La cosmogonia di Philip Pullman (La bussola d’oro) - 4: Un mondo senza libertà.
Nessun personaggio è realmente di fronte alla potenza del male, come Frodo che porta il peso dell’anello: la scelta per il bene dei buoni è automatica, priva di tentennamenti e di umana fatica, mentre i cattivi sono incapaci di cambiare perché fissati in un mondo di idee in cui la realtà non entra.- Autore:
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Il fantasy è il genere che più di ogni altro ha a che fare con l’eterna lotta tra Bene e Male, ma in questa trilogia non esiste dramma morale: il padre di Lyra, pur avendo un progetto “diabolico” e tutto asservendo alla propria ambizione, risulta positivo in forza solo della propria grandezza d’animo, pur compiendo azioni spregevoli come il sacrificio del migliore amico della figlia (dopo che lei ha rischiato la vita per salvarlo); è una forza della natura, che va ammirata e temuta nello stesso tempo. Ciò che lo spinge è una necessità, davanti alla quale si può solo cercare di scansarsi per non esserne travolti: come una valanga, è un mirabile spettacolo con cui è meglio però non avere a che fare.
Tutti i buoni sono tali per natura, ed i cattivi ugualmente. Lyra si incolpa dell’errore che ha portato alla morte il suo amico, ma in realtà non si tratta di una colpa vera e propria. Nessun personaggio è realmente di fronte alla potenza del male, come Frodo che porta il peso dell’anello: la scelta per il bene dei buoni è automatica, priva di tentennamenti e di umana fatica, mentre i cattivi sono incapaci di cambiare perché fissati in un mondo di idee in cui la realtà non entra. In effetti, l’unico personaggio che cambia è la madre di Lyra: il suo cambiamento nasce dall’esperienza della cura fisica di Lyra: la tiene drogata per asservirla ai propri scopi, ma nel prendersi cura della figlia così indifesa e in tutto dipendente, come un neonato, sperimenta la maternità che aveva rifiutato a suo tempo, e nasce in lei quell’amore che la spinge a cambiare partito definitivamente. Di per sé, è decisamente una di quelle esperienze umane fondamentali che secondo l’autore ci possono far comprendere la natura dell’universo e della vita. Purtroppo, essa inganna così tante volte e così bene, che anche quando diventa “buona” sembra resti tale solo perché muore, altrimenti si penserebbe possa cambiare partito ancora; la sua metamorfosi rimane dubbia fino al termine, quando insieme al marito riesce ad uccidere l’Autorità che minaccia sua figlia: ma proprio questo episodio che dovrebbe essere centrale, il titanico scontro del Bene e del Male, è messo in ombra dal contemporaneo trascorrere di Lyra e Will, inconsapevoli, verso quel loro destino così spesso evocato, cosicché agli occhi del lettore il grande scontro epico finisce per far parte del paesaggio. Ben diversamente ne “Il Signore degli Anelli” il gigantesco scontro tra le forze del Bene e del Male è vinto dal Bene solo in forza della battaglia minuscola che si combatte nel cuore di Frodo, decisa dalla fedeltà di Sam: qui la battaglia è una semplice questione guerresca, i buoni vincono grazie alle loro capacità, e il destino dei protagonisti, presentati per tre libri come destinati ad iniziare una nuova era, si svolge in maniera del tutto indipendente e anche abbastanza dimessa rispetto alle premesse.
La trilogia offre comunque molti spunti di riflessione: qua e là ci si interroga anche sulla differenza tra bambini e adulti, sul mistero della pubertà come confine così impalpabile fra due età tanto diverse, sulla consapevolezza del reale propria dell’essere umano adulto, diversa da quella del bambino, sul rapporto con la morte e su cosa significhi una vita in pienezza: temi che sarebbe stato interessante approfondire, ed invece scorrono attraverso i tre romanzi, ma non trovano uno sbocco veramente soddisfacente. La trilogia sembra infatti un frullato di tematiche metafisiche, in cui l’unica tesi che si delinea chiaramente è l’antipatia per la religione. L’alternativa proposta, però, ha una tinta di mestizia che francamente non la rende poi così accattivante.
In quanto alla scrittura, è scorrevole e avvincente quanto basta; i personaggi sono ben delineati, attraverso dialoghi ed azioni, senza troppo indulgere in descrizione psicologiche (la possibilità di dialogo col proprio daimon permette ottimamente all’autore di esplicitare le emozioni dei personaggi); la suspence è resa continua dalla necessità di spiegare le tante meraviglie descritte, o di situare negli opposti schieramenti le sempre nuove creature che intervengono nel conflitto; l’autore ha in effetti buona fantasia per l’invenzione di creature nuove e strane.