Giovani e impegno politico e sociale

Autore:
Ferrante, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

In assenza di vistosi movimenti collettivi di stampo marcatamente politico, si è diffusa la convinzione che i giovani degli anni '90 siano particolarmente distanti o indifferenti rispetto alla politica e - più in generale - all'impegno pubblico. Se si pensa all'adesione ai partiti politici o ai sindacati si deve in effetti concludere che le generazioni più giovani non sono particolarmente attratte da queste organizzazioni, che - in ogni caso - hanno sempre coinvolto ristrette minoranze. Neppure si può dire che i giovani abbiano una partecipazione al voto sensibilmente inferiore a quella delle generazioni più mature; l'astensionismo è in effetti un fenomeno in crescita tra tutte le fasce di età, per ragioni riconducibili in parte alla minore "drammaticità" del confronto politico interno ed internazionale e in parte all'introduzione di sistemi elettorali maggioritari al posto di quelli proporzionali.
L'idea che i giovani siano esclusivamente ripiegati sul loro privato e si disinteressino della dimensione pubblica risulta però inesatta se si tiene conto dell'importanza assunta dall'adesione a quelle forme di partecipazione sociale riconducibili al vasto mondo delle associazioni di volontariato. I giovani non amano le forme di impegno che non rivelino subito la loro "utilità", in termini di gratificazioni simboliche e di conseguenze pratiche, ma è precisamente per questo che preferiscono dare il proprio tempo per affrontare un bisogno evidente ed immediato, piuttosto che per promuovere "valori" ed "interessi" astrattamente intesi. Il bisogno di "concretezza" dei giovani non è in contrasto con la disponibilità a "donare" qualcosa di proprio, come il tempo (in genere abbondante) ed il denaro (in genere più scarso).
Da una serie di attendibili ricerche campionarie risulta che, alla fine degli anni '90, il 20% circa dei giovani tra i 18-29 anni "aderisce" a forme di associazionismo (associazioni sportive, ricreative, culturali, ambientali), in misura del tutto identica alle generazioni più adulte; superiore alla media è invece il numero di chi "partecipa" attivamente alla vita delle associazioni, sia pure con funzioni esecutive piuttosto che direttive (vedi TABELLA E). Tra le motivazioni di queste scelte, l'incidenza maggiore spetta agli aspetti espressivi e relazionali della amicizia e della socialità ("stare con gli altri", "fare nuove amicizie", "condividere esperienze"). Circa un giovane su dieci svolge attività di volontariato, per lo più in organizzazioni abbastanza strutturate piuttosto che in gruppi informali e spontanei, con presenze significative nelle cooperative sociali. I giovani sono particolarmente impegnati in attività di carattere educativo, formativo, consulenziale, piuttosto che nelle "visite a persone" o in "raccolta di denaro", si impegnano principalmente in lavori esecutivi più che non negli aspetti organizzativo-gestionali. La loro azione è orientata particolarmente verso i più giovani e verso i più anziani, ha dunque un carattere intergenerazionale che talvolta sostituisce relazioni assenti nel proprio ambito familiare, per il fatto di non avere fratelli (essendo figli unici) o di non aver più rapporti con i nonni. Vedi Tabella


I giovani e l'impegno religioso


Al decennio finale del secolo ventesimo appartiene anche un certo "revival religioso" che ha coinvolto non pochi giovani. Le ragioni di questo revival sono direttamente correlate ad una serie di fattori diversi fra di loro:
la minor ostilità della cultura postmoderna nei confronti delle credenze e delle appartenenze religiose, che la mentalità razionalista considerava tout court come forme di superstizione e di oppio dei popoli;
la delusione prodotta dalla caduta di molti miti ideologici, incapaci di dare senso compiuto al dramma dell'esistenza personale e collettiva e la conseguente riscoperta della propria tradizione religiosa, come nel caso dei paesi dell'ex Unione sovietica;
l'interesse suscitato dalle forme di religiosità proprie della tradizione orientale, talora importate da occidentali convertiti ad esse;
la diffusione di culti e sette religiose di varia ispirazione;
il contatto con popolazioni immigrate che vivono con convinzione la loro fede;
la testimonianza resa al mondo intero da grandi personalità religiose, di fede cristiana e non cristiana.
A fronte di questo rinnovato interesse per la "religiosità", restano evidenti le difficoltà di molti - che pure si dichiarano "credenti" - ad aderire ai contenuti dottrinali e morali della loro fede, non solo per ignoranza, ma anche per via dell'inclinazione al "fai da te", cogliendo fior da fiore solo ciò che "pare e piace". La ricerca del rapporto con il sacro, il trascendente, il mistero - che appartiene alla storia del senso religioso dell'uomo di tutte le epoche - non è necessariamente praticata, ma neppure è rifiutata; l'opzione religiosa è considerata possibile, perché è considerata una questione di "gusti". Per queste ragioni si parla da tempo di crisi della "religione di chiesa", pur in presenza di un certo revival religioso. Ricerche campionarie attendibili, condotte in Italia negli anni '90 indicano che più dell'80% dei giovani dai 18 ai 29 anni si dichiarano "cattolici", ma solo poco più del 20% dichiara di aderire "senza riserve" ai contenuti della fede proposti dalla Chiesa cattolica. Di uguale consistenza sono i "frequentanti regolari" della Messa e dei Sacramenti. A fronte di questi dati puramente quantitativi sta il fatto - non facilmente stimabile nelle sue potenzialità - del coinvolgimento esistenziale di molti con la propria fede e con la disponibilità a testimoniarla nel concreto della vita quotidiana. Il segnale più sintomatico di questo dinamismo viene verosimilmente dalla adesione di non pochi giovani ai molteplici "movimenti" religiosi nati nella seconda metà di questo secolo, che - a detta dei loro aderenti - risultano "interessanti" e "attraenti" proprio per la loro proposta di vita. (1)



La produzione dei linguaggi giovanili: tra interazione di gruppo, media, mode


Nessuna epoca anteriore a quella in cui viviamo ha sperimentato con altrettanta intensità l'inestricabile intreccio tra la formazione di nuove culture giovanili, il mondo dei consumi e il mondo dei media. Tutti i circuiti della produzione culturale e della distribuzione commerciale sono costantemente attenti ai gusti, ai costumi, ai comportamenti "inventati" o "imitati" dai giovani, in modo da poterli narrare, assemblare, diffondere a livelli di massa o di pubblici selezionati. I vari network comunicativi e commerciali formano un sistema ancor più potente del sistema scolastico per il modo con cui essi creano, classificano e distribuiscono nuove conoscenze, nuovi stili culturali, nuovi linguaggi. I molteplici luoghi di incontro, di scambio, di informazione che i giovani frequentano nel loro abbondante tempo libero li mette nelle condizioni ideali per riformulare costantemente i linguaggi in uso, non solo quelli legati al vocabolario, ma ancor più quelli legati alle "tribù di stile" e alle "mode di strada". I linguaggi della musica, dell'abbigliamento, del consumo, del look e del corpo, prendono in genere il sopravvento rispetto ad altre più tradizionali forme di comunicazione verbale tra coetanei. Tutti questi linguaggi concorrono tanto all'espressione dell'identità giovanile quanto alla sua (condizionata) costruzione.
I giovani sono protagonisti di vere e proprie innovazioni linguistiche che li aiutano a capirsi tra di loro senza farsi capire da chi è "fuori dal giro". Usano uno slang scherzoso, creativo e fantasioso, fatto di sigle, di metafore, di parole inventate, accorciate, raddoppiate. Alcune hanno breve durata o utilizzo circoscritto, altre entrano stabilmente nella lingua di uso comune e vengono registrate anche nei vocabolari "ufficiali". In realtà, da tempo vengono pubblicati anche specifici vocabolari del linguaggio giovanile, alcuni dei quali reperibili on-line, nella rete internet.
Alla radice del linguaggio giovanile c'è spesso la rielaborazione del dialetto, più ricco di emotività, e plasticità. Un altro serbatoio inesauribile sono i forestierismi che di straniero, però, mantengono solo la faccia; se gli "inglesismi" sono i più diffusi (genitors, per genitori, o stoned, per stonato), i più suggestivi sono gli ispanismi: (vamos a la playa, per dire si va in piazza).
Anche il linguaggio giovanile mantiene l'impronta dell'estrazione sociale: c'è quello scherzoso e innovativo degli studenti acculturati dei ceti sociali più elevati e c'è quello dei giovani di borgata meno scolarizzati, che ricorrono ai gerghi dialettali, a quelli dell'ambiente lavorativo o dei traffici illegali.
Ma è soprattutto il mondo dei media che offre una miniera inesauribile al linguaggio giovanile, creando, riproducendo, diffondendo neologismi, metafore, giochi di parole. Un posto d'onore spetta ai conduttori delle trasmissioni per giovani o delle radio locali; di grande rilievo è il ruolo dei disc jockey che con il loro ritmo sincopato inventano un tipo di lingua molto colloquiale, simile al parlato in uso tra i gruppi dei pari. Non va infine dimenticato il mondo delle canzoni e quello del cinema che specialmente attraverso i suoi personaggi satirici o comici è una fucina di modi di dire allusivi ed immaginifici.
Anche il linguaggio informatico fa la sua parte: ci sono le parole tipiche del mondo dei computer, ma anche quelle altrettanto sintetiche inventate per comunicare tramite e-mail, chatline, news group. Le abitudini in uso in questo ambito trasmigrano o si arricchiscono attraverso il mondo dei "messaggini" con il telefonino mobile, che utilizzano ormai segni non dissimili da una sorta di alfabeto morse.

Note

1. I Movimenti cattolici
Nel settembre 1981 si svolse a Roma un Convegno dedicato alla presenza dei Movimenti nella Chiesa e nel mondo; erano presenti 20 movimenti ecclesiali d'Europa, Stati Uniti, America latina, Africa. Queste realtà iniziarono ad essere rilevanti nella società negli anni Sessanta, in cui si svilupparono gruppi sempre più vasti di laici per aiutarsi a vivere l'incontro con Cristo e la sua Chiesa in quanto risposta alla domanda di felicità dell'uomo. Anche per merito di quel Convegno le autorità ecclesiastiche cominciarono a riconoscere la ricchezza che i movimenti sono per la vita della comunità ecclesiale poiché esprimono - secondo le parole di Giovanni Paolo II - "quel molteplice movimento che è la risposta dell'uomo alla Rivelazione" e come tali sono "forme di autorealizzazione della Chiesa" stessa. Fu un incontro considerato da molti profetico. Diciassette anni dopo, il 30 maggio del 1998 si svolgeva a Roma in Piazza San Pietro il Primo Incontro Mondiale dei Movimenti, i più diffusi dei quali in Italia sono: Comunione e Liberazione, Comunità neocatecumenali, Movimento dei Focolari, Rinnovamento dello Spirito.