“La masseria delle allodole” di Antonia Arslan 1 – Memorie di famiglia
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“Senza contatto con i genitori e gli avi, senza i valori che le generazioni precedenti trasmettono si è solo un corpo vivo, ma senza un'anima. Scrivere non è un incantesimo magico, ma un varco verso il mondo che è nascosto dentro di noi”.
(Aharon Appelfeld, "Paesaggio con bambina")
Antonia Arslan, laureata in archeologia, e docente per molti anni di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'università di Padova, è l’autrice del romanzo storico “La masseria delle allodole” pubblicato nel 2004 da Rizzoli e vincitore di numerosi premi dal 2005 ad oggi. Il seguito del romanzo si intitola “La strada di Smirne”, sempre da Rizzoli.
(L’Arslan ha curato anche il testo "Metz Yeghèrn. Il genocidio degli Armeni", di Claude Mutafian – Guerini e A., 2001, e la raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia, "Hushèr, la memoria, voci italiane di sopravvissuti armeni", Guerini e A., 2001).
Questo testo per il lettore può avere un duplice valore: è un romanzo ben scritto, avvincente, lirico e dolente ed è anche una pagina di storia contemporanea che si conosce troppo poco e sulla quale soltanto recentemente si inizia a far luce.
L’Autrice di origini armene narra infatti le vicende dei suoi famigliari prima del tragico maggio 1915, e ci fa conoscere la vita e le usanze del popolo armeno con la sua storia antica di insediamento nella Anatolia orientale ed una identità precisa culturale e religiosa, alla quale è sempre stato fedele nel corso dei secoli resistendo alle pressioni e persecuzioni persiane e ottomane.
Ma il racconto scritto attingendo alle testimonianze famigliari è però anche una pagina di storia che descrive il genocidio degli Armeni agli inizi della prima guerra mondiale, quando i Giovani Turchi avevano decretato nel 1915 la strage dei civili e il trasferimento forzato dei sopravvissuti.
Nel 2004, a proposito del suo romanzo, l’Arslan ha dichiarato:
“L'elemento legato alla storia della mia famiglia è predominante, quindi si tratta di memorie reali. Ci sono poi cose verosimili, ricostruite sulla base di altre testimonianze, oltre ovviamente a una dose di invenzione. Il libro non è un saggio storico ma un romanzo, nonostante la base di documentazione”. (Intervista di Roberto Carnero – L'Unità – 05/09/2004”).
Documenti storici e testimonianze pazientemente raccolte accanto ai ricordi e ai racconti sentiti in famiglia sono dunque alla base della ricostruzione storica, mentre i dialoghi, alcuni personaggi e vicende sono stati creati in funzione del racconto.
In un’intervista la scrittrice spiega come sia venuta a conoscenza dei fatti narrati e come si siano sedimentati nella sua memoria:
“Questo libro racconta memorie di famiglia. Quando ha cominciato a sentirle?
Avevo 5 anni, sono vissuta dentro questi ricordi. Ma la maggior parte me l’ha raccontata qualche tempo dopo mio nonno. Mi ero ammalata e lui mi aveva portato in convalescenza, anzi aveva vietato a mio padre di farlo perché diceva che io lo abbindolavo e gli facevo fare quello che volevo. Così fu lui a portarmi. E per premio mi raccontò questa storia.
Per premio: ma lei lo percepì come un ‘premio’?
Oh sì! E che premio..! Mi veniva fatto un grande onore, perché il nonno non ne aveva parlato con nessuno.
Lei però non ha preso appunti. Come si è sedimentata questa storia fino a diventare un romanzo?
Con racconti successivi.
E la decisione di passare dal racconto orale alla scrittura quando è avvenuta?
È stato un lungo percorso. Vede, eravamo così italianizzati noi armeni che per pudore familiare non era necessario raccontarlo, se ne parlava in famiglia: era quello il luogo della memoria.
E allora quando scatta la molla?
Pian piano, andando dalla zia Henriette, ascoltando dischi, leggendo i suoi libri ho sentito che mi interessava sempre di più la storia di questo massacro immane. Io vedevo nel deserto questo popolo e leggevo tutto quello che trovavo ma sempre come attività personale. Poi ho conosciuto un poeta che aveva insegnato a Venezia ed era morto nel genocidio: Daniel Varujan. È lui che mi ha stimolato. La poesia è vita. Aver letto e tradotto quelle poesie è stata un’avventura topica per me. È poesia di carne e sangue, gioia e colore, con la vita di campagna, gli odori e i profumi della terra di Anatolia. Mi sembrava di percepirli.”(Intervista ad Antonia Arslan, “Sentire”, 13 aprile 2008)