“La masseria delle allodole” di Antonia Arslan 5 – Il genocidio degli Armeni
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Ma la loro uscita non è passata inosservata.
Un drappello di 13 militari distaccati agli ordini di un ufficiale appena arrivato dalla capitale è stato infatti avvisato degli spostamenti del gruppo di armeni verso la campagna, e decide di punire gli arroganti che hanno osato fuggire.
Ben presto la meta è raggiunta verso la sera.
“Silenziosi, gli uomini si sono sparpagliati all’interno, nel giardino: e un coltello ben maneggiato ha tagliato la gola di Hrant (il suonatore di duduk) da un orecchio all’altro. Come avviene una strage? Quale liquore diventa il sangue, come sale alla testa? Chi lo gusta, si dice, non lo dimentica. In pochi istanti, il gruppo si è trasformato in una banda da preda, e con felina scioltezza si è avvicinato a tutte le porte. La casa si offre all’ospite, senza difese, innocente come Sempad, il suo padrone.“ (A. Arslan, La masseria delle allodole, pagg.100, 101)
Sempad e la moglie si trovano in cucina e ai loro occhi increduli compaiono con le lame scintillanti i soldati e il tenente che urlando li chiama traditori e rinnegati. Per questo ora saranno puniti. Tutti i maschi sono presi e portati nel salotto dalla festosa decorazione floreale della tappezzeria. Le donne e le bambine vengono spinte brutalmente a ridosso della parete di fronte, senza una parola, con gli occhi sbarrati dal terrore
“E così si compì il destino di Sempad e dei suoi. Lame balenarono, urla si alzarono, sangue scoppiò dappertutto, un fiore rosso sulla gonna di Shushanig: è la testa del marito, che le viene lanciata in grembo” (op. cit., pag.102).
Nessun uomo, fanciullo, bambino viene risparmiato dalla furia omicida degli aguzzini.
Uccisioni feroci e crudeli come quelle descritte nel romanzo si verificarono simultaneamente soprattutto nei villaggi dove inferiore era la resistenza e nelle zone di campagna con insediamenti armeni.
Le ricostruzioni storiche dei tragici avvenimenti dell’aprile e del maggio 1915 testimoniano violenze di ogni genere, saccheggi e roghi (V. “Gli armeni: 1915-1916, un genocidio dimenticato” di Y.Ternon, e “Storia del genocidio armeno” di V. Dadrian, quest’ ultimo nell’edizione curata dall’Arslan e da B. L. Zekiyan).
Le altre nazioni erano occupate nella guerra, le notizie circolarono tardi e le accuse degli Alleati furono inascoltate e inefficaci ad impedire la strage.
Fu il primo sterminio di massa di un’intera minoranza etnico-religiosa attuato nel territorio orientale della Turchia, inferiore soltanto all’olocausto ebraico della seconda guerra mondiale. Si salvarono coloro che erano riusciti ad espatriare prima del maggio del 1915, gli abitanti della zona orientale dell’Armenia (che fu poi inglobata dalla Russia nel 1918, divenne Repubblica Armena Sovietica nel 1920 e Stato indipendente nel 1991, come Repubblica di tre milioni di abitanti con capitale Erevan e un territorio di circa 29.000 Kmq), i bambini e qualche donna salvati dai missionari, dai diplomatici e dagli stranieri impietositi che si trovavano in Anatolia.
Dopo la guerra le Nazioni non vollero riconoscere il “genocidio” e solo nel 1948 l’Onu lo decretò tale.