La condizione giovanile oggi

Autore:
Ferrante, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©


Dal punto di vista operativo, quando oggi parliamo di giovani e di condizione giovanile ci riferiamo ad individui appartenenti a più classi d'età, comprese tra i 15 e i 29 anni, che pur essendo differenziate al loro interno, identificano l'universo di riferimento a cui applicare le ricostruzioni storiche fin qui tratteggiate. E' in ogni caso essenziale ricordare che l'età è solo uno dei possibili criteri operativi per definire la "condizione giovanile"; assai più significativo, è considerare: la condizione familiare (celibe-nubile, coniugato, convivente) e la condizione lavorativa, poiché entrambi introducono oggettivi elementi di discontinuità nel ciclo di vita personale e sociale, per via di scelte che impegnano maggiormente la responsabilità verso "gli altri" dal punto di vista affettivo-relazionale ed economico-strumentale.


Giovani e famiglia

Contrariamente a quel che appare nelle rappresentazioni - più o meno enfatiche - dei mass media, l'atteggiamento dei giovani nei confronti della "famiglia" non coincide affatto con la presa di distanza o con il rifiuto. Una serie di ricerche effettuate su campioni rappresentativi della popolazione giovanile italiana nel corso degli anni '80 e '90 indica che oltre l'80% dei giovani compresi tra i 15-29 anni considera "molto importante" la famiglia, avvertita - insieme all'amore e all'amicizia - come un elemento imprescindibile per la costruzione della propria identità personale. Ciò che risulta in declino non è la famiglia, ma il come e il quando decidere di costituirla. In particolare, ciò che risulta problematico sono i rapporti genitori-figli, i modi di considerare i rapporti coniugali e sessuali in genere, l'istituzione matrimoniale.
La maggioranza della popolazione giovanile considera il matrimonio un'istituzione sorpassata, è favorevole alla libera convivenza tra uomo e donna come periodo di prova prima del matrimonio o in alternativa al matrimonio stesso, considera ammissibile il divorzio ed avere rapporti sessuali senza essere sposati. La metà dei giovani ritiene ammissibile avere esperienze omosessuali, ma solo una piccola minoranza (2%) ritiene che gli possa capitare nella vita (1).
I giovani italiani dipendono tuttora dai loro genitori, specialmente dalle madri, non soltanto da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista affettivo. La famiglia però è spesso incapace di reggere il peso connesso alle sue funzioni ordinarie e straordinarie. Questa percepita debolezza della famiglia spiega in parte la crescita di un atteggiamento ambivalente dei giovani nei suoi confronti, specie se considerata come scelta permanente. Rispetto agli altri paesi occidentali le famiglie italiane appaiono più stabili e solide, tuttavia circa 1/3 di esse dichiara difficoltà dal punto affettivo, economico e relazionale e si sente insicura nell'affrontare il futuro.
I modi di agire dei giovani e quello degli adulti sono oggi meno distanti di quanto potrebbe apparire per ragioni esattamente opposte a quando si parlava di "gioventù integrata" nel corso degli anni '50-'60. Gli adulti partecipano oggi al processo di "adolescentizzazione" della società - riconducibile al suo accentuato sperimentalismo, spontaneismo, possibilismo - più di quanto i giovani partecipino al processo di "consolidamento dell'io" che è proprio della raggiunta maturità. Nel cammino dei giovani verso tale maturità si verifica in effetti un processo paradossale; mentre dai 15 ai 23-25 anni i ragazzi e le ragazze ricercano (e rivendicano) in modo talora esasperato la loro "autonomia" dai genitori, quando si avvicinano al momento di compiere scelte decisive per la propria vita (lavoro, convivenza, matrimonio, abitazione) provano sentimenti opposti e tendono a rifugiarsi nella comoda permanenza nella propria famiglia d'origine, che diventa in tal modo una "famiglia lunga" per "giovani-adulti" timorosi di crescere.
Questi comportamenti traggono le loro radici da cause di diverso genere, tra le quali occorre ricordare anche le difficoltà di ordine economico ed abitativo che ritardano la formazione di un proprio nucleo familiare; resta tuttavia il fatto che gli orientamenti psicologici e culturali che soggiacciono a questo fenomeno ormai macroscopico entrano in stridente contrasto con la necessità, anch'essa crescente, che i "giovani-adulti" si facciano carico del mantenimento della parte non produttiva della società - formata da ragazzi/e in formazione e da anziani - impegnandosi intensamente per migliorare la produttività dell'intero sistema. Se la scarsità di giovani e il ritardo nel passaggio alla vita adulta sono fenomeni strutturali delle società postindustriali, essi assumono in Italia dimensioni che vari osservatori continuano a giudicare patologiche.


Giovani e lavoro

Il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro rappresenta un momento "critico" per tutti i giovani: la speranza di realizzare le proprie aspirazioni professionali deve fare i conti con la possibilità di trovare davvero quel che si desidera; la ricerca dell'occasione "giusta" richiede un periodo di attesa più o meno lungo, nel corso del quale si resta in una posizione indeterminata; si sperimentano da vicino le incognite e le regole del mercato del lavoro e quando finalmente si entra nell'ambiente di lavoro bisogna saper cambiare le proprie abitudini ed i propri ritmi di vita. Il passaggio risulta più facile o più difficile a seconda del grado di istruzione raggiunto, del luogo in cui si abita e delle caratteristiche del suo tessuto economico, degli aiuti che si ricevono per orientare le proprie scelte e dei canali di raccordo tra domanda e offerta di lavoro. Per trovare, dopo la fine degli studi, un lavoro "regolare" i giovani italiani in possesso della licenza media attendono per un numero di anni (circa otto) che è quasi doppio rispetto a coloro che hanno conseguito un diploma di qualifica professionale o di maturità; i soggetti in possesso di un titolo universitario attendono invece mediamente solo due anni. Per i giovani che abitano nelle regioni meridionali le difficoltà sono decisamente maggiori rispetto ai loro colleghi delle regioni centrali e settentrionali, più sviluppate e ricche di opportunità lavorative. Nella maggior parte dei casi i tempi di attesa non coincidono con una totale inattività; molti giovani svolgono lavori occasionali o stagionali e combinano il lavoro con la prosecuzione degli studi. La disoccupazione giovanile di lunga durata è un problema non solo italiano ma anche europeo (Tab. A e B), per questo motivo l'UE ha investito ingenti risorse economiche per promuovere programmi di formazione e di riqualificazione professionale, con risultati abbastanza positivi.
Diversamente che in altri Paesi europei, in Italia il lavoro part time non è stato, fino a tempi recenti, incentivato; con analogo ritardo sono stati legalizzati i contratti di formazione-lavoro, il lavoro a tempo determinato, il lavoro interinale - altrimenti detto "lavoro in affitto" - cioè tutte quegli accorgimenti organizzativi che hanno dimostrato di ampliare le opportunità di lavoro, piuttosto che renderlo "precario". In realtà, proprio l'assenza di regole contrattuali più elastiche e differenziate ha contribuito - soprattutto al Sud - all'aumento abnorme del lavoro sommerso, del tutto privo di tutela. Di diversa natura è invece l'estensione - soprattutto al Nord - del lavoro autonomo, che, se talora serve ad aggirare i vincoli e le garanzie proprie del lavoro subordinato, dall'altro esprime un'effettiva propensione all'indipendenza e all'imprenditorialità di molti giovani, in buona misura detentori di interessi e di professionalità fatte su misura della net economy. (2)

Note

1. Fino alla legalizzazione del divorzio (1973), in Italia il binomio famiglia e matrimonio erano considerati complementari tra loro e di fatto risultavano saldamente intrecciati, sia a livello giuridico, sia a livello della pratica sociale. La scelta di "mettere su famiglia" e di contrarre matrimonio (religioso o civile) formavano di fatto un tutt'uno, salvo rare eccezioni. Un ragionamento analogo poteva essere applicato anche al nesso tra "rapporti coniugali" e matrimonio, specie per la parte di gran lunga maggioritaria della popolazione italiana che accettava la visione cristiana della vita. Anche questo nesso si è però modificato, di pari passo con l'avanzata della cosiddetta "rivoluzione sessuale" iniziata negli anni '60-70.

2. I giovani e il computer
Il computer in versione domestica, a portata di tutti (personal computer: pc) fa la sua comparsa all'inizio degli anni '80, ma bisogna arrivare fino alla seconda metà degli anni '90 perché in Italia raggiunga una diffusione di massa. Fino a quel momento il pc si afferma principalmente nel mondo del lavoro, come protagonista indiscusso della office automation (automazione del lavoro). All'uso del pc i giovani giungono solo in seconda battuta, attratti dai video giochi elettronici più che dai programmi di scrittura e di calcolo. In pratica, iniziano ad imparare l'abc dell'informatica "per gioco" e non "per lavoro". Si può dire che questa circolarità tra "gioco" e "lavoro" sia una caratteristica che distingue i "nuovi" media" (interattivi e perciò personali) rispetto a quelli "vecchi" (unidirezionali e massificanti). L'invenzione di "internet" - resa possibile dall'alleanza tra informatica e telecomunicazioni (tlc) - e l'entrata in scena della "realtà virtuale" rendono ancora più evidente questo principio: il tempo e la distanza sono stati annullati, le forme, i colori, i suoni possono essere mescolati a piacere, si può comunicare contemporaneamente con decine o centinaia di persone mediante l'e-mail, le mailing list, le chat line, le comunità virtuali, i news groups. La cmc (comunicazione mediata da computer) obbedisce alla logica dell'intuito, della sperimentazione, della invenzione senza remore, per questo si adatta pienamente alla mentalità e alle capacità dei più giovani. Per tutte queste ragioni il computer ha acquisito enormi potenzialità didattiche ed ha fatto, a pieno titolo, il suo ingresso nel mondo della scuola e dell'insegnamento.