Il dialogo religione-scienza nei secoli: da Platone al mistero dei quanti
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Quando comincia il dialogo tra Religione e Scienza? Non è facile rispondere a questa domanda, perché se uno dei due interlocutori (la Religione) ha qualche millennio alle spalle, non così accade per l’altro (la Scienza). E questo è vero se ci riferiamo alla cosiddetta scienza moderna: in tal caso il dialogo religione/scienza ha solo qualche secolo di età; si può infatti parlare di scienza moderna solo a partire dal 1500-1600, quando grandi scienziati come Copernico, Galileo, Newton, pongono le basi del metodo scientifico. Ma prima di questa data non è che l’uomo non ragionasse sulla realtà o non osservasse la natura: porsi degli interrogativi e darsi delle risposte con la ragione è tutto sommato un comportamento che può già essere chiamato “scienza”; solo che questa scienza non era ancora, salvo qualche eccezione, una disciplina autonoma, bensì si presentava come una propaggine della filosofia o della teologia.
Nell’antichità classica, per esempio, era il filosofo che interpretava la realtà, che faceva osservazioni sulla natura (pensiamo anche solo ad Aristotele, a Platone) e molti filosofi erano allo stesso tempo dei matematici (pensiamo a Pitagora, Euclide,…). La matematica non ha diritto ad essere definita una scienza? Come mai proprio essa, che è alla base di tantissime discipline scientifiche, deve subire il peso di certe frettolose affermazioni del tipo: “Prima di Galileo non possiamo parlare di scienza”. Lo stesso Galileo non avrebbe potuto concludere nulla se non fosse stato per la matematica degli antichi. Ma anche la stessa astronomia ha radici antichissime: i primi studi, talvolta dai risultati sorprendenti, risalgono a ben 6.000 anni fa, e se ne trova traccia in diverse culture antiche (Sumeri, Egizi,…). L’età classica attinse spesso a queste antiche osservazioni scientifiche. Lo stesso fece l’età cristiana nei riguardi di quella classica. Basta anche solo ricordare l’opera preziosa dei Benedettini, che fin dal VI secolo ebbero il merito di tramandare, ricopiandole a mano, le opere di matematica e di geometria degli antichi, e diffondendo questo sapere (come pure quello umanistico) di monastero in monastero, per territori a quei tempi vastissimi, posero le basi della cultura europea e dell’unità del sapere. Tanto che lo storico inglese James Gibbon (1834-1921) ebbe a scrivere: “Un solo monastero dei benedettini ha fatto forse più per la scienza che non le due università britanniche di Oxford e Cambridge messe insieme”. Molti santi e teologi del Medio Evo erano grandi appassionati di scienza, ed hanno compiuto di volta in volta ricerche ed osservazioni senza le quali non ci sarebbe stata la sufficiente spinta verso la scienza moderna. Non vi è qui lo spazio per ricordare tutti i protagonisti e tutti gli studi portati a termine, ma non possiamo non ricordare sant’Alberto Magno, che nel 1248 portò compimento la redazione di un’enciclopedia, insieme scientifica e filosofica. In essa compendiò le sue preziosissime osservazioni nel campo delle scienze umane, della chimica, della biologia. In un’epoca in cui fede e ragione faticavano a volte a trovare il loro equilibrio, sant’Alberto Magno ebbe il coraggio di propugnare lo sviluppo autonomo delle scienze profane. Anzi, in quest’autonomia vide il pieno e sano equilibrio della fede. La sua norma fu il rispetto delle varie discipline, che venivano trattate ciascuna secondo la propria metodologia. Per questo da molti viene considerato il vero precursore della scienza moderna, sebbene vivente tre secoli prima di Galileo. Non solo, ma questo grande frate tedesco ebbe tra i suoi discepoli, nel collegio universitario domenicano a Parigi, nientemeno che san Tommaso d’Aquino, altro grande dottore della Chiesa, vissuto tra il 1225 e il 1274. Quando il suo maestro si recò a Colonia per fondarvi una nuova università, Tommaso lo seguì, approfondì gli studi e divenne a sua volta docente universitario a Parigi. Anche san Tommaso rifiutava la frattura tra fede e ragione, tra conoscenza cristiana e conoscenza profana, e sosteneva, come Alberto Magno, il principio dell’autonomia della ragione. Partecipò al dibattito sulla posizione dell’uomo nell’universo, sul suo rapporto con Dio all’interno della creazione, ma anche all’interno di un’armonia tra spirito e materia, tra anima e natura, natura che era da lui vista (a differenza di molti suoi contemporanei) come realtà positiva, con le sue leggi che però non intaccavano la libertà dell’uomo.
Fede e ragione si conciliavano, in Tommaso, nell’unicità dell’intelletto. E fu grandemente ammirato per il suo metodo d’insegnamento, tanto che il suo ex-allievo e biografo (Guglielmo di Tocco) di lui scrisse: “Frate Tommaso poneva durante le sue lezioni questioni nuove, scopriva nuovi metodi, impiegava nuovi sistemi di prova; e nel sentirlo così insegnare una nuova dottrina, con argomentazioni nuove, non si poteva mettere in dubbio che Dio, con l’irradiazione di questa nuova luce e con la novità di questa ispirazione, gli abbia affidato il compito di trasmettere, fin dall’inizio, in piana coscienza, oralmente e per iscritto, nuove verità”.
Il primo dialogo religione - scienza nacque dunque all’interno del grembo della Chiesa, che attraverso i suoi ordini religiosi e i suoi dottori aveva creato decine e decine di università in tutta Europa. Del resto i monasteri, fin dai primi secoli, erano sempre stati grandi centri d’istruzione e d’alfabetizzazione, e talvolta finanche di ricerca, oltre che depositi di libri e manoscritti che diventarono gradualmente importanti biblioteche. E quando fu inventata la stampa molti di questi testi tramandati vennero duplicati e diffusi a ritmo crescente, e questo contribuì certamente a porre le fondamenta per lo sviluppo della scienza moderna.
Copernico stesso non iniziò i suoi studi se non dopo aver consultato gli antichi autori (Cicerone, Aristarco di Samo, Marziano,…) e si accorse che alcuni di questi sostenevano che fossero la terra e i pianeti a girare intorno al sole, contrariamente a quello che appariva all’evidenza dei sensi, peraltro supportata dalla teoria geocentrica di Tolomeo.
Incuriosito, Copernico mise in piedi un rudimentale osservatorio destinato a rimanere famoso per la teoria eliocentrica che da allora cominciò ad affermarsi con autorità. Ma pochi sanno che anche Copernico era un ecclesiastico, e che il suo osservatorio era installato in cima alla cattedrale di cui era canonico (quella di Fromborle). E l’opera fondamentale che egli pubblicò nel 1543, intitolata “La rotazione dei corpi celesti”, fu dedicata al papa Paolo III, anch’egli appassionato di astronomia.
I protestanti vedevano con diffidenza questi studi, tanto che lo stesso Lutero scrisse riguardo a Copernico: “La gente presta orecchio a un astrologo improvvisato che cerca in tutti i modi di dimostrare che è la terra a girare e non il cielo”.
Le teorie di Copernico si diffusero però velocemente, grazie a quelle università di cui abbiamo parlato. Oltre mezzo secolo dopo (intercorsi ben 11 pontificati), queste teorie furono riprese da Galileo, che perfezionò i telescopi allora esistenti e aggiunse nuovi studi all’eliocentrismo; ma il suo più grande contributo fu quello di aver fornito di più solide basi il metodo scientifico. Tutto questo però rimise in ballo il tema dell’interpretazione della Sacra Scrittura, e poiché proprio attorno a questo tema i protestanti avevano messo in piedi uno scisma, spesso veniva guardato con diffidenza chi ancora avesse voluto riaprire questa recente ferita. Pochi compresero subito la positiva novità apportata da Galileo: lo scienziato non presentò, infatti, la scienza come alternativa alla fede, ma anzi amava sostenere che entrambe le strade conducevano a Dio. Secondo Galileo l’uomo aveva a disposizione due grandi libri per la ricerca della verità: il libro della Bibbia e quello della Natura, le cui leggi erano scritte dallo stesso autore: Dio. Da cattolico lo studioso amava dire: “Nelle mie scoperte scientifiche ho appreso più col concorso della divina Grazia che coi telescopi”.
Anche Keplero, con cui Galileo era in contatto epistolare, scriveva: “La grandezza delle tue opere, mio creatore e Signore, io mi sono studiato di proclamare innanzi agli uomini, e ho appreso ogni cura nel far conoscere la tua sapienza, potenza e bontà”.
Newton su questo argomento tagliò corto affermando: “L’uomo che non ammette Dio è un pazzo”.
Nel frattempo gli ordini religiosi continuarono a portare avanti la ricerca scientifica; in particolare si distinsero i gesuiti, sebbene il loro ordine fosse stato fondato solo il secolo prima. Per tutto il ’600 e ’700 vi fu una grande fioritura scientifica. Ricordiamo solo i nomi del gesuita Orazio Grassi (studioso delle comete e di altri fenomeni celesti), di Bonaventura Cavalieri (allievo di Galileo e autore di una Geometria degli indivisibili, in cui si trovano i primi concetti del calcolo infinitesimale), di padre Riccioli (autore dell’Almagestum novum), di padre Grimaldi (scopritore della rifrazione della luce), dei professori del Collegio Romano padri Fabri e Gottingnies, e infine del padre Plati (osservatore dell’eclissi solare): tutti studiosi che, assieme a tanti altri, lavorarono con fervore per il progresso della scienza, e lo fecero sotto la protezione della Santa Sede e spesso sotto il suo impulso.
Anche nel campo della medicina e dell’erboristeria gli ordini religiosi diedero nei secoli un fondamentale contributo, diventando spesso la punta di diamante nel campo della ricerca. Ancora nel 1865 fu un monaco agostiniano, Mendel, a pubblicare la scoperta delle leggi della genetica, anche se a lungo ignorato dalle comunità scientifiche che ormai spuntavano autonomamente in tutto il mondo laico.
La rivoluzione illuminista portò alla chiusura improvvisa di molti ordini religiosi, tra cui quello dei gesuiti. La rivoluzione francese, le dittature di alcuni imperatori, e il risorgimento italiano, portarono alla chiusura di molti centri di cultura ecclesiastici e alla confisca dei beni e dei territori della Chiesa. A Roma, dopo la breccia di Porta Pia rimase però in piedi, quasi come vessillo di tutta una grande avventura scientifica, la Specola Vaticana, importante osservatorio astronomico fondato dai gesuiti, prestigioso istituto scientifico alle dipendenze del papa, che regalò al mondo alcuni padri fondatori dell’astrofisica, come il sacerdote Angelo Secchi.
La fine del potere temporale della chiesa non significò certo la fine della scienza: essa andò comunque avanti; i semi sparsi fruttificarono ovunque e in tutte le direzioni.
Il Concilio Vaticano I, nel 1870 confermò, nei suoi Atti, che esistono due ordini di conoscenza distinti, quello della FEDE e quello della RAGIONE, e pertanto era considerato perfettamente lecito che le arti e le discipline umane si servissero di propri principi e di un proprio metodo autonomo. Ma l’autonomia della metodologia scientifica non esigeva che gli scienziati rinunciassero alla propria fede. E infatti molti non la nascosero affatto. Alessandro Volta pregò per due mesi per ricevere da Dio la luce di comprendere il fenomeno dell’elettricità: e il risultato… è sotto ai nostri occhi tutti i giorni!
Il celebre fisico Giovanni Polvani di lui scrisse: “Egli comprese che quei doni gli venivano dati solo perché li offrisse a Dio, perché di Dio narrassero la gloria”.
Un altro studioso dell’elettricità, il noto Ampère, amava dire: “Lavora perché è il tuo dovere, ma con una mano sola, perché l’altra deve essere impiegata per servire Dio”.
Ed Edison incalzava: “Sono un uomo che ammira tutti gli ingegneri del mondo, e che ha profonda ammirazione per il più grande di tutti: Dio”.
Anche i coniugi Curie furono molto aiutati dalla loro fede e dalla loro preghiera nelle grandi scoperte che fecero attorno alla radioattività. E come non ricordare Guglielmo Marconi, l’inventore della radio, che dovette superare tantissimi ostacoli, ma sempre diceva: “In tante difficoltà della vita, Dio è stato il mio unico sollievo”.
E così via, fino ai giorni nostri, attraverso tanti nomi di cui siamo debitori, e non solo tecnologicamente. Ancora oggi le statistiche ci confermano che il 70-80% degli scienziati crede in un Dio Creatore. Ma al di là delle statistiche, quello che rende grande lo scienziato credente è che vede nella bellezza dell’Universo il volto di Dio.
Scienza e Fede sono le due ali dell’uomo moderno; come amava dire Einstein: “La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca”. Einstein era un ebreo, però il 23 dicembre 1940 sul Time Magazine scrisse: “Non avevo mai avuto un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa un grande amore ed ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la libertà intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che tutto ciò che prima avevo disprezzato, ora lodo incondizionatamente”.
Papa Giovanni XXIII nel 1962 convocò da tutto il mondo oltre duemila vescovi nel ben noto Concilio Vaticano II, che incoraggiò ulteriormente, laddove ce ne fosse ancora bisogno, l’autonomia della scienza; anzi deplorò “certi atteggiamenti mentali derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza”; atteggiamenti che rischiavano di far ritenere scienza e fede in opposizione tra loro.
La scienza viene definita dal Concilio “utile alla Chiesa”, anche se a quest’ultima rimane il compito di vigilare affinché la ricerca scientifica sia sempre a servizio dell’uomo, invece di servirsi dell’uomo. Per la Chiesa l’essere umano deve essere sempre, dal concepimento fino alla morte, il fine della ricerca, e mai il mezzo. A queste condizioni Essa vede con favore anche il progresso, ma la Gaudium et Spes mette in guardia da un cattivo uso del progresso: “Il progresso umano, che pure è un grande bene dell’uomo, porta con sé una grande tentazione: infatti, sconvolto l’ordine dei valori, e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente alle cose proprie e non a quelle degli altri; e così il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l’aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano”.
Parole dure, queste ultime, motivate dal fatto che era in corso la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, con le loro sessantamila testate nucleari puntate verso le città di tutto il mondo. Ma ancora oggi il grande problema dell’etica della scienza rimane, ed ancora la vita umana è spesso messa in pericolo dal diffuso fenomeno della cosiddetta “scienza senza coscienza”. La fede, tuttora, aiuta lo scienziato a mantenere un ruolo di tipo etico, e il cristianesimo ha certo alle spalle un patrimonio millenario di valori morali inalterabili, che sono poi gli stessi valori che difendono la dignità della persona. Clonazione, sperimentazione su embrioni umani, traffico di organi, espianto di cellule staminali da feti vivi, eutanasia, rimettono sempre in gioco la domanda su quali siano in confini del lecito e se alla scienza sia consentita ogni cosa o se debba rimanere all’interno di un’etica riconosciuta.
In tutti i settori, dalla biologia alla farmaceutica, dalla medicina alla psicanalisi, la frattura tra Etica e Scienza si è spesso fatta sentire con conseguenze spesso molto gravi.
E’ un’illusione credere che la scienza sia qualcosa di neutro, o che abbia davanti un solo tipo di percorso. Il percorso glielo conferisce l’uomo. La scienza si muove a seconda delle spinte che riceve dal mercato, dalla situazione economica, dalle scelte politiche. Se certe scoperte non vengono fatte, o vengono fatte prima di altre, o vengono applicate in un determinato modo, è in base a una precisa filosofia che sta sempre alle spalle di ogni atteggiamento scientifico; è in base ad una visione del mondo ben determinata. E se questa visione è quella cristiana, che pone sempre la persona al centro, che vede l’essere umano solo come fine e mai come mezzo, che rispetta in pieno la dignità dell’uomo dal concepimento alla morte, allora della scienza ci possiamo fidare, certi che non genererà mostri. Se però la scienza viene finalizzata all’interesse del singolo, o dei gruppi economici, o perfino alla superiorità bellica di una potenza, allora appare evidente che la domanda “Quale scienza?” non è una domanda retorica. Alla fine è la visione che abbiamo dell’uomo a determinare il tutto. Nel continuo dialogo religione/scienza la grande questione dell’interpretazione del cosmo riaffiora sempre. Era riaffiorata con Einstein, quando il Relativismo mise in ginocchio i dogmi della scienza classica; molte certezze razionali crollarono quando si cominciò a parlare di “tempo che scorre in modo diverso a seconda della posizione o della velocità di un corpo”, o di “tempo congelato” per le particelle che viaggiano alla velocità della luce. Perfino la grande sicurezza matematica dell’ “uno più uno fa sempre due” finì gambe all’aria se a sommarsi erano le velocità vicine a quella insuperabile della luce. Il Meccanicismo tradizionale non si rivelò più sufficiente a spiegare i fenomeni. Lo Scientismo andò in crisi; presuntuosamente aveva pensato che la spiegazione di tutto fosse solo una questione di tempo e che prima o poi tutto sarebbe stato ridotto a equazioni. Ma questo riduzionismo scientifico dovette cedere il posto alla nuova scienza: quella olistica. Solo l’Olismo, come forma di conoscenza che abbraccia il tutto (e non solo una parte) poteva allargare la mente a nuove urgenti interpretazioni del cosmo. Ma per far questo lo scienziato doveva essere in grado di servirsi di ogni patrimonio conoscitivo, anche di quello filosofico.
La recente Quantistica ha convinto gli ultimi dogmatici indecisi a sciogliere le redini del pensiero, altrimenti mai si sarebbe riusciti a conservare il senno dinanzi a particelle, come i quanti appunto, il cui comportamento è sempre uno sgambetto alla nostra tradizionale ragione. I quanti con grande senso dell’humour rifiutano ogni osservazione classica: se ne osservi la velocità non puoi osservarne la posizione, se ne osservi la posizione non ne puoi osservare la velocità. Sono lì e non sono lì. Hanno uno stato d’essere ma ne hanno anche un altro. I libri di fisica hanno dovuto accettare termini del tutto a-razionali come quello di “compresenza di stati”. Robert Gilmore è stato costretto a concludere: “Sapevamo che il mondo fosse più bizzarro di come immaginavamo, ma non che fosse più bizzarro di quanto siamo capaci di immaginare”. Le leggi sull’interferenza quantistica ci sbigottiscono con particelle in grado di attraversare (nello stesso momento!) due fessure diverse. Non solo, ma se vai ad osservarne il comportamento esse …lo modificano, assumendo con gentile ironia solo quello accettabile dalla nostra ragione, passando cioè solo attraverso una delle due fessure. “L’osservazione modifica il comportamento”, concludono gli scienziati con la solita esigenza di una formula; ma stavolta coprono le loro nudità con panni ormai troppo ristretti.
Più elegante il grande Von Neumann, ma la scissione tra fisica e filosofia è ormai scomparsa: “E’ il nostro stesso atto di osservare che impone al mondo la sua forma”. Guarda caso l’Uomo torna di nuovo al centro. Senza piedistalli stavolta, umilissimo e smarrito, ma ineliminabile entità nella misteriosa avventura dell’Universo.
Anche l’astrofisica pone sempre maggiori quesiti alla filosofia e alla metafisica: diventata pure essa maggiormente umile davanti al “muro di Planck”, il limite cognitivo della scienza fisica, presente oltre i primi istanti del Big-Bang, ove si scatenano energie infinite, ed ove il grande mistero del passaggio dal nulla alla materia si staglia come il monolite di Kubrick. Ora anche l’astrofisica accosta il suo pezzetto di puzzle chiamato Principio Antropico: “L’Universo sussiste in funzione di un osservatore”. Tutto è finalizzato all’Uomo. Ed anche questo richiede una nuova Epistemologia della Scienza, che si domandi davvero cos’è la scienza, qual è il vero sapere, come si debba muovere ora la conoscenza.
Forse non è la fine della scienza, come già molti gridano allarmati. Forse è giunto solo il momento che essa si trasformi in sapienza.