Il pensiero di Chesterton - L'uomo cristiano 1 - Monoteismo e politeismi

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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L'UOMO CRISTIANO

l) II problema del significato e il panorama della Storia
Il protagonista della storia è l'uomo, l'uomo eterno, la cui natura essenziale è di essere domanda così radicale da non poter esistere senza una risposta. Si può leggere la storia, dunque, come storia dei tentativi umani di colmare la propria natura, identificando il significato ultimo e stabilendo con esso un rapporto, un nesso che per soddisfare tutto l'uomo ha da essere anche esistenziale e carnale, un rapporto dentro il tempo con ciò che sta fuori del tempo, dentro le cose finite e relative con l'infinito e l'assoluto. Questa è essenzialmente la lettura chestertoniana della storia, che si riallaccia a quella proposta da S. Paolo stesso nel suo discorso all'Aeropago.
Il problema centrale della storia universale è lo stesso della storia personale di ognuno. Davanti a questo problema quattro sono gli atteggiamenti, i tipi di risposta che sono emersi nella storia prima del cristianesimo: il monoteismo, il politeismo, il culto demoniaco e la filosofia.
Il monoteismo sembrerebbe la religione caratteristica del popolo ebraico, ciò che gli fornisce una identità e lo differenzia profondamente da tutti gli altri popoli dell'antichità. A uno sguardo più profondo appare invece chiaro che il popolo ebraico non è il solo popolo che sia arrivato ad un ipotesi monoteistica: è piuttosto l'unico popolo che vi si è mantenuto fedele. L'idea di un solo Dio che regge il mondo è adombrata in molti miti come una descrizione che appartiene al passato o come un orizzonte che fa da sfondo a miti politeistici. Questi ultimi occupano il primo piano e noi classifichiamo un popolo come quello degli indigeni australiani come popolo politeista e feticista; finché un missionario che crede di spiegare loro per la prima volta il concetto di un Dio unico che è puro spirito crea lo scompiglio nel villaggio perché parla pubblicamente del dio segreto della tribù, quello che gli iniziati imparano ad adorare nei riti segreti. Il monoteismo è come un orizzonte che si dimentica perché troppo vasto.
C'è insomma nel mondo pagano l'idea di qualche cosa di superiore agli dei; e, perché superiore, perciò più lontano. [...] Per i pagani quello che era veramente divino era troppo distante. (GKC, L'uomo eterno, pag. 99)
L'antichità classica riteneva anche gli dei sottomessi ad una istanza superiore che però rimaneva senza volto, misteriosa, irraggiungibile, il temibile Fato. Anche molti miti appartenenti alle culture dei cosiddetti selvaggi, come appunto gli aborigeni australiani o gli indiani d'America, fanno risalire il mondo ad una coppia di princìpi o di dèi, salvo poi lasciare cadere un inciso in cui si dice che anche questi dèi, che sembravano i più alti, devono agire in un certo modo per obbedienza ad una autorità più alta.
Io sospetto che tutto il politeismo e il paganesimo implichi un immenso presupposto; di cui non abbiamo forse se non qualche accenno, qua e là, nelle credenze dei selvaggi e nei primordi della Grecia. Non si tratta precisamente della presenza di Dio, come noi l'intendiamo; ma piuttosto in un certo senso dell'assenza di Dio. Ma assenza non significa inesistenza; quando uno brinda agli amici assenti non significa che non abbia amici. E' un vuoto, non una negazione: è qualche cosa di positivo come un seggio vacante [...] Ripeto: nel nostro senso sacramentale c'è, indubbiamente, l'assenza della presenza di Dio; ma in un significato realistico c'è la presenza dell'assenza di Dio. (GKC, Ibidem, pag. 98)
La caratteristica principale del popolo ebraico è dunque quella di aver conservato pura, grazie soprattutto al tanto esecrato divieto di effigiare Dio, questa intuizione originale di un unico reggitore dell'universo.
Il Dio inimmaginabile del Vecchio Testamento non poteva comparire nel pantheon degli dèi e proprio per questo ha potuto sottrarsi al destino degli altri dèi. Basta solo il nome di Pan o di Giove a suggerire che essi fossero all'inizio concepiti come dèi unici: incontrandosi si sono limitati a vicenda.
Il politeismo sembra non di rado una combinazione di monoteismi. Un Dio avrà una posizione inferiore nell'Olimpo, soltanto dopo aver dominato il cielo, la terra e le stelle nella angusta valle dov'era vissuto. Come molte piccole nazioni dissolventesi in un vasto impero, abbandona l'importanza universale che ha in un dato luogo per sottomettersi a un limite nell'universo. (GKC, Ibidem, pag. 95)
La gelosia del Dio ebraico può suscitare biasimo, ma ha avuto l'immenso merito storico di conservare pura l'intuizione cui tutti gli altri sono venuti meno. La "ristrettezza" della concezione ebraica, la sua intolleranza ha salvato l'idea più universale di tutte, quella di un' unica paternità celeste che sola può fondare una fratellanza universale ed una reale tolleranza.