Fantasy: Tolkien e gli altri

Autore:
Platania, sr. Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it

Il XX secolo tuttavia è bisecato da un evento fondamentale nella storia del fantasy: la pubblicazione de “Il ritorno del Re” nell’ottobre 1955 che completa la trilogia de “Il Signore degli Anelli” di J. R. R. Tolkien; nel bene e nel male il fantasy subì una trasformazione radicale.
Il motivo fu l’enorme successo per il quale “Il Signore degli Anelli” divenne ed è tuttora un libro “cult”, un idolo. Opera di alta letteratura e grande suggestione, fece uscire il fantasy dalla ristretta cerchia degli appassionati e lo rese noto al grande pubblico, mentre la giustificazione che un letterato erudito come Tolkien diede della sua opera avviò la riflessione critica e produsse una considerazione positiva della sua utilità. Tolkien ha non solo prodotto un’opera fantasy intramontabile: ha anche fornito, nel suo saggio “On Fairy-Stories” (J.R.R. Tolkien Sulle fiabe in Il medioevo fantastico a cura di Gianfranco de Turris, Milano, 2002) una teoria che lo legittima, riconoscendogli tre funzioni principali: risarcimento, fuga e consolazione; vale a dire recupero di un punto di vista “altro” che serve come a chiarire l’esperienza quotidiana; fuga, che non è diserzione ma sollievo, e consolazione, cioè una affermazione insieme di giustizia e di gioia che consegue al lieto fine.
Egli ha autorevolmente chiarito che la fantasia non è in contrapposizione alla ragione, né è sua nemica, ma è anzi sua partner: un punto di vista “altro” aiuta spesso a guadagnare una migliore prospettiva.
Il fantasy è oggi maggiormente inserito nella corrente principale della letteratura mondiale, dal quale come abbiamo voluto mostrare, esso proviene e del quale ha sempre fatto parte a pieno titolo.
Tuttavia il successo portò con sé dei contraccolpi negativi.
Innanzitutto l’accresciuto pubblico creava una domanda che in molti si affrettarono a soddisfare. Terry Brooks, prolifico confezionatore di epiche di imitazione tolkeniana, è il migliore e il più tipico rappresentante dello sterminato stuolo di suoi imitatori.
Fenomeno simile accadde anche alla fantascienza dopo il successo del film “Guerre Stellari”; ma i nuovi estimatori sono attratti più verso i gadgets e i giochi che verso le grandi opere del genere. Anche nel fantasy dopo il 1988 i volumi di maggior successo sono quelli che rimandano ai videogames.
Il genere fantasy è diventato un prodotto di mercato, non opera di letteratura: una sorta di anestetico che ha a che fare con la realtà tanto quanto un romanzetto “harmony” con la verità e la completezza dell’amore umano. Il genere si è ridotto ad un campionario di cliché che prevedono il pieno soddisfacimento dei desideri in un contesto di draghi e spade, per un lettore passivo e spesso illetterato. D’altra parte se un aforisma attribuito a T. Sturgeon afferma che il 90% di ciò che si pubblica è spazzatura, il crescere di volume del genere ha aumentato anche il 10 % di romanzi di qualità.
Anche la materia propria del genere subì una drastica riduzione, perché per il grande pubblico il fantasy si identifica con il fantasy “alla Tolkien”: epiche vicende riconducibili al modello della “quest” o al massimo del “sword and sorcery”.
Malgrado questa invasione di spazzatura, il genere vive attualmente una nuova età dell’oro. Dopo Tolkien furono pubblicate anche collane di opere precedenti e antologie tematiche. Anche qui con un duplice esito, positivo e negativo: se salvarono dalla dimenticanza vere gemme, concorsero però a codificare ulteriormente il genere, dimenticando filoni anche significativi come il romanzo gotico o il fantasy “logico” di “Unknown”.
Dopo Tolkien (poiché la storia del fantasy si divide inevitabilmente in un “prima di Tolkien” e un “dopo Tolkien”) autori importanti sono quelli che hanno saputo uscire dai cliché del genere, come per esempio Moorcook nel campo del fantasy eroico. Oltre a gestire con maestria un complesso multiverso di scontri metafisici, egli introduce la figura dell’anti-eroe, spezzando con intelligenza i binari stabiliti dai cliché e introducendo nel genere un brivido di esistenzialismo e una nuova maturità.
I romanzi di Donaldson ad esempio si inseriscono consapevolmente nel genere “quest” ma lo pongono in questione attraverso la figura del protagonista, eroe involontario, dubbioso, complesso e contraddittorio, come avremo modo di mettere in evidenza. Molto diverso, per esempio, dai protagonisti dei romanzi di David Eddings, altro “onesto imitatore di Tolkien”, il quale riesce a trascinare i lettori in una “quest” lunga anche sei romanzi senza stancarli, grazie al fascino dei suoi protagonisti: ma per quanto ben caratterizzati essi siano, e per quanto l’autore sappia approfondirne la psicologia e descriverne i cambiamenti occorsi nel corso delle vicende, rimangono sempre eroi ad una dimensione, senza la drammatica profondità di Thomas Covenant, protagonista della saga di Donaldson.

Dopo gli anni ‘70 si assiste ad una vera esplosione del genere fantasy; il genere è sfruttato al massimo dall’industria culturale e la produzione rimane legata soprattutto al mondo dei giochi, sia di ruolo, che di carte, che elettronici. Rimane anche il vasto stuolo di onesti imitatori di Tolkien.
Un florido territorio del fantasy è sempre stata la storia passata, fin dalle avventure di Artù, prototipo di quel fantasy di cui fa parte anche la produzione tolkieniana. Oggi la fanta-storia è uno dei subgeneri più frequentati.
Nel XX secolo comunque tutte le mitologie sono state “saccheggiate” dagli autori fantasy in cerca di suggestioni: dal ciclo arturiano alla mitologia celtica, dalla storia romana alla mitica Atlantide.
Ma il fantasy non è solo Tolkien: altri settori si muovono su nuove piste. Una delle più interessanti è l’interfaccia fantasy/fantascienza. Altri pianeti e lontani futuri sono uno sfondo in cui inserire vicende fantasy. Si può inserire in questo filone anche il ciclo di Darkover, pianeta teatro di un naufragio spaziale in cui l’umanità si evolve in maniera peculiare a causa di condizioni locali che sviluppano facoltà paranormali latenti.
Il fantastico emerge però anche nella corrente principale della letteratura e i grandi nomi che vi si cimentano danno al genere una patina di rispettabilità.
La tradizione inglese sottolinea maggiormente il filone romantico e le favole sugli animali; la tradizione europea predilige l’assurdo (Eugene Ionesco, Jorge Borges) e il surreale (M. Ende), come anche il romanzo filosofico (Italo Calvino). Ingrediente principale di questo filone è l’umorismo; abbastanza marginale nel fantasy, l’humour ne ha tuttavia addolcito le tendenze spesso cupe. I due maggior umoristi nel fantasy sono T. Pratchett, creatore dell’esilarante Mondo Disco (Si tratta di un pianeta di forma discoidale, appoggiato su quattro elefanti, che attraversano lo spazio sul dorso di una enorme tartaruga. Ai suoi margini l’oceano precipita all’infinito nello spazio, mentre nel centro si erge una montagna in cui abitano distratti, interessati, borghesi e litigiosi dei, comandati da Cieco-Io. Vi sono 8 stagioni, 8 colori e in generale tutto ciò che ha relazione col numero 8 è magico. Esiste una città che è la evidente copia parodistica di New York, ed una Università Magica che è evidente parodia di un qualsiasi Istituto Universitario. Con humour tipicamente britannico, questa ambientazione serve a mettere alla berlina il nostro mondo e i vizi umani, e a trasmettere invece un enorme carica di umanità, nella promozione del dialogo e dell’accettazione del diverso e della preoccupazione per il bene comune più che per il proprio, specie nell’ultima trilogia dedicata alla Guardia Cittadina), e Holt, non tradotto in Italia.