La cosmogonia di Philip Pullman (La bussola d’oro) - 3: Carica antireligiosa e contraddizioni.

La trilogia ha apertamente una forte carica anticristiana, o meglio antireligiosa, che diventa più esplicita man mano che il racconto procede e l’impianto cosmologico si delinea.
Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La trilogia ha apertamente una forte carica anticristiana, o meglio antireligiosa, che diventa più esplicita man mano che il racconto procede e l’impianto cosmologico si delinea: la religione è solo una finzione che tende a privare l’uomo dell’unico mondo che realmente esiste, quello corporeo; una vita dopo la morte non è desiderabile, ma la nostra aspirazione deve essere quella di dissolverci felicemente dopo aver ben vissuto; ribellarsi all’autorità (religiosa) è cosa buona e giusta; il tentativo umano di rovesciare il potere divino è lotta per l’intelligenza e la libertà che la religione per sua natura nega, ecc.: se conoscete Odifreddi e l’UAAR , conoscete perfettamente il genere.
Queste tesi non sono “abilmente dissimulate” nella trama, ma sono esplicitamente dichiarate: “la religione cristiana è un errore molto potente e persuasivo, tutto qua” (Il cannocchiale d’ambra, pag. 379).
Credo sia lecito, pur senza alzare barricate, che un genitore si interroghi se sia il caso di esporre i propri figli a tesi del genere, dal momento che il volume è collocato nelle librerie fra i libri destinati ai ragazzi; nel caso, credo sarebbe utile aiutarli a capire se la chiesa descritta nel libro è quella del nostro mondo reale (secondo me, no), e se i personaggi umani risultano credibili.
Infatti, l’aspetto più debole del romanzo è il finale: dovendo scegliere fra il loro appena sbocciato amore ed il bene dell’universo, i due protagonisti scelgono il secondo. Ciò è molto edificante, ma anche decisamente fantasy. Soprattutto, contraddice ciò che l’autore stesso sembra voler affermare: da un lato è sbagliato negare il mondo a favore della religione perché essa è un insieme di principi astratti e avulsi dalla realtà; dall’altro lato, è giusto sacrificare se stessi e le proprie pulsioni in favore di una esigenza morale ancora più astratta, il kantiano dovere per il dovere. Ancora: da un lato, la ex suora non doveva rinunciare alla sessualità per Dio perché ciò è contro la natura umana, la giustizia e l’ordinata armonia del mondo; dall’altro lato, i protagonisti devono rinunciare al loro predestinato amore per salvaguardare il desiderio dei morti di morire proprio del tutto e per bene.
L’autore dimostra inoltre una sgradevole propensione a far morire i suoi personaggi quando sono in procinto di conseguire quello che cercano, o immediatamente dopo, il che imprime alle vicende una impressione generale di cupezza che in effetti contraddice la forza di liberazione che la trilogia vorrebbe riconoscere alla lotta contro la religione. Affiora insomma, eternamente e di nuovo, la triste fatalità dei Greci, o peggio ancora il cupo moralismo kantiano, dietro l’apparente gioia di vivere. Alla fine del romanzo il Male è sconfitto, e tutti sono più tristi di prima.