17 ottobre - IL percorso per approfondire il "NUOVO TOTALITARISMO"
Ci interroghiamo sulla natura della società contemporanea in Italia e in Occidente: stiamo vivendo in paesi democratici in cui lo Stato di diritto è al fondamento delle nostre istituzioni o dobbiamo parlare di società totalitarie di tipo nuovo che si propongono come democratiche?Il nostro percorso nel “Calendario del Marciapiedaio” prevede sette passi per prendere coscienza di quello che stiamo vivendo e del processo che ha portato il pensiero moderno in questa fase.
1) Partiamo con l'aiuto di RAIMOND ARON (17 ottobre del Calendario)
a definire i CARATTERI DEL TOTALITARISMO CLASSICO del XX secolo (nazismo, fascismo e comunismo).
«Mi sembra che i 5 elementi principali siano i seguenti:
1. Il fenomeno totalitario sopraggiunge in un regime che concede ad un partito il monopolio dell'attività politica.
2. Questo partito è animato o armato da un’ideologia alla quale conferisce un'autorità assoluta e che, di conseguenza, diventa la verità ufficiale dello stato.
3. Per diffondere questa verità ufficiale, lo stato si riserva a sua volta un doppio monopolio: il monopolio dei mezzi per l'uso della forza e quello dei mezzi di persuasione.
L'insieme dei mezzi di comunicazione, radio, televisione, stampa, viene diretto dallo stato e da coloro che lo rappresentano.
4. La maggior parte delle attività economiche e professionali sono subordinate allo stato e vengono, in un certo qual modo, integrate nello stato stesso. Così come lo stato è inseparabile dalla sua ideologia, la maggior parte delle attività economiche e professionali viene “colorata” dalla verità ufficiale.
5. Essendo ormai tutte le attività attività di stato, ed essendo tutte le attività subordinate all'ideologia, un errore commesso nell'ambito di un’attività economica o professionale diventa al contempo un errore ideologico. Ne scaturisce, in ultima istanza, una politicizzazione, una trasfigurazione ideologica di tutti gli errori che è possibile commettere e, in conclusione, un terrore al contempo poliziesco ed ideologico. (...) Il fenomeno è perfetto allorché tutti questi elementi si realizzano insieme in maniera compiuta». R. Aron, Démocratie et Totalitarisme, Folio Essais, Gallimard, 1965.
Le domande che si pongono di fronte al fenomeno del totalitarismo riguardano sia la sua specificità rispetto all'assolutismo moderno sia la sua genesi (come è nato e come mai proprio in quell’Europa che ha realizzato una cultura fondata sulla persona, sulla ragione e sulla scienza e sul diritto naturale alla base dello Stato di diritto?)
2) Un aiuto molto importante per una risposta alle due questioni ci viene offerta dal Calendario del 4 dicembre dedicato a THOMAS HOBBES, teorico dell'assolutismo moderno e ad HANNA ARENDT, studiosa attenta del fenomeno del totalitarismo.
HOBBES delinea le caratteristiche dell'assolutismo moderno nelle seguenti: a) individualismo possessivo (l’uomo allo stato di natura è un individuo che ha diritto ad impossessarsi di tutto con il solo limite dell’istinto di conservazione e dell’analogo diritto degli altri individui), b) materialismo integrale (il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa viene superato eliminando la prima), c) fisicalismo epistemologico (la conoscenza data dalla nuova scienza cartesiana è il paradigma di ogni altro tipo di conoscenza, anche di quella dell’uomo e della politica).
La ARENDT da parte sua individua come causa fondamentale dei totalitarismi del XX secolo in primo luogo la mancata individuazione del primato dell'agire politico su quelli del lavorare e del produrre/fabbricare a partire dalla rivoluzione industriale moderna.
Il lavoro infatti assicura la sopravvivenza non solo individuale, ma della specie umana, mentre la fabbricazione produce un mondo sulla terra. Mentre è possibile lavorare e produrre anche in solitudine, non è possibile agire se non in relazione almeno ad un'altra persona, ossia, in generale, ad una pluralità di individui.
Questo vuol dire - secondo la Arendt - che lavoro e fabbricazione non realizzano qualità specificamente umane, dal momento che anche un animale può lavorare e una divinità artefice potrebbe produrre.
Specificamente umano è, invece, l'agire insieme, che costituisce l'ambito della politica e presuppone il linguaggio come mezzo essenziale per il rapporto tra una pluralità di individui.
La Arendt infine si pone una domanda:
"quale esperienza di base nella convivenza umana permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore e il suo principio d'azione nella logicità del pensiero ideologico?"
La risposta viene data individuando tale esperienza di base nell'isolamento dei singoli nella sfera politica, corrispondente alla estraniazione nella sfera dei rapporti sociali.
Quest'ultima, in sostanza, sta alla base dell'isolamento sul piano politico, e quindi costituisce la condizione generale dell'origine del totalitarismo.
"Estraniazione, che é il terreno comune del terrore, l'essenza del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e delle vittime, é strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluità che dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla fine del secolo scorso e con lo sfascio delle istituzioni politiche e delle tradizioni sociali nella nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo".
E ancora:
"quel che prepara così bene gli uomini moderni al dominio totalitario é estraniazione che da esperienza al limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, é diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti nel nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realtà".
Ma il totalitarismo nuovo ha una forma che si presenta spesso come desiderata e voluta dalla grande maggioranza del popolo.
3) Su questo aspetto la riflessione di ETIENNE DE LA BOÉTIE (Sarlat, 1° novembre 1530 – Germignan, 18 agosto 1563) filosofo, scrittore e politico francese del 500 risulta ancora oggi fondamentale.
Il suo testo principale "Il discorso sulla servitù volontaria" contiene riflessioni profonde sul rapporto suddito/monarchia alla ricerca di un superamento di ogni assolutismo politico e di ogni tirannia.
«Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? Come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!»
Proprio la disobbedienza civile, ed il rifiuto di servire l'autorità ingiusta collaborando con essa, avrebbero costituito il presupposto teorico dal quale avrebbero tratto spunto i moderni movimenti non-violenti.
Clicca qui.
4) Nella stessa direzione di Boétie, ma incentrandosi sul tema dell’influenza negativa dei mass media, va il contributo di NEIL POSTMAN, che ricordiamo nel giorno della sua morte (5 ottobre 2003).
Allievo di McLuhan sviluppò le sue riflessioni facendo per più di quarant'anni il professore associato dell'università di New York.
È famoso al pubblico soprattutto per il suo libro del 1985 sulla televisione intitolato "Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell'era dello spettacolo".
McLuhan sosteneva che ogni medium crea un ambiente e cambia il modo di pensare e di vivere delle persone che a quell’ambiente appartengono.
Così è stato per l’invenzione della scrittura piuttosto che con l’invenzione della stampa; e analogo procedimento sta avvenendo, o più propriamente parlando è oggi già avvenuto, con l’introduzione della televisione e dei nuovi media.
Sono queste le idee (domande) che, riprese sistematicamente da Postman in ogni suo scritto, possono meglio rappresentare il debito intellettuale nei confronti del professore di Toronto.
“Avevamo dimenticato che, oltre alla visione infernale di Orwell, qualche anno prima ce n’era stata un’altra, forse meno nota anche se altrettanto raggelante: quella del "Mondo Nuovo" di Aldous Huxley.
Contrariamente a un’opinione diffusa anche tra le persone colte, Huxley e Orwell non avevano profetizzato le stesse cose. Orwell immagina che saremo sopraffatti da un dittatore. Nella visione di Huxley non sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia, la cultura e la storia.
La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare.
Orwell temeva che i libri sarebbero stati banditi; Huxley, non che i libri fossero vietati, ma che non ci fosse più nessuno desideroso di leggerli. Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato delle informazioni; Huxley, quelli che ce ne avrebbero date troppe, fino a ridurci alla passività e all’egoismo. Orwell temeva che la nostra sarebbe stata una civiltà di schiavi; Huxley, che sarebbe stata una cultura cafonesca, ricca solo di sensazioni e bambinate.
Nel “Ritorno al mondo nuovo”, i libertari e i razionalisti - sempre pronti ad opporsi al tiranno – «non tennero conto che gli uomini hanno un appetito pressoché insaziabile di distrazioni».
In 1984, aggiunge Huxley, la gente è tenuta sotto controllo con le punizioni; nel Mondo nuovo, con i piaceri. In breve, Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley, da ciò che amiamo. Il mio libro si basa sulla probabilità che abbia ragione Huxley, e non Orwell” (Neil Postman, Divertirsi da morire, Premessa, pp. 15-16)
La storia come discorso da proseguire, come esperienza da conoscere e da assumere nell’analisi del presente e nella progettazione del futuro; il linguaggio come mezzo di una comunicazione razionale e consequenziale, come espressione di un pensiero meditato che si confronta criticamente con la realtà.
Ecco le idee che guidano gli studi di NEIL POSTMAN nella loro duplice direzione.
Da una parte l’importanza essenziale della scuola nella ferma convinzione che, con le parole di Rousseau, la cura e l’edificazione dei bambini debbano essere considerate come un investimento nel nostro futuro collettivo.
Dall’altra il ruolo della tecnologia che va inquadrata nella sua dimensione ecologica, nella sua capacità di cambiare radicalmente l’ambiente in cui nasce e di creare nuove regole, nuovi simboli.
In questo cambiamento, suggerisce Postman, è essenziale guardare al passato per recuperare il pensiero, per non lasciare che il discorso pubblico dimentichi le argomentazioni ed il ragionamento, annegando nella superflua rapidità dei sound bytes, delle battute ad effetto che mirano alla persuasione emotiva piuttosto che alla chiarificazione e all’espressione razionale delle opinioni.
Recuperare l’atteggiamento critico nei confronti della realtà, la competenza nell’uso della parola e del raziocinio quali veicoli delle idee, appaiono allora come gli strumenti necessari per non fare la fine di Margutte: per non morire dal ridere.
(Dalla postfazione dell'edizione italiana di "Divertirsi da morire", di Neil Postman, edito nel 2002 da I libri di Reset di Mauro Buonocore).
5) Ma il suggerimento più importante nell’analisi del totalitarismo ci viene dal grande teologo e filosofo ROMANO GUARDINI (Verona, 17 febbraio 1885 – Monaco di Baviera, 1º ottobre 1968) (1 ottobre e 13 luglio del Calendario).
La sua opera e la sua vita ci offrono strumenti preziosi per operare una GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE DELLA SPERANZA di fronte all'assenza di significato che caratterizza la nostra condizione.
Fin dal 1929 afferma infatti:
«Il Cristianesimo non è una teoria della verità o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino». (Romano Guardini, L'essenza del Cristianesimo, Brescia, Morcelliana 1989)
Ma il grande teologo, nel suo intervento di rievocazione della Rosa Bianca non si ferma qui e prosegue affermando poi, in modo inaspettato, che ALL’ORIGINE DEL TOTALITARISMO STA QUELLA CONCEZIONE DELL’UOMO CHE NEGA LA DIMENSIONE DELLA COSCIENZA E DELLA VERITÀ E CHE HA PORTATO L’EUROPA E IL MONDO AD ELABORARE CON LA TECNICA UNA SOCIETÀ CHE SFUGGE ALLA RESPONSABILITÀ DELLA PERSONA E CHE VA IN DIREZIONI CHE LA COSCIENZA NON RIESCE A DOMINARE.
"Il potere dell’uomo sulla natura si è concentrato in oggetti da lui prodotti che hanno una forza mai vista; li chiamiamo macchine. A seconda della loro funzione e della loro specifica fabbricazione stanno l’una in rapporto all’altra in un grande sistema di interdipendenze; questo è ciò che chiamiamo “tecnica”.
Essa si fonda su una ricerca scientifica in continua crescita e su di una organizzazione socioeconomica che attraversa sia la vita dello Stato che quella del popolo: questa è ciò che chiamiamo la “società moderna”.
A partire dall’interiorità si gioca il nostro destino: se noi restiamo signori delle nostre opere, oppure i loro funzionari. E’ necessario preservarsi dall’invadenza della sfera pubblica e riconoscere come sacri i legami umani originari.
Ma i veri cambiamenti possono accadere soltanto a partire dall’interiorità, e non sarà cosa di poco conto il realizzarli; non sarà facile riconoscere che qui si gioca il destino dell’uomo: se egli resta signore delle proprie opere, oppure il loro funzionario.
L’uomo, dunque, deve situarsi in se stesso. Deve crearsi lo spazio della riservatezza personale e deve preservarlo dall’invadenza della sfera pubblica.
Deve tornare a riconoscere come sacri i legami umani originari e li deve custodire. Deve essere deciso a non sottostare a ciò che “si” fa, a ciò che “si” deve avere e vedere. Deve costruire dentro di sé una barriera contro i flutti dei condizionamenti sociali che giungono attraverso la pubblicità, le notizie, la radio, e tutto il resto.
E – cosa da non dimenticare – deve liberare la propria vita spirituale da quel narcotico con cui addormentano la loro coscienza tutti coloro, che non vogliono analizzare a fondo nessun problema con lo spirito di una corretta critica culturale: la fede nel progresso universale" (Romano Guardini).
6) Una importante spiegazione storico-teoretica della proposta di Guardini nella sua parte di analisi della società contemporanea è data un pensatore molto importante e poco conosciuto: uno dei più importanti filosofi della politica con Strauss, la Arendt e Gadamer: ERIC VOEGELIN.
Tutta la sua opera è dedicata alla elaborazione di una filosofia della politica capace di criticare radicalmente i totalitarismi del suo tempo (nazismo e comunismo).
Senza dubbio, il tema dominante degli scritti di Voegelin è L’ORDINE E IL DISORDINE, nella società come nell’animo umano.
Le forme di disordine sono naturalmente molteplici: oppressione, violenza, criminalità, squilibrio mentale e tutte le altre sottili specie di alienazione che possono affliggere gli esseri umani. La tradizione religiosa comprende questo disordine nelle conseguenze della caduta e del peccato originale, ma Voegelin è intenzionato ad intraprendere una ricerca più attenta, sia per trovarne la fonte sia per analizzare la nostra incapacità di uscire da questo stato.
Una possibile risposta a questa domanda è rappresentata dallo gnosticismo. Questa antica corrente di pensiero (sviluppatasi nei secoli II e III nell’ambito del cristianesimo, influenzata da tendenze religiose orientali e da elementi filosofici ellenistici) riaffiorò a più riprese e in varie forme nel corso della storia: lo gnosticismo sostiene che il mondo materiale è intrinsecamente pervertito e corrotto, e che non può essere purificato o redento, in quanto esso non proviene da una causa buona e positiva.
Per Voegelin, il MARXISMO E IL NAZISMO SONO FORME DI GNOSTICISMO che hanno proprio questi precisi obiettivi: l’idea di una fuga fuori-dal-mondo è stata trasformata in una fuga all’interno del mondo stesso, ma in una nuova forma d’essere. In entrambi questi movimenti politici, un’élite spirituale stabilisce il bene e il male in termini rigidamente dualistici e considera come proprio compito l’estirpazione del male dal mondo per fondare un nuovo ordine sociale.
La dimensione storica dell’esistenza umana, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, è respinta, in favore di una visione apocalittica di purificazione della società attraverso un’orgiastica celebrazione della violenza: le moderne forme di gnosticismo si esplicano in quelle che Voegelin chiama le ideologie dell’uccidere. A suo parere, la base concettuale che ha permesso lo sviluppo di queste ideologie è stata elaborata nell’Ottocento da Hegel, Marx e Nietzsche, pensatori “spiritualmente malati” che il nostro sottopone ad una critica fulminante.
In questa direzione prosegue il testo magistrale di Emanuele Samek Ludovici: Metamorfosi della gnosi.
Si tratta di una profonda e profetica fenomenologia della cultura contemporanea, interpretata in molte sue espressioni come rifrazione di una mentalità, per lo più inconscia: quella della gnosi. Questa mentalità assume dallo gnosticismo antico alcune grandi tesi:
• il mondo e l‘uomo sono connotati dalla negatività;
• la salvezza è possibile perché lo gnostico, il rivoluzionario, è capace di produrre la redenzione e l’uomo nuovo;
• il diritto e l‘ordine morale sono barriere da estirpare.
Sintesi di tutte queste tesi è il rifiuto del limite e della finitezza, rifiuto che non riesce a tollerare che l’uomo non possa essere Dio. Ovvio, pertanto, l’attacco feroce di questa mentalità verso alcuni bersagli: il cristianesimo, per il quale il mondo ha un grande valore, perché in esso si incarna Dio stesso e perché è voluto proprio da Dio; la storia e il passato, perché rammentano la serie dei fallimenti di costruzione dell’uomo nuovo; la tradizione e tutti i suoi supporti vitali che le consentono di essere recepita e trasmessa: come il linguaggio con cui essa parla, la famiglia dove si rinnova, la donna che cresce le nuove generazioni. Samek smonta la strategia della rivoluzione culturale gnostica nelle forme del riduzionismo antireligioso, del prometeismo marxista, della corruzione della memoria storica attraverso la corruzione del linguaggio, della filosofia radical-relativista dei media, della distruzione della famiglia tramite la rivoluzione sessuale e alcune forme di femminismo.
clicca qui.
7) Ma la parola definitiva sul totalitarismo è quella pronunciata da AUGUSTO DEL NOCE a più riprese.
Vedi qui la bella sintesi del suo pensiero da parte di Marcello Veneziani.
In particolare nel suo bel saggio su Vita e Pensiero del 1982 che qui riportiamo. In esso stabilisce il nesso tra negazione della trascendenza, relativismo etico, società del benessere e totalitarismo.
La riflessione che ne viene riguarda l’aspetto generazionale che il ’68 assume nel suo manifestarsi. Tutti quelli che allora erano giovani aderirono alle istanze iniziali del movimento studentesco.
Ma quasi immediatamente la gran parte, quelli che non militavano in formazioni politiche estremistiche, si rese conto del tradimento ideologico operato da coloro che volevano "egemonizzare” il movimento, utilizzando categorie politiche di origine marxista (o ad esse opposte) incapaci di rendere ragione dello spessore umano della rivolta e trasformandola in una lotta violenta per il potere.
Come spunto di riflessione sul paradosso del '68, che nasce per rifiutare gli aspetti più negativi della società italiana del tempo e si trasforma in un luogo di incubazione degli Anni di Piombo e dei terrorismi di destra e di sinistra, vedi il seguente articolo di Augusto Del Noce, Appunti per una filosofia dei giovani, Vita e Pensiero, 1968, V, pp. 399-413
Vedi il concetto di "soggetto portatore della cultura popolare con radici cristiane" qui.