28 Maggio - WALTER TOBAGI: giornalista scomodo e credente.
Il 28 maggio del 1980 alle 11.10 viene ucciso a Milano, in via Salaino, il giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi.Un commando di giovani ragazzi, buona parte dei quali appartenenti a famiglie della Milano “bene”, gli spara a poca distanza da casa, mentre sta andando a piedi a prendere l’automobile per recarsi al giornale. Nel giro di poche ore, secondo il tragico rituale della lotta armata, l’assassinio viene rivendicato, attraverso un volantino, da una nuova sigla del terrorismo rosso: la “Brigata 28 marzo”.
Tobagi dopo Rossa, Moro, Alessandrini, Galli entra dunque nel mirino delle Brigate Rosse, che sembra vogliano colpire le persone più intelligenti e rigorose, capaci di comprendere e combattere il terrorismo nella sua vera natura, spesso testimoni di una fede cristiana integra.
In particolare Walter Tobagi si era distinto per la sua testimonianza di rigore professionale e di dedizione alla sua professione come strumento di ricerca della verità, al di sopra degli schemi ideologici e delle appartenenze puramente politiche.
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In un articolo di Leo Valiani tratto da “Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti (1975-80)” leggiamo:
“Si voleva colpire in lui un difensore, coraggioso, tenace, nobile, della democrazia, un militante del movimento socialista, democratico dei lavoratori italiani, un militante che, per di più, si occupava seriamente dei problemi in questione, senza illudersi di poterli sublimare con la retorica. Si era in un clima da «guerra fredda» culturale, da crociata ideologica e Tobagi, da storico, non si lasciò arruolare, né di qua, né di là. Studiava, scriveva, pubblicava non per il successo di una parte, e neppure di una tesi, ma per la ricerca della verità. cercava non solo di scoprire chi erano i terroristi, ma altresì di conoscerli da vicino, di comprenderli. Sapeva e, diversamente dalla moda allora corrente, non cercava di nascondere che in maggioranza erano rossi e non neri (benché i neri non mancassero) senza, per questo, ricondurli genericamente al marxismo. Vedeva, inoltre, le circostanze specifiche del terrorismo italiano. Uno dei suoi assassini, rimesso troppo presto in libertà, dopo la condanna eccessivamente mite, ha confessato poco dopo: «se ci avessero fermati quando usavamo le spranghe di ferro, non saremmo arrivati a sparare per uccidere».”
Sempre Valiani ci racconta “Tobagi comincia a entrare anche sul terreno politico e sindacale dopo essersi ‘fatto le ossa’ sulle vicende del terrorismo di destra e di sinistra. (a quel tempo, nella stessa sinistra si manifestavano forti remore ad accettare un terrorismo rosso: tutto, infatti, veniva etichettato come «nero», più o meno mascherato; ogni gruppo che compiva attentati era «opera di fascisti e provocatori»). Tobagi aveva cominciato a invadere il terreno politico con analisi sui risultati elettorali del ‘72, nelle aree tradizionalmente di destra del sud; aveva scritto della rivolta di destra a Reggio Calabria con i «boia chi molla» di Ciccio Franco e scavava, con note e interviste nei congressi provinciali dei partiti e si divertiva a scrivere profili di Sandro Pertini e Pietro Nenni.”
Ancora in “Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti 1975-80”, a cura di Aldo Forbice, si legge: Il giornalista e scrittore Giampaolo Pansa ha affermato che:
«Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato. Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo paese. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera».
Tobagi aveva cercato di sfatare i luoghi comuni sulle Brigate Rosse e sugli altri gruppi armati, denunciando i pericoli di un radicamento del fenomeno terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro.
«La sconfitta politica del terrorismo - scriveva Tobagi - passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare, tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisivo: l'immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze e forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascono non dalla paura, quanto da dissensi interni, sull'organizzazione e sulla linea del partito armato».
Forse è questa la chiave di lettura che contiene le risposte alle due inquietanti domande che il bel servizio di Minoli pone: "perché Tobagi" ed "era possibile fermare i terroristi?"
Per l'ottimo servizio de "La Storia siamo noi" vedi qui.