Fantasy: Il mondo antico e il Medioevo

Autore:
Platania, sr. Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it

In Italia il genere fantasy, benché possa vantare antichissime e nobili origini, viene considerato generalmente una letteratura d’intrattenimento, adatta soprattutto per ragazzi, e non attira studi critici. Anche in lingua inglese studi critici sul genere sono comunque rari, e figurano di solito come introduzioni o prefazioni ad antologie. Di questi studi, e in particolare dei brevi saggi premessi ad ogni sezione della “Fantasy literature: a reader’s guide” pubblicata da Garland Publishing, ci siamo serviti per delineare questa breve storia del genere.
Definire un genere letterario non è mai operazione semplice e priva di rischi e questo è vero in modo particolare per il fantasy. Noi accogliamo la definizione proposta da Colin Manlove, secondo il quale “fantasy” sono quelle opere che “evocano meraviglia e contengono un sostanziale e irriducibile elemento di sovrannaturale rispetto al quale i personaggi mortali all’interno della storia, o i lettori, addivengono ad una sorta di familiarità”, Colin Manlove, Modern Fantasy, Cambridge University Press, 1975, pag. 1.
Il genere fantasy può fare risalire le sue origini fino alle radici della cultura occidentale (e non solo) e può vantarsi di aver costituito il filone principale della letteratura fino al Rinascimento. Infatti, ogni volta che in un opera di letteratura troviamo descritti come accaduti o possibili eventi che nel mondo reale sarebbero considerati impossibili, ci troviamo davanti ad un elemento “fantastico”, e opere letterarie che ricalcano con fedele realismo eventi storici o quotidiani sono un frutto assai tardo nella storia della letteratura.
L’iniziatore del genere può essere dunque considerato Omero, che introduce nella letteratura occidentale alcuni temi che diverranno tipici del fantasy: i viaggi in terre lontane e favolose, le trasformazioni e l’ambigua relazione tra apparenza e realtà.
Anche la “Teogonia” di Esiodo, cercando di dare sistemazione organica alla mitologia greca, contiene elementi di fantasy, ma egli entra nella storia del genere soprattutto con l’introduzione di un filone di grande successo, le favole di animali, in cui essi agiscono e parlano come esseri umani, filone spesso connesso alla critica sociale e che attraversa tutta la letteratura.
Elementi fantastici sono presenti ancora in Esiodo e Aristofane e nella letteratura ellenistica, soprattutto nelle novelle.
I Romani hanno dato anch’essi il loro contributo al genere, soprattutto attraverso opere come le “Metamorfosi” di Ovidio e “L’Asino d’oro” di Apuleio. Originale e foriero di ulteriori sviluppi sarà soprattutto il “De Re publica” di Cicerone, nel quale è inserito, sul modello platonico, un mito finale, che narra il sogno di Scipione, che contempla dal cielo (lo “stellatum”) il disegno dell’universo: il Somnium Scipionis sarà nella letteratura successiva il prototipo di numerose “ascese al cielo”. La letteratura latina non offre così solo dei modelli al genere, ma soprattutto mostra come la fantasia possa essere veicolo per esplorare concetti filosofici; in questi termini sarà percepita ancora lungo tutta la storia della letteratura occidentale.
Il fantastico rappresenta il filone principale anche nelle letterature orientali, dal poema epico di Gilgamesh all’indiano Ramayana, nei quali ritroviamo il sovrannaturale come elemento costante. L’elemento fantastico predomina non solo però nella letteratura alta, che racchiude le rappresentazioni mitologiche, ma anche in opere più popolari come gli indiani “Settanta racconti del pappagallo” o “I venticinque racconti del Vampiro”. Anche le culture cinese e giapponese annoverano fra le loro prime opere letterarie racconti in cui l’elemento fantastico prevale nettamente su quello realistico.
Nel Medioevo la fusione fra elementi cristiani e platonici dà un impulso fondamentale alla creazione fantastica, poiché essa è resa veicolo per l’espressione della verità più profonda che soggiace alla realtà. L’allegoria ne è l’espressione più propria: in essa il fantastico veicola verità religiose o filosofiche.
Nel crogiuolo del Medioevo iniziano a delinearsi le diverse identità nazionali; ogni letteratura ha al suo centro una grande epica, il “Beowulf”, la “Chanson de Roland”, il “Nibelungenlied” ecc., nei quali sempre ben presente è l’intervento del sovrannaturale nel corso degli eventi e la presenza del magico. Prosegue anche il filone delle favole di animali con i vari rifacimenti della “Ecbasis Captivi” e la “Guida per la vita umana” di Giovanni di Capua, che attraversano la letteratura occidentale fino alle favole di La Fontaine.
Un filone particolare all’interno delle favole di animali è il tema dell’uomo/lupo. Il licantropo è una delle figure, insieme ai vampiri, che appartengono all’immaginario collettivo di ogni epoca e che godono oggi, come già accennato, di una rinnovata popolarità.
Il problema teologico rappresentato dalla trasformazione di uomini in animali a opera di demoni è dibattuto da S. Agostino (De Civitate Dei, XVIII, 17-18, PL 41, pag. 573-576) e San Tommaso (De Malo, VII, q. 16 a. 9 arg. 2), che dalla cultura greco-romana ereditavano racconti e leggende che ne affermavano l’esistenza. Tuttavia il cosiddetto “oscuro” Medioevo possedeva una fiducia nella ragione che l’epoca moderna ha in gran parte smarrito, ed anche una consapevolezza ben maggiore della supremazia di Dio. Entrambi i teologi sono infatti concordi nel ritenere che benché Dio possa operare ciò che vuole, tuttavia né la magia né il diavolo hanno il potere di trasformare realmente uomini in animali o viceversa (soltanto, al limite, farli apparire agli altri mutati), pertanto i licantropi non esistono e credere alla loro esistenza è peccato, perché significherebbe mettere in dubbio la sovranità di Dio a favore del potere del diavolo. Il demonio è pur sempre una creatura e i suoi poteri, benché superiori a quelli umani, sono inferiori a quelli di Dio; ed anche molte azioni che avrebbe per natura il potere di compiere gli sono impedite dalla superiore volontà di Dio che ha cura degli uomini. L’uomo non deve quindi temere creature quali i licantropi o i vampiri.
Banditi dal mondo reale gli uomini-lupi e i loro paurosi confratelli, i vampiri e le streghe, continueranno però a vivere nella letteratura.
La particolarità è che nei romanzi essi sono spesso dipinti con simpatia: in opere come il “Lai de Bisclavret” e il “Guillaume de Palerne”, i protagonisti licantropi appaiono meno feroci di coloro che con arti magiche li hanno trasformati in lupi, a testimonianza di una attitudine del Fantasy a considerare le ragioni dei “diversi” e a smascherare l’ipocrisia nella polemica tra apparenza e realtà. Anche oggi il revival magico cui assistiamo assume questa valenza: nei fumetti di “Dylan Dog” si assiste abbastanza spesso ad un capovolgimento sottilmente polemico, per il quale i personaggi “mostruosi” e “diversi” si rivelano infine più buoni dei “normali” e spesso malvagi o meschini esseri umani. (Oppure sono resi malvagi dalla indifferenza e dalla cattiveria umana, che li respinge a causa della loro diversità, senza saper accogliere e valorizzare il bene di cui sono portatori. Anche nella serie televisiva di “Buffy l’ammazzavampiri” l’episodio “Lontano dal cuore, lontano dagli occhi” narra di una serie di incidenti causati dalle vendette di una ragazza, resa invisibile dalla indifferenza dei compagni, che non si accorgevano mai di lei. La sua dolorosa condizione psicologica di persona non accettata viene manifestata dalla invisibilità reale. Alla fine la ragazza invisibile è presa in consegna dall’FBI e portata in un centro dove sono raccolti numerosi altri ragazzi vittime di questo crudele rifiuto. La sua accettazione è però ancora e sempre strumentale: non si desidera che torni visibile, ma che la sua condizione possa essere sfruttata dal governo; in quel centro deve essere addestrata come terrorista).
Anche il “vampiro buono” Angel, all’inizio coprotagonista di “Buffy l’ammazzavampiri” ha avuto un successo tale da meritare dopo pochi anni una serie televisiva tutta per sé.
Tornando ai nostri licantropi premoderni, essi sono presenze incidentali anche in M. de Cervantes e in John Webster.