Il pensiero di Chesterton - L'uomo cristiano 5 - Il fallimento dell'Impero romano
Inchinandomi con la mia cieca credulità di sempre di fronte alla mera autorità e alla tradizione dei padri, bevendomi superstiziosamente una storia che all'epoca non fui in grado di verificare di persona, sono fermamente convinto di essere nato il 29 maggio del 1874 a Campden Hill, Kensington; e di essere stato battezzato secondo il rito anglicano nella piccola chiesa di Saint George, che si trova di fronte alla torre dell'acquedotto, immensa a dominare quell'altura. [G. K. Chesterton, Autobiografia, Lindau, 2010]Vai a "Chesterton: il pensiero"
Questo è il panorama che noi vediamo se ci volgiamo a contemplare l'Impero romano alla vigilia dell'annuncio cristiano. In nessun modo lo si può accusare di essere un mondo barbaro e lontano dalla civiltà, era anzi il culmine della civiltà precristiana. Non gli mancavano le conoscenze, né la cultura: intorno al mare Mediterraneo, tutte le filosofie e le religioni si davano convegno in una società cosmopolita e tollerante, il cui ordine era garantito da un impero che abbracciava quasi tutte le nazioni abitate. In esso erano costruite opere di ingegneria che ancora reggono il peso degli anni, erano coltivate le arti e la filosofia e trovavano posto tutti i culti mitologici che la fantasia religiosa aveva escogitato, tutte le razionali o fantastiche ipotesi sulla struttura e il significato del mondo cui l'uomo aveva potuto giungere.
L'insufficienza che costituisce la natura più profonda dell'uomo emerge dunque nella storia dal fallimento di entrambe queste strategie con cui l'uomo solo tentava di colmare la propria sproporzione rispetto all'inestinguibile che brama. Noi vediamo infatti che nel tempo la mitologia va degenerando sempre più nell'erotismo, mostrando la sua interna debolezza, quella di non poter essere una religione, perché non era una realtà; il complicarsi e il pervertirsi della poesia resero sempre più evidente questa debolezza, sicché
Gli uomini non solo cessarono di credere negli dei, ma capirono di non avervi mai creduto. (GKC, L’uomo eterno, pag. 175)
Neppure la filosofia vantava migliore salute:
La innaturale semplificazione di tutte le cose in un sistema purchessia, che già abbiamo rilevato come il difetto di tutti i filosofi, rivela ad un tempo la sua finalità e la sua futilità.
Quando tutto è ridotto ad una parola - virtù, felicità, destino, bene, male - tutto è qualunque cosa, e non c'è più nulla da dire; essi avevano detto tutto. Cosi i saggi degenerarono in sofisti. (GKC, Ibid., pag. 176)
Queste notazioni negative tuttavia non devono offuscare, ma anzi illuminano il giudizio fondamentale, secondo il quale l'Impero romano erede della cultura greca fu il massimo vertice dell'umanità.
L'impero romano rappresentò la più alta e vasta perfezione a cui sia arrivato il genere umano [...] L'uomo non poteva fare di più. (GKC, Ibid. pag. 177)
Questo giudizio è particolarmente importante proprio a fronte degli appunti precedenti sulla mitologia e sulla filosofia e anche a fronte dello spazio che Chesterton dedica alla lotta della giovane Roma contro il culto demoniaco cartaginese, intesa a dimostrare che il paganesimo di Roma era il paganesimo migliore, che aveva già trionfato contro le più malvagie tentazioni insite nel paganesimo.
Nulla rimaneva che potesse vincere Roma; ma nemmeno rimaneva nulla che potesse renderla migliore. Era il colmo della forza che diventava debolezza; era la bontà che diventava cattiva. [...] I popoli avevano messo insieme le loro risorse; e non era abbastanza. Gl'imperi avevano dato il loro contributo; ed era ancora la bancarotta. [...] In quel mare centrale, l'ondata dell'umanità aveva toccato il suo grado più alto, aveva quasi toccato le stelle. Ma l'ondata ormai si abbassava. Le forze umane non potevano arrivare più su. (GKC, Ibid. pag. 177)
E' questo il panorama in cui fece la sua comparsa il cristianesimo. La storia alla vigilia dell'annuncio cristiano è nella identica posizione dell'uomo singolo, alle prese con la necessità di dare senso a sé stesso e al mondo e con l'impossibilità di attingerlo in modo esauriente.