei moti planetari (che verrà fornita dalla legge di Newton); d'altra parte doveva pur spiegarsi come mai i pianeti obbedissero alle sue tre leggi, ricavate dalle osservazioni empiriche.
Ecco allora il ricorso a Platone, alla stupefacente architettura del cosmo, disegnata nel Timeo e basata sui cinque poliedri regolari.
Nel Mysterium Cosmographicum, lo scienziato tedesco costringe le orbite planetarie su sfere concentriche inscritte e circoscritte nei cinque solidi platonici: cubo, tetraedro, pentadodecaedro, icosaedro e ottaedro. Ma non si tratta di pura ipotesi fantastica: Keplero, come tutti i nuovi fisici, era anzitutto un matematico e prima di proporre il suo modello aveva «calcolato»: ebbene, il fatto sorprendente è che i rapporti tra i raggi dei pianeti desunti dalle osservazioni dirette si adattano assai bene ai rapporti ricavati dalla pura costruzione geometrica. Oggi sappiamo che ciò non basta per stabilire una legge fisica: ci vuole la controprova dell'esperimento. Lo sforzo di Keplero rese tuttavia sintomatico di un momento di passaggio dove l'insopprimibile tentazione dell'uomo di fantasticare inizia a sottoporsi al rigore della matematica e ad obbedire al responso degli strumenti di osservazione.
Peraltro alcuni commentatori hanno sottolineato il carattere apertamente allegorico e simbolico del Mysterium Cosmographicum, che lo avvicina ancor di più al Timeo platonico. Conservando alcuni simboli antichi, l'autore li traduce nella visione cristiana (Keplero era protestante): così il pentadodecaedro, che per Platone simboleggiava la bellezza dell'intero universo, qui racchiude l'orbita della Terra e quindi l'uomo «fine di ogni creazione». Come pure la simmetria platonica è conservata ponendo la Terra in mezzo ai pianeti.
Forse Keplero non sarebbe neppure stato troppo disturbato dalle affermazioni di Arthur Koestler che ha bollato questo suo lavoro come «pseudo-scoperta»: più forte era l'esigenza di evitare la divaricazione forzata tra le implacabili strade della scienza quantitativa e la potente visione del mondo fondata sull'ipotesi di un Creatore buono.
Certo non si può non essere d'accordo con Poincaré quando afferma che «questa idea non conteneva nulla di assurdo ma era sterile, dal momento che la natura non è fatta così».

...e Pitagora
Sterile però non si è rivelata la convinzione, già dei pitagorici, che «Dio geometrizza sempre». Convinzione abbracciata entusiasticamente da Keplero al punto di fargli scrivere un grande trattato sull'Armonia del mondo (Harmonices mundì). E se i greci hanno coniato il termine cosmo, che significa bellezza oltre che ordine, la scienza di tutti i tempi ha trovato nella geometria lo strumento concettuale per dare alla bellezza anche un supporto oggettivo e rigoroso.
I fisici e i biologi moderni macinano nei loro computer miliardi di numeri per trovare nuove simmetrie e nuove strutture da applicare ai fenomeni naturali; la stessa cosa ha fatto Keplero, con gli strumenti allora disponibili.
E, sulla scia di Pitagora, ha visto nelle armonie musicali il paradigma di tutta la realtà. La ragione di ciò sta in una analogia cosmica che vedrebbe riflessa in tutti i fenomeni la precisa armonia dei rapporti geometrici esistente tra i corpi celesti e impressa dal Creatore all'universo come un codice genetico.

L'analogia trinitaria
E sterile non si è rivelata neppure l'analogia trinitaria, la più scandalosa agli occhi illuminati dei moderni, se ha portato Keplero a difendere per primo pubblicamente l'ipotesi copernicana e a trovare spunti per le tre leggi; le quali restano valide anche nell'era della relatività e dei viaggi spaziali. La preferenza di Keplero per un universo eliocentrico piuttosto che geocentrico era espressamente di origine metafisica. «Io cercherò questa analogia nella mia futura opera cosmografica... Il Sole nel mezzo degli astri mobili, lui stesso immobile e pertanto sorgente di movimento, è l'immagine del Creatore di Dio Padre. Egli distribuisce la sua forza motrice attraverso un mezzo che contiene i corpi in movimento, allo stesso modo che Iddio Padre crea attraverso lo Spirito Santo». Quindi Sole, astri e spazio interstellare come Padre, Figlio e Spirito Santo.
È a partire da una visione così imbevuta di medioevale atteggiamento apologetico che Keplero arriva alle conclusioni più moderne Giungendo, nell'Astronomia Nova, a sfiorare il principio della gravitazione universale newtoniana, probabilmente troppo in anticipo sui tempi della storia. E anticipando una visione della attrazione tra i corpi molto più vicina al concetto di «campo», con cui i fisici moderni descrivono tutte le diverse interazioni: gravitazionali, elettro-magnetiche e nucleari.

Le sorgenti della scienza

La scienza è cresciuta anche per opera di gente come Keplero, con tutto il suo misticismo e le sue «fantasie».
Il secolo dei lumi, che tanto si è vantato di aver portato a compimento la rivoluzione scientifica, ha ignorato la sorgente dell'ispirazione di tanti grandi scienziati: forse per non dover ammettere che tale sorgente era la visione cristiana della vita e della storia. Così, nella sua «arroganza razionalista», come la chiama Koestler, ci ha tramandato una storia monca, privata degli inizi delle più belle avventure. E, quel che è peggio, ha abituato storici e scienziati a sottovalutare gli inizi. Al punto da indurre uno spirito sensibile come Einstein a cedere al luogo comune dichiarando (1952) che «Keplero era un protestante devoto» ma il suo successo scientifico dipendeva dall'essersi «liberato in grande misura dalla tradizione spirituale in cui era nato».
Se è vero che la scienza contemporanea soffre di una crisi di legittimità, personaggi come Keplero e gli scienziati suoi contemporanei costituiscono una provocazione e una testimonianza preziosa, soprattutto sul piano degli atteggiamenti e dell'impostazione di partenza.
Dopo l'ubriacatura positivista e neo-positivista, gli scienziati si sono trovati a corto di « ragioni » che possano giustificare la fatica della ricerca: si sono accorti che per conoscere la realtà non basta avere un metodo, per quanto raffinato: ci vuole soprattutto un «movente», un desiderio, una aspettativa, che trascenda il semplice risultato scientifico e resista alla difficoltà e all'insuccesso. I giovani oggi non hanno difficoltà ad apprezzare l'efficacia del metodo sperimentale né ad assimilarne i procedimenti: più difficile è convincerli che può valere la pena dedicare il proprio lavoro allo studio di oggetti lontani miliardi di anni luce, come le galassie, o contenuti in miliardesimi di metro come i frammenti del Dna.
Keplero aveva ereditato dai secoli precedenti «la sorgente» da cui può sgorgare la linfa della conoscenza. Una sorgente, come tutte, che si fa strada in mezzo al fango, che sgorga tra le pietre e trascina con sé macchie e impurità: ma che è energia prorompente e promessa di fecondo cammino.