Condividi:

“La masseria delle allodole” di Antonia Arslan 6 – Dopo lo sterminio alla masseria

Fonte:
CulturaCattolica.it
L’Arslan non ha scritto questo romanzo per esprimere sentimenti d’odio o per condannare; il suo intento come più volte ha affermato, è stato quello di ricostruire avvenimenti censurati dalla storia e dalla politica e di ricordare le tante vittime ingiustamente sacrificate e ignorate.

Attualmente i Turchi sono su posizioni negazioniste, respingono ogni responsabilità attribuendola ad estremisti fanatici e a bande di curdi incontrollate. La documentazione storica e, soprattutto, le testimonianze dei sopravissuti, non lasciano però incertezze sui massacri perpetrati dal 1909 al 1916 e sulla loro pianificazione programmata ad opera dell’impero ottomano.

L’Arslan non ha scritto questo romanzo per esprimere sentimenti d’odio o per condannare; il suo intento come più volte ha affermato, è stato quello di ricostruire avvenimenti censurati dalla storia e dalla politica e di ricordare le tante vittime ingiustamente sacrificate e ignorate.
Il romanzo presenta, infatti, questo duplice livello di lettura: è la storia del genocidio armeno e il racconto degli avvenimenti di cui furono protagonisti i famigliari dell’Autrice, dei quali ella esalta la fede religiosa e la sacralità dei vincoli.

Dopo lo sterminio degli uomini alla masseria le donne con i bambini e qualche vecchio tornano in città e in poche ore devono prepararsi all’evacuazione. Saranno deportati alle prime luci dell’alba, dopo aver riempito qualche sacco di viveri, e aver nascosto febbrilmente nelle trecce dei capelli, negli orli dei vestiti e nelle tasche interne i gioielli e le monete non ancora rubate.
Yerwant nel frattempo, non riceve più notizie dal fratello e, pazzo d’angoscia

“… si sente personalmente minacciato, e non sa perché. Riaffiorano informi incubi alla sua coscienza turbata, e visioni imprecise di sangue, di cui la sua esperienza di vita quasi tutta occidentale non gli ha dato nessuna reale cognizione: quindi lui non sa bene se queste nuvole che lo offuscano ogni giorno di più sono veritiere o fantastiche, fantasie folli provocate da un misterioso senso di colpa (e forse di desiderio non realizzato?), oppure percezioni reali di un male immenso, acquattate con tentacoli d'ombra ai margini della sua coscienza. Allora invia un altro telegramma, chiedendo notizie, a Zareh ad Aleppo: ma anche Zareh non risponde.
Così passano due settimane; e il destino di Sempad si è intanto compiuto. Poi arriva, da un trafíletto breve fra tanti, la prima notízia, attraverso un giornale americano, imprecisa, ma carica di una verità che le orecchie armene, anche quelle occidentalizzate, distínguono come rintocchi di campane di morte. Il cuore di Yerwant si chiude, si sígilla per sempre. Oppresso da un infinito senso di colpa, la colpa stessa di esistere come armeno, di sopravvivere, di avere successo - Yerwant non scenderà mai più di sua volontà nelle radici della sua appartenenza, nei musicali, colorati ricordi del Paese Perduto, mai più fino a quando li racconterà alla bambina come fiabe lontane, forse inaccessibili, forse sognate
”. (op.cit., pagg.137, 138, 139)

Vorrebbe annientarsi, cancellare ogni traccia di sé per il terrore, rinnegare la propria identità ed appartenenza al suo popolo, compresi i vincoli più forti. Chiederà infatti nel 1924 di modificare il suo cognome tipicamente armeno con la finale in -ian e di italianizzare i nomi dei due figli.
Il padre di Antonia Arslan Kajen prenderà il nome di Michele e il fratello Vart quello di Edoardo.

Vai a "Vita e Dramma"