Il pensiero di Chesterton - L'uomo cristiano 3 - Il pensiero mitologico
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Innanzitutto la risposta mitologica, che era anche quella più propriamente popolare e quindi la più diffusa, risponde al bisogno umano che il destino, il significato totale ed esauriente, cioè il dio, possa essere realmente esperito. Questo accade attraverso i riti e le feste pagane: esse scandiscono un tempo sacro in cui il significato, il dio, è presente. Il rito e la festa stabiliscono un tempo che è sacro in quanto stabilisce un nesso con ciò che è fuori del tempo, con l'eterno, eterno che entrando in rapporto col tempo si fa esperibile dalle creature che vivono nel tempo. Così come è per il tempo, è anche per lo spazio: la divinità pagana è anche e sempre una divinità locale; ed ecco anche il perché di tante difficili identificazioni e della impossibilità di stabilire o riconoscere un ordine ed una gerarchia relativa tra gli dèi. C'è un dio dell'acqua, ma molto più facilmente, un dio di ogni particolare ruscello, o fiume o mare, un dio dei boschi che è più facilmente un dio di un particolare boschetto. Anche la fisicità del luogo è sentita dal paganesimo come parte integrante della ierofania. Si ingannano i moderni, quando immaginano gli dèi come allegorie di forze naturali astratte.
Si è detto che la mitologia pagana fosse una personificazione delle forze naturali. La frase in un certo senso è esatta, ma non è esauriente, perché implica che le forze siano astrazioni e che la personificazione sia artificiale [...] La personificazione non è qualche cosa di impersonale, è anzi la personalità che perfeziona l'acqua dandole un significato. (GKC, L'uomo eterno, pag. 111)
Nel mito, anche lo spazio partecipa del significato ospitando la presenza del dio: per fare questo deve essere uno spazio non astratto bensì preciso, definito, limitato. La presenza del dio nello spazio e nel tempo sacro garantisce la possibilità del tempo e dello spazio di partecipare al divino; la partecipazione al rito che rende presente il dio garantisce la salvezza anche del tempo e dello spazio normale, tanto più efficace quanto più si moltiplicano i tempi e i luoghi sacri.
Il mito risponde perciò al bisogno umano di un significato presente nello spazio e nel tempo, e perciò esperibile. Nel mito però il modo in cui il significato è dato, il tramite attraverso cui si imposta il rapporto col dio, è l’immaginazione poetica. Il mito è un'opera d'arte, non un' opera della riflessione teorica; per questo, ogni tentativo di analizzarlo scientificamente lo riduce e lo mortifica.
Alcuni miti sono strani e ingenui come disegni di bambini, ma il bambino si è provato nondimeno a disegnare. Sarebbe un errore considerare quel disegno come fosse un diagramma o pretendesse di essere un diagramma. Lo studioso non può arrivare a conclusioni scientifiche sul selvaggio, perché il selvaggio non arriva a nessuna conclusione scientifica sul mondo. (GKC, Ibidem, pag. 109)
Proprio in quanto opera poetica, il mito non entra in conflitto con la filosofia e tantomeno con l'approccio scientifico alla realtà. Esso non pretende di definire il dio, ma solo di soddisfare il bisogno di stabilire con esso un rapporto, attraverso l'immaginazione poetica. Ciò che esso rivela, non è tanto il dio, quanto il bisogno di un dio, la presenza dell'assenza di dio. Questo è il motivo della strana sproporzione che notiamo nel paganesimo tra il sacerdote e il dio, quasi che l'uomo fosse più magnanimo e dignitoso del dio stesso, perché il bisogno dell'uomo è reale ed invece l'immagine del dio partorita dalla sua immaginazione è inferiore al compito. Ciò che la religione pagana rivela è il bisogno umano di un tempo e uno spazio sacro, di una sacralità che investa lo spazio e il tempo, ed anche un segreto legame che l'uomo tuttavia intuisce tra il sacro e il sacrificio, per cui la rinuncia è la chiave per accedere alla dimensione divina.
Il mito non definisce il dio, ma nemmeno pretende di esserne una definizione: questa è la chiave per comprendere il rapporto che l'uomo antico aveva con la mitologia; non si trattava di qualcosa che potesse essere creduto nel senso di razionalmente creduto, ma di qualcosa che era accettato a prescindere da ogni analisi teorica. Il mito non si poneva perciò al livello di ciò che l'uomo ritiene vero o falso. Era qualcosa che era accettato in quanto soddisfaceva un bisogno che non era per altre vie soddisfatto. Il pagano del primo secolo avanti Cristo non trovava l'Olimpo e il suo corteggio di dèi collerici, invidiosi e gaudenti più ragionevole di quanto appaia a noi; solo aveva chiara quale era la sua origine e la sua funzione e non pretendeva neppure che esso fosse ragionevole. Se voleva una religione che soddisfacesse la ragione si rivolgeva piuttosto alla filosofia.