Max Planck: rivoluzionario contro voglia

Per una storia della scienza attraverso le figure più significative. Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
Autore:
Gargantini, Mario

Nel 1947 si era sparsa la voce di una conversione al cattolicesimo del celebre fisico tedesco Max Planck; la cosa non avrebbe stupito più di tanto i numerosi ascoltatori delle sue ultime conferenze, sempre cariche di richiami alla dimensione religiosa della vita e della stessa ricerca scientifica.
La notizia fu comunque smentita dallo stesso scienziato, ormai 89enne e prossimo alla fine: «Sono sempre stato profondamente religioso — scrisse allora a un suo amico — ma non credo in un Dio personale, tanto meno nel Dio dei cristiani».
Conversione a parte, la figura di Planck resta una delle più significative della scienza contemporanea e costituisce un punto di riferimento inevitabile per chi è interessato a un confronto con essa.

La vita e i dilemmi

Nella sua lunga esistenza Planck ha incarnato la figura dell'uomo tutto d'un pezzo, con un radicato senso del dovere e una dirittura morale inflessibile.
Le testimonianze di molti che l'hanno accostato concordano nel dichiarare che non prendeva mai decisioni in base all'interesse personale, ma a tutto anteponeva l'osservanza di quei principi di lealtà, di obiettività e di rispetto della verità, ereditati da una discendenza di studiosi, giuristi e ministri del culto.
Attraversò vicissitudini familiari tragiche, sullo sfondo delle altrettanto tragiche sorti della nazione tedesca che tanto amava: un figlio morto durante il primo conflitto mondiale, le due figlie morte di parto e l'ultimo figlio impiccato dai nazisti.
Solo in quest'ultima circostanza restò abbattuto e perse quell'ottimismo che invece aveva contrassegnato tutte le altre vicende; fino ad allora, era sempre riuscito a trovare la forza d'animo per rispettare gli impegni assunti, anche nei momenti di difficoltà personale.
Data la sua posizione di simbolo della scienza tedesca, si trovò ad affrontare situazioni delicate e fu posto di fronte a numerosi dilemmi. Un recente libro dello storico americano John L. Heilbron, li ricostruisce nei particolari cercando di esplicitare le motivazioni delle sue scelte, non sempre apprezzate dai colleghi; soprattutto nel periodo nazista, quando Planck decise di non dichiarare pubblicamente il suo dissenso, ma di sfruttare la sua posizione per salvare il salvabile. Per discutibili che fossero le sue decisioni, apparenti cedimenti di fronte al regime, risulta chiaro come in lui era sempre una ragione di ordine superiore a prevalere, e mai giunse a compromessi con la propria coscienza.

«Un rivoluzionario contro voglia»
Con questa definizione lo presenta Emilio Segrè, riferendosi al contributo portato da Planck alla scienza del '900.
La sua attività scientifica è stata infatti contrassegnata da un sorprendente paradosso. Legato com'era a una visione tradizionale della scienza, si è trovato a introdurre il concetto più rivoluzionario della scienza contemporanea, il quanto d'azione, inaugurando una nuova branca della fisica: la fisica quantistica.
Anche questa non fu una decisione facile. Per anni, come lui stesso racconta, ha tentato di spiegare certi fenomeni singolari in base ai concetti classici. Fu «costretto» a introdurre la discontinuità quantistica, proprio all'alba del nuovo secolo; e in seguito si sforzò inutilmente di ricondurre la nuova fisica entro le interpretazioni tradizionali.
Ma ciò non fa che riproporre quella categoria costante del suo pensiero, che lo guidava anche nelle scelte non scientifiche: il rispetto della verità. Fu lo stesso criterio che lo rendeva capace di abbandonare un'ipotesi quando la riconosceva falsa, e di riconoscere quanto di buono vi era nelle scoperte e nelle idee degli altri. Grande fu, ad esempio, la sua ammirazione per le teorie di Einstein, del quale divenne amico nonostante le profonde divergenze in materia politica.
Essendo rimasto sulla scena della fisica per 70 anni, ne ha vissuto tutto il travaglio che, dalla grande unificazione maxwelliana di elettromagnetismo e ottica, ha portato nel pieno dell'era nucleare. È naturale perciò che si sia imbattuto in teorie superate, che abbia imboccato strade destinate a chiudersi e che sia dovuto più volte ritornare sulle sue idee per adeguarsi ai nuovi orientamenti in via di affermazione. Ma, come era restio a cambiare opinione prima di averne maturato una convinzione seria e documentata, così era pronto a difendere con decisione le nuove tesi, facendo una serena autocritica. È il caso dell'ipotesi atomica, cioè della natura discontinua della materia, da lui inizialmente avversata ma ben presto riconosciuta come valida e portata fino alle estreme conseguenze.
Nella sua scoperta fondamentale, gli sarebbe toccato fare ancor di più: cioè spingere questa idea della discontinuità oltre i confini della materia per coinvolgere anche l'energia: la sua famosa formula infatti parla di un'energia che si irradia per quantità discrete e che non può assumere valori qualsiasi ma solo multipli di un valore di base. «Fu un atto di disperazione. Avevo già lottato per sei anni con il problema del corpo nero. Sapevo che il problema era fondamentale e ne conoscevo la legge; una spiegazione teorica doveva trovarsi a qualunque costo... I miei vani tentativi di riconciliare in qualche modo il quanto elementare con la teoria classica continuarono per molti anni e mi costarono grandi sforzi. Molti dei miei colleghi videro in ciò quasi una tragedia ma io la penso diversamente perché la profonda chiarificazione che ricevetti da questo lavoro fu di gran valore per me».

La sua visione del mondo e della scienza

Come per Einstein, anche in Planck il contributo «rivoluzionario» in campo scientifico si accompagnava a una acuta sensibilità filosofica. «Ci si lamenta — scriveva Harnack — che la nostra generazione non abbia più filosofi. Ingiustamente: essi ora provengono da altre facoltà. Si chiamano Planck e Einstein».
La prima campagna filosofica di Planck fu contro il positivismo, visto come un costante pericolo per gli scienziati per quel suo svuotare di significato le domande più interessanti sulla realtà.
L'altro tema, che sta tornando di grande attualità nel dibattito ài fine secolo, è quello del realismo. Planck si trovò a combattere dapprima l'epistemologia di Ernst Mach, fautore di una fisica «antropomorfa» e negatore dell'esistenza di una realtà indipendente dalle nostre conoscenze. Per Mach le sole realtà erano le sensazioni e le scopo della scienza era la ricerca del «più economico» adattamento del pensiero all'esperienza. Planck invece era convinto della presenza di un mondo reale del quale l'uomo può comprendere, parzialmente le leggi.
Per questo si trovò in disaccordo con l'interpretazione dominanti della meccanica quantistica, quella della cosiddetta scuola di Copenhagen, secondo la quale noi non conosciamo la realtà ma soltanto i «fenomeni», cioè l'insieme delle cose e dei procedimenti con i quali osserviamo. Secondo Bohr e compagni, l'osservatore giocherebbe un ruolo decisivo nella misura della realtà fisica la cui conoscenze oggettiva diventerebbe impossibile: e ciò come conseguenza degli sviluppi di quella teoria dei quanti di cui Planck era stato involontarie iniziatore.
Planck si schierò dalla parte dei realisti, con Einstein e Schroedinger, giudicando l'interpretazione di Copenhagen «un caso particolare del profondo generale pessimismo culturale che offuscava quei tempi» (siamo sul finire degli anni '20). Neppure poteva accettare che una teoria scientifica arrivasse a minare le basi perenni del pensiero razionale, che trova nel principio di causalità un suo pilastro inamovibile.
Anche sulle condizioni necessarie allo svilupparsi di un'esperienza scientifica, la posizione di Planck si discosta da tanti luoghi comuni e contiene un messaggio di estremo interesse ancor oggi. «Non è la logica ma l'immaginazione creativa ad attizzare il primo lampo di una nuova conoscenza nella mente del ricercatore che si inoltri nel buio di regioni inesplorate». C'è quindi un fattore squisitamente personale all'origine di ogni impresa conoscitiva: che non diventa tuttavia soggettivismo perché spinge lo scienziato a ricercare regolanti e invarianti nelle varietà del reale. Eloquenti in proposito i suoi commenti alla teoria della relatività: mentre apprezzava la «forza immaginativa» di Einstein, non mancava di indicare la sua teoria come esempio di ricerca dell'assoluto e totalmente aliena da ogni relativismo culturale.
Oltre alle doti personali, la scienza richiede un humus culturale su cui innestarsi, ricco di valori umani, di ideali, di principi etici. Planck individuava il suo retroterra nella tradizione nazionale, e anche negli anni cupi della dittatura si è battuto per conservare il nucleo originale di quella tradizione, convinto che ne sarebbero rinati frutti buoni una volta passata l'ubriacatura nazista.
Anche per questo fu accusato di sciovinismo e compromissione con il regime; ma a muoverlo erano, come sempre, criteri più generali: « La storia ha ripetutamente dimostrato che la scienza, esattamente come l'arte e la religione, può prosperare solo sul suolo nazionale. Solo su questa base è fruttuosa l'associazione tra popoli in onorevole competizione».

Scienza e religione

A questo tema Planck ha dedicato buona parte delle sue ultime conferenze, riprendendo comunque affermazioni e criteri già più volte espressi.
Nelle sue polemiche, prima con Mach e poi con il Circolo di Vienna, era sempre presente la convinzione dell'impossibilità di «giungere all'eliminazione completa di ogni elemento metafisico dall'epistemologia della fisica».
L'attività scientifica non trova in sé i propri presupposti e richiede «la fede in qualcosa di extrascientifico» richiede, come minimo, un'opzione preliminare circa l'esistenza di un mondo esterno, indipendentemente dal ricercatore, di «un ordine universale che possiamo conoscere in certa misura». Planck arriva a identificare questo ordine con l'opera del Dio della religione; con la differenza che per il credente Dio sta all'inizio di ogni pensiero, per lo scienziato sta al termine.
E non si tratta solo di tolleranza o del riconoscimento del valore dell'esperienza religiosa; nella sua visione, fortemente attratta dal senso dell'unità a tutti i livelli, scienza e religione non solo non si oppongono ma diventano entrambe necessarie: «Dobbiamo coltivare sia le nostre facoltà scientifiche sia quelle religiose, se intendiamo sviluppare pienamente la nostra natura».