La contestazione giovanile e il '68

Autore:
Ferrante, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

L'idea che i giovani avessero come loro principale ideale quello di diventare grandi e di imitare i modelli culturali elaborati dai loro genitori prevale tra gli osservatori fino alla clamorosa esplosione della "contestazione studentesca" dapprima nelle università e poi nelle scuole medie superiori, ad imitazione di quanto era già accaduto nel '66-'67 nei campus di Berkley (California, Usa) o nel "Maggio" francese. Il fenomeno è tanto più clamoroso per il fatto che nessuno lo aveva previsto, come tipicamente avviene quando si è in presenza di "movimenti" allo stato nascente, piuttosto che ad organizzazioni istituzionalizzate. Inedita è la politicizzazione della protesta, sostenuta dal riferimento a teorie critiche della società di stampo illuminista, marxista, libertario; la contestazione non si rivolge genericamente contro gli adulti - secondo i canoni classici del conflitto generazionale - quanto contro il "sistema" (culturale, sociale, politico) globalmente inteso. La protesta ha ambizioni rivoluzionarie, non appare dunque contenibile mediante riforme più o meno profonde Si creano così i presupposti per l'assunzione di una vera e propria egemonia ideologica ed organizzativa dei leaders e dei gruppi che si richiamano alle diverse anime del marxismo rivoluzionario (leninismo, trotskismo, maoismo, castrismo).
La generazione del '68 si è definita ed è stata poi a lungo identificata come il prototipo di una "generazione politica" per eccellenza. In termini sintetici, si può dire che il bersaglio polemico della contestazione studentesca sia stato l'autoritarismo ed il formalismo della società adulta, considerata colpevole di voler imporre modelli di comportamento, stili di vita, valori "retorici" e "farisaici". Paradossalmente, però, è a partire dagli anni '60 che molti appartenenti alle giovani generazioni iniziano a sperimentare una nuova forma di "dipendenza" psicologica e fisica dalle droghe sintetiche (LSD) e vegetali (marjuana, cannabis), immesse per la prima volta sul mercato e sbandierate anch'esse come un'espressione della cultura della protesta e del dissenso socio-politico.
L'età della contestazione mette profondamente in discussione i principi della delega e della gerarchia, delegittimando ogni autorità costituita ed ogni funzione di comando, in nome della partecipazione, della democrazia diretta, dell'egualitarismo. Vengono anche apertamente criticate le tradizionali disuguaglianze e discriminazioni tra uomo e donna, attraverso neo movimenti femministi, anch'essi nati sull'onda del "movimento contestativo".
La stagione della contestazione lascerà un segno profondo su tutti coloro che hanno frequentato l'università e le medie superiori nel corso degli anni '70; inizia in quel periodo la erosione sistematica e definitiva delle certezze religiose, morali, ideologiche, che avevano contraddistinto gli anni della ricostruzione post-bellica. Il '68 innesca in pratica il diffondersi di un processo di "demistificazione", che alla fine spianerà la strada ad un sostanziale "relativismo" e "scetticismo" etico-morale anche in molti di coloro che si erano fatti paladini di progetti politici "totalizzanti", tanto "utopici" quanto inevitabilmente "violenti".
Osservati a distanza, gli anni della contestazione studentesca coincidono con l'avvio della silenziosa rivoluzione post-materialista, del primato degli interessi espressivi rispetto a quelli strumentali - sintetizzati dallo slogan del maggio francese "fantasia al potere" - che, unitamente alla organizzazione del lavoro più individualizzata e flessibile, costituirà uno dei capisaldi della società postindustriale e postmoderna giunta a maturazione sul finire del secondo millennio.
Le diverse forme di opposizione al sistema si declinano anche in chiave simbolica, dando vita a forme di abbigliamento che esprimono nello stesso tempo una volontà di trasgressione ed una volontà di riconoscibilità, di identificazione e di appartenenza. La diffusione a livello di massa degli stili beatnik ed hippy, dei capelli arricciati e delle gonne lunghe al posto di quelle "mini" sono il risultato - a livello di moda - di modelli nati in controtendenza e divenuti poi strumenti dell'industria culturale. In questa fase prevale una certa "proletarizzazione" dell'abbigliamento (jeans, eskimo, T-shirt, ecc.) sia per indicare la propria "scelta di campo", sia per mimetizzare le perduranti differenze di classe anche tra i giovani.


Il riflusso giovanile (anni '80)
La stagione contestativa ha termine in un arco di mesi tutti concentrati nel 1977 ed è contrassegnata da due fenomeni di rilievo: la crisi della dimensione politica fino ad allora in auge e la radicalizzazione di alcune forme spettacolari da parte dei cosiddetti "indiani metropolitani". Nel breve periodo della sua esistenza, il movimento del '77 sancisce la fine del tempo dell'utopia e dei progetti totalizzanti e rappresenta dunque una sorta di spartiacque simbolico. Emergono nuove forme di aggregazione che manifestano la loro insofferenza attraverso l'occupazione di spazi cittadini abbandonati ed esprimono la loro identità principalmente attraverso il linguaggio del corpo, del travestimento, dell'apparenza piuttosto che della parola. Dopo gli anni delle parole gridate all'interno di proclami ideologici, si dilata lo spazio delle espressioni corporee, musicali, emozionali, ma si impoverisce anche la fiducia e la capacità di esprimere in forme sistematiche i propri sentimenti, desideri, pensieri. La dimensione collettiva persiste, attraverso però esperienze di gruppo più limitate, ripiegate su se stesse, sulla loro intimità, piuttosto che orientate a fare proseliti e seguaci. Al posto dei "collettivi politici", si affermano le "tribù di stile" e le "bande spettacolari", che per l'appunto enfatizzano come propri segni di riconoscimento sociale, atteggiamenti e comportamenti più vicini alla dimensione del consumo, piuttosto che a quello dell'impegno ideologico-politico. Le nuove mode e culture giovanili prendono le mosse non più da "idoli" e "simboli" legati ai rivoluzionari del secolo ventesimo (Lenin, Trotsky, Che Guevara, Castro, Mao-tse-Tung, Malcom X), ma da "idoli" e "simboli" legati al mondo dello spettacolo musicale, calcistico, cinematografico.
Per qualche anno il nuovo modo di esprimersi dei giovani viene interpretato come "silenzio", "riflusso", "ripiegamento nel privato". Si tratta però di un metro di giudizio che guarda al passato recente come ad una sorta di paradigma, rispetto al quale il presente è considerato un "tradimento". In realtà, i soggetti che diventano giovani negli anni '80 hanno un modo diverso, ancorchè confuso e non proclamato in forma teorico-ideologica, di rapportarsi con il loro mondo e con quello circostante. Il conflitto tra le generazioni si esprime non tanto in termini di contrapposizione pubblica, quanto in termini di contrapposizione tra codici simbolici, in buona parte tra loro non comunicanti.


Due esempi estremi di questi orientamenti possono essere identificati nei punk e negli skinhead. I punk rappresentano un capovolgimento dell'ottimismo degli hippy (figli dei fiori) - che volevano uscire dal sistema per costruire comunità "naturali" in luoghi "non inquinati" - perchè vogliono esaltare i lati oscuri della società, rapportandosi alle sue pulsioni 'perverse'. Rifiutano i modi e le forme del senso comune dominante attraverso una sorta di autoemarginazione e di autoespiazione. La violenza si esercita su di sé tanto quanto sugli altri. Gli skinhead sono l'esatta antitesi dei punk dal punto di vista culturale e motivazionale: dicono di lottare contro "la sporcizia" fisica e morale, ed ostentano un look essenziale di tipo quasi militare (con i capelli rasati come i marines). Il loro metodo è violento e intollerante, sull'esempio dei "giustizieri della notte" pubblicizzati da certa cinematografia nordamericana.
I punk e gli skinhead possono essere considerati anche degli esempi limite del peso assunto dalla dimensione spettacolare dell'immagine. Le forme espressive delle molteplici "tribù di stile", che si diffondono nelle città occidentali, sono catturate ed amplificate dai media e dall'industria dell'intrattenimento, a cominciare da quella musicale, che trasforma in moda e in consumo anche le espressioni artistiche originariamente nate con intenti esplicitamente controculturali, come nel caso dell'hip-hop, del rap, delle produzioni artistiche dell'underground metropolitano.



Il simbolismo culturale giovanilistico (anni '90)


Il processo che si è avviato nel corso degli anni '80, prosegue anche nel corso degli anni '90, contraddistinti dalla crescente proliferazione di segni, di simboli, di messaggi uniti ad un altrettanto evidente frammentazione individualistica e di piccolo gruppo. Nel pieno di questo processo c'è chi ha parlato dei giovani come "generazione invisibile", non tanto perché risultino indecifrabili, quanto perché appaiono ripiegati su se stessi ed impegnati in percorsi adattivi, in piena sintonia, del resto, con la logica della navigazione a vista e del carpe diem, cui sono orientate anche le generazioni più adulte per effetto di questa nostra età dell'incertezza.
I modi di agire dei giovani e quello degli adulti si assomigliano più di quanto non avvenisse negli anni '50, in forme però quasi "rovesciate". Gli adulti partecipano al processo di "adolescentizzazione" della società - riconducibile al suo accentuato sperimentalismo, spontaneismo, possibilismo - più di quanto i giovani partecipino al processo di "consolidamento dell'io" che è proprio della raggiunta maturità.
Nel cammino dei giovani verso tale maturità si verifica in effetti un processo paradossale; mentre dai 15 ai 20-23 anni i ragazzi e le ragazze ricercano (e rivendicano) in modo talora esasperato la loro "autonomia" dai genitori, quando si avvicinano al momento di compiere scelte decisive per la propria vita (lavoro, matrimonio, abitazione) provano sentimenti opposti e molti tendono a rimanere nella propria famiglia d'origine, che diventa in tal modo una "famiglia lunga" per "giovani-adulti" timorosi di crescere.

Note

I giovani dagli anni Sessanta in poi si sono spesso riconosciuti in gruppi con precise caratteristiche a livello di valori, di abbigliamento, di gusti musicali, di modi di usare il tempo libero, generando controculture o sottoculture giovanili, alcune delle quali sono presenti tutt'oggi. Tralasciando i giovani impegnati politicamente nei gruppi extraparlamentari che sono durati fino agli inizi degli anni Ottanta, nelle sezioni giovanili dei partiti - in realtà oggi un'esigua minoranza - ed in associazioni religiose, alcune tipologie di aggregazione giovanile fra altre che non vengono indicate sono:


Gli hippies
Il movimento hippie o dei "figli dei fiori", dal termine americano hippy ("uno che ha mangiato la foglia"), nasce a San Francisco nel giugno del 1967 con la "summer of love". Questi ragazzi, per lo più tra i 16 e i 22 anni provenienti dalla classe media bianca, perseguono l'ideale di un mondo senza guerra, senza barriere e discriminazioni; vogliono essere indipendenti e rivoluzionare i costumi sessuali. Vestono in maniera trasandata, comprano in negozi di seconda mano e vivono fuori casa nelle "comuni". Il loro desiderio è viaggiare: praticano, per questo, l'autostop e fanno uso di droghe, soprattutto LSD e hascisch, per compiere un viaggio con la mente (trip). La loro "terra promessa" è l'India, apprezzata non solo per motivi culturali (molti guru del pensiero hippie sono indiani) ma anche per la presenza di droghe a buon mercato. Nell'agosto 1969 a Woodstock, nello Stato di New York, si tiene il più grande raduno hippie: tre giorni di raduno rock dedicato a "pace, amore, musica". All'inizio degli anni Settanta muoiono per overdose i tre grandi miti del rock dell'era hippie: Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison.
In Italia il movimento arriva nel dicembre del 1968 con il concerto del santone Ravi Shankar al Teatro Lirico di Milano, ed ancor più nell'estate del 1972 quando la rivista post-sessantottina "Re Nudo" organizza tre giorni di raduno-concerto a Zerbo; manifestazione poi riproposta al Parco Lambro di Milano ogni anno, semppre più politicizzata secondo i contenuti della sinistra extra-parlamentare.
Alcuni gruppi musicali italiani abbandonano la musica beat per abbracciare la nuova moda: I Nomadi incidono Un figlio dei fiori non pensa al domani su testo di Francesco Guccini; i Dik Dik cantano Let's go to San Francisco con parole di Mogol.


Col progredire degli anni Settanta i figli dei fiori si fanno chiamare "freak" (fuori dalla norma) o "fricchettoni": la droga, il cui uso dovrebbe per loro essere liberalizzato, acquista sempre più importanza nei loro gruppi che plaudono a Pannella, leader dei radicali, che nel 1975 viene arrestato per aver fumato in pubblico l'hashish.