Il processo a Galileo: contesto storico e suo significato
Rilettura storica della questione di Galileo- Autore:
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Nonostante gli studi su Galileo si siano ormai sviluppati ad un punto tale da potersi ritenere superate le preconcette ricostruzioni della vicenda storica del processo, la trattazione che se ne fa a scuola e sui manuali scolastici risulta ancora fortemente condizionata in senso anticattolico. La Chiesa viene cioè vista come nemica della verità e ostacolo al progresso scientifico, rendendo di fatto Galileo una vittima, un martire dell'intolleranza religiosa propria della cattolicesimo dell'epoca.
Riportiamo qui di seguito l'intervento di L. Negri presso un Liceo Scientifico di Milano in quanto risulta essere un contributo molto utile sia per contestualizzare storicamente i fatti del processo, sia per restituirgli il vero significato.
Il processo a Galileo: contesto storico e suo significato
1) La necessità di fare luce sul contesto.
Si tratta innanzitutto di chiarire tutti i fattori che contornano l'episodio storico del processo, che tutto sommato rimane un particolare imponente, ma pur sempre un particolare all'interno della più complessa vicenda galileiana. Un processo che non ha avuto una preoccupazione di carattere dogmatico, ma di carattere amministrativo. Infatti, esso fu teso ad individuare il comportamento che lo stesso Galileo avrebbe dovuto tenere rispetto a quanto stabilito nel 1616, data del primo processo, che di fatto non fu celebrato, ma archiviato. Infatti, il cardinale Bellarmino, prefetto della congregazione del Sant'Uffizio, in quell'occasione si limitò a dare un precetto, un consiglio: quello di non pubblicare niente sulle nuove concezioni cosmologiche, se non quando fossero state rigorosamente e scientificamente dimostrate. Consiglio che Galileo violò nel 1632 pubblicando Il Dialogo sopra i Massimi Sistemi, ritenendo che Urbano VIII, l'antico amico Maffeo Barberini, che nel frattempo era diventato Papa, si sarebbe mostrato comprensibile. È solo a questo punto che Galileo cadde sotto i rigori dell'Inquisizione, che aprì un processo formale, terminato con la condanna e la richiesta dell'abiura.
Rispetto a tale vicenda la Chiesa ha già riconosciuto il punto che considera negativo per quanto riguarda l'atteggiamento avuto dai cardinali dell'Inquisizione: quello di avere cercato di suffragare questo intervento di carattere amministrativo con una giustificazione di carattere teorico che era sostanzialmente sbagliata: cioè l'uso della Sacra Scrittura a conferma di una ipotesi scientifica. Secondo tale prospettiva, l'ipotesi tolemaica si sarebbe fondata oltre che su delle osservazioni di carattere scientifico anche sulla lettura che tradizionalmente il mondo cattolico faceva delle Scritture.
Occorre precisare subito che la Chiesa non ha sbagliato ad intervenire, perché, come si vedrà meglio in seguito, era corretto il sostanziale giudizio di non conferma scientifica della concezione copernicana, come è stato dimostrato dalla storia della scienza, dal momento che sono passati 150 anni prima che si sia potuto arrivare, attraverso la teoria dell'aberrazione della luce solare, all'affermazione incontrovertibile della teoria copernicana. Bisogna, infatti, tenere presente che nel processo non si è voluto dire che la posizione copernicana era sbagliata e quella tolemaica giusta. Si è, invece, voluto sostenere che la posizione copernicana non era ancora sufficientemente dimostrata scientificamente, rendendo quindi del tutto ingiustificato il cambiamento della visione scientifica, alla quale si appoggiava la Chiesa in quel momento. Ai tempi in cui i cardinali sono intervenuti la visione geocentrica era molto più scientificamente dimostrata di quella eliocentrica, non solo per l'autorevolezza della tradizione, ma anche per l'autorevolezza scientifica. I gesuiti del Collegio Romano, che erano il fior fiore della intelligenza cattolica del tempo, che hanno considerato il problema di Galileo con estrema apertura e simpatia, non hanno potuto non riconoscere che tutta la massa delle osservazioni del mondo scientifico di allora era contro le teorie di Galileo, non per partito preso, ma per la stringenza di osservazioni scientifiche.
L'errore fu quindi quello di mischiare indebitamente una visione di carattere teologico ad una visione di carattere esegetico. Facendo confermare la visione scientifica da una visione esegetica.
Se si vuole comprendere realmente quello che è accaduto occorre ricomporre il quadro senza cadere in letture semplicistiche che tendono a vedere da una parte la luce e dall'altra le tenebre. Occorre cioè superare un certo tipo di storiografia di cui è un esempio particolarmente significativo il seguente brano: "Galileo fu colui che volendo innovare il metodo di indagine nel regno della natura, trovò sulla sua strada la Chiesa cattolica ed il suo impianto oscurantista e repressivo, l'Inquisizione; da questa fu obbligato ad una umiliante autoaccusa e sottoposto ad una lunga e dura carcerazione. Ma il suo esempio fu accolto dagli spiriti più liberi d'Europa e consentì di aprire la strada a quel sapere scientifico che ha rimosso la superstizione ed ha beneficato l'umanità con i risultati delle sue scoperte" [cfr. Brandmüller, Galilei e la Chiesa ossia il diritto ad errare, cit. in L. Negri, Controstoria. Una rilettura di mille anni di vita della Chiesa, ed. San Paolo, Cinisello B. 2000, p. 60].
Per superare tale lettura ideologica occorre tenere presente il contesto in cui si svolsero i fatti.
2) Il particolare momento religioso e culturale e sociale in cui si svolge la vicenda galileiana.
È un momento particolarmente complesso e per certi aspetti particolarmente nervoso. Il XVII secolo inizia prendendo atto di ciò che è accaduto: la divisione sostanziale del mondo cristiano tra la nuova formulazione della religione, che si riferisce a Cristo e che è tradotta in termini moderni, il protestantesimo, e l'antica concezione, quella cattolica. Bisogna tenere conto di ciò perché esiste un forte nesso fra la visione religiosa e la visione culturale, socio-politica, connessione che a noi uomini del XX secolo può anche non piacere, ma che nel XVII sec. è presente. L'Europa è divisa, si è persa l'unità culturale e religiosa dell'occidente, si è sviluppato un movimento di carattere socio-politico che tende ad una nuova Europa: l'esito della divisione culturale e religiosa sono quelle che impropriamente sono dette guerre di religione, che sono onde di assestamento di una nuova geopolitica.
In tale situazione una vicenda scientifica non può rimanere nell'ambito solamente scientifico. Oggi tra gli scienziati intorno alle visioni cosmologiche ultime ci sono probabilmente divisioni ben più radicali di quelle di allora, ma non hanno rilievo sulla vita della società, sull'impatto socio-politico. Oggi sono altri gli aspetti della scienza che hanno ripercussioni importanti sulla società, come ad esempio gli studi sul nucleare, che hanno reso possibile la bomba atomica, oppure gli studi di genetica che rendono possibile la manipolazione degli esseri umani. Non sono certamente le visioni cosmologiche.
Diverso era ai tempi di Galileo. Se teniamo presente ciò si capisce che Galileo è un personaggio le cui caratteristiche travalicano il problema scientifico. La Chiesa si è occupata di Galileo perché il problema scientifico era inserito in una situazione complessa, in cui era messa in questione la presenza della Chiesa, la sua capacità di missione, la sua capacità di informare la cultura. Occorre perciò inserire il problema scientifico che sorge intorno a Galileo in questo movimento di guerre di religione che culminano nella guerra dei Trent'anni. Guerra che finisce nel 1648, quindi contemporaneamente alla vicenda di Galileo, e si svolge con massacri nei confronti dei quali solo quelli della seconda guerra mondiale presentano drammi simili. Essa termina con i trattati di Westfalia. Il perno sul quale si costruisce la nuova situazione europea è sostanzialmente un principio anticattolico, quello del cuius regio eius et religio. Con questo principio si afferma la religione come fatto dello Stato: chi non la pensa come il principe deve andarsene. Gli Stati Uniti d'America nascono da protestanti che non si conformano al protestantesimo del loro paese. Si tratta di un principio terribile che stabilisce che Chiesa e Stato sono la stessa cosa. L'ateismo prenderà lo stesso principio e farà nei secoli successivi una specie di irreligione di stato.
Collegata a questa situazione di fondo va colto il problema esegetico. Galileo pone il problema esegetico con estrema intelligenza e la Chiesa lo ha riconosciuto non solo adesso ma già allora. La Chiesa ha riconosciuto che nelle due famose lettere a Benedetto Castelli e alla Granduchessa Cristina di Lorena, è indicata una visione dei problemi esegetici decisamente importante: cioè l'esegesi non c'entra con la scienza, la scienza non c'entra con l'esegesi, si tratta di due ambiti completamente distinti. L'esegesi è una lettura, un'interpretazione della parola di Dio, che segue certi metodi, certe regole, una propria metodologia. Essa deve cercare di spiegare quello che Dio chiede agli uomini, come Dio si rivela. Nella visione galileiana, che è una visione in qualche modo già influenzata dal protestantesimo, la Parola di Dio è intesa più come una serie di indicazioni morali che non come storia della salvezza. Comunque, nella lettura della Bibbia l'uomo deve utilizzare i metodi dell'interpretazione, che sono sì metodi scientifici, ma sono metodi di una scienza del linguaggio, della parola, della formazione del testo. La scienza ha un'altra preoccupazione, quella di spiegare i diversi fenomeni della realtà.
Tuttavia nella posizione di Galileo era presente anche un modo nuovo di concepire il sapere. Secondo la filosofia soggiacente al suo fare scienza, quest'ultima non ha più il compito di vedere come stanno le cose. La scelta delle qualità secondarie invece che delle qualità primarie, va intesa in questo senso: un attacco frontale alla metafisica, alla filosofia dell'essere, alla filosofia della realtà. Questa è impossibile per Galileo ed è possibile solo lo studio delle qualità primarie, cioè degli oggetti in quanto sono riconducibili al quadrato, al cerchio, cioè in quanto sono matematizzabili. Questa è una scelta metafisica, è la scelta che condizionerà da Cartesio a Kant tutta la filosofia moderna, che abbandona la scienza dell'essere per discutere come si conosce. Quindi si può dire che in una idea giusta, che l'esegesi non può essere tirata sul campo della scienza e viceversa, si annidava una posizione filosofica che la chiesa guardava con una certa riserva. Improvvisamente si diceva che 1500 anni di metafisica erano superati e che l'unica filosofia era la scienza. Quale persona intelligente non avrebbe detto che, pur rappresentando la scienza un aspetto nuovo del sapere, qualche cosa di rivoluzionario (Galileo è l'istauratore del metodo scientifico come metodo della verifica empirica e soprattutto è colui che stabilisce un nesso tra la scienza e la tecnica), non poteva pretendere di occupare integralmente il campo del sapere? In realtà Galileo non ha formulato così il problema, ma già i galileisti del suo tempo lo fecero. Per questo si può dire che il galileismo è stato l'origine del razionalismo e del tecnologismo dell'età moderna contemporanea. Se la scienza nel corso della modernità ha finito per identificarsi totalmente con il conoscere, con la cultura (vedi Kant), è stato anche per il tipo di soluzione che Galileo ha proposto: interrompiamo il tentativo di cercare l'essenza ultima della realtà, che non è possibile e stiamo a ciò che è adeguatamente conoscibile, cioè gli oggetti in quanto sono riconducibili alla chiarezza e distinzione del procedimento scientifico. Su questo punto è possibile vedere la grande alleanza Cartesio, Leibniz, razionalisti, empiristi che scandirà la nascita dello sviluppo dello scientismo moderno-contemporaneo. Questo è un grosso problema che Galileo ha lasciato alla cultura occidentale. Non credo che si possa dire che Galileo è stato il primo scientista, ma si deve piuttosto dire che nella modalità con cui ha posto la questione scientifica, soprattutto in polemica con la filosofia, si chiude l'epoca del conoscere il reale, le essenze diventano nomi: ciò che esiste veramente sono il quadrato, il cerchio, ovvero gli oggetti su cui si può stabilire un procedimento matematico e fisico. Si vuole indicare in questo snodo, uno dei punti cruciali della modernità, che rende Galileo molto più significativo di Cartesio a tale riguardo. Nessuno avrebbe fatto un processo a Cartesio, perché Cartesio è un filosofo che accetta il nuovo ma è legato all'antico, scrive un discorso sul metodo che portato alle sue estreme conseguenze metterebbe in crisi la metafisica, ma nelle Meditazioni e nelle Ritrattazioni, non mette in questione l'intero patrimonio della tradizione.
Ora, la Chiesa difende anche una tradizione culturale, sebbene non si identifichi con nessuna tradizione culturale. Non si è identificata con quella dell'Impero romano, per cui quando questa è caduto, la Chiesa pur avendo fatto fatica, perché è fatta di uomini del suo tempo, ha dato vita ad una nuova civiltà. I benedettini si sono immessi nel nuovo mondo e hanno dato vita ad un procedimento culturale e civile che è andato oltre Roma e ha consentito di salvare la cultura antica. È chiaro che non ci si può spogliarsi della cultura del proprio tempo. Se da una parte c'era Galileo e la scienza, con tutte le sue promesse, dall'altra, solo per fare alcuni nomi, Platone, Aristotele, Plotino, Agostino, S. Tommaso. Da sempre la chiesa quando si muove ha voluto salvaguardare un contesto culturale che non può essere sbrigativamente identificato con l'ultima scoperta. Infatti, si può usare come criterio generale per leggere la storia della Chiesa la seguente affermazione: la Chiesa quando si muove parte dal grande principio fondamentale che l'ultima verità non è tutta la verità, evitando così ogni forma di isterismo intellettuale. Suggerisce sempre di cercare, di seguire la novità, senza mandare al macero tutta la ricchezza che la tradizione ha prodotto. Ricchezza essenziale per la Chiesa perché ha costruito la sua teologia sulla filosofia. Ora è vero che la teologia può anche cambiare, ma non completamente dall'oggi al domani senza una sufficiente elaborazione, una, oserei dire, metabolizzazione della novità. Bisogna, cioè, assimilare la verità, occorre farla diventare parte del proprio orizzonte culturale, rielaborarla, riviverla. Non si può procedere nella storia per strappi: chi procede per strappi non costruisce storia, distrugge il passato, ma difficilmente costruisce il nuovo. Infatti, quella che nasce normalmente è una reazione uguale e contraria alla violenza che è stata esercitata. Tutte le rivoluzioni, quelle moderne e contemporanee, sono seguite da controrivoluzioni che sono uguali e contrarie al movimento rivoluzionario che si è creato.
Non solo la questione esegetica porta con sé il problema filosofico, ma anche ripropone lo scontro tra cattolicesimo e protestantesimo. Il cattolicesimo difende una religione che è fatta di Parola e tradizione, di Parola e Sacramento, che arriva fino al popolo cristiano di Firenze, che si sta dividendo su galileisti e antigalileisti, perché in maniera sconsiderata, sui pulpiti i domenicani e francescani combattono gli uni sostenendo la visione galileiana, gli altri la visione antigalileiana. Quindi il popolo di Firenze andando in Chiesa si sente implicato dentro una vicenda che non riesce a sostenere, non riesce a sopportare. Infatti, il primo procedimento, quello che nel 1616 viene archiviato, parte dalla denuncia di due frati domenicani di Firenze, che hanno assistito ad una serie di fatti religiosi in cui la controversia galileiani-antigalileiani ha preso un posto spropositato.
Allora dietro a Galileo, c'è l'immagine di una Chiesa ridotta alla parola? Certamente sì. C'è un'idea del libero esame della Sacra Scrittura, sostenuto scientificamente, che diventa anche il libero esame sulla fede? Non intendo dire che Galileo abbia sostenuto tali affermazioni esplicitamente, ma certamente è una tendenza filo-protestante presente almeno come rischio nella vicenda galileiana. Si incomincia a insinuare l'idea per cui l'autorità della Chiesa ha degli spazi in cui non può intervenire. La ricerca scientifica per esempio.
Riepilogando quanto fino adesso sostenuto, non si può affrontare realisticamente Galileo senza per prima cosa inserirlo nel grande sommovimento dell'inizio della modernità, che è un sommovimento di carattere religioso, culturale, sociale e politico. Non si può affrontare il problema Galileo senza pensare che attraverso il problema esegetico e quello filosofico si individuano due grandi questioni teoriche, che non necessariamente lo scienziato che le pone è in grado di risolvere. Innanzitutto, la questione della filosofia: non nel senso che la Chiesa vive solo se si difende la filosofia; la Chiesa vive solo se c'è la fede e la fede è la fede dei dotti e degli ignoranti, dei grandi e dei piccoli. Tuttavia, la filosofia risulta essere un valore per la storia dell'umanità. Allora il problema dell'esito della filosofia è ritenuto molto importante dalla Chiesa. Che la filosofia diventi scienza è uno sviluppo, non l'unico itinerario percorribile. La Chiesa, nella modernità, ha voluto difendere una concezione di filosofia che non si identificava meccanicamente con la scienza. L'ha difesa nelle sue scuole, nelle sue università, nell'insegnamento della tradizione, attraverso un dialogo difficilissimo, a volte con una certa estraneità, con la cultura laica. La Chiesa non ha accettato qualche cosa che non era dimostrato, la cui necessità non era dimostrata: che si dovesse archiviare tutto il passato e che la scienza diventasse l'unica forma di conoscenza. È in questo problema che si colloca il valore del rapporto scienza-filosofia, del rapporto scienza-umanità, scienza-antropologia. Se la scienza diventa un fattore tendenzialmente autonomo da qualsiasi influenza, da qualsiasi controllo, se diventa autoreferenziale, se i criteri per fare scienza sono interni alla scienza stessa (per esempio sono l'incremento degli studi, la creazione di generazioni venture meno afflitte dei mali di quelle attuali), è chiaro che nasce qualcosa di ultimamente sganciato, che diventa un fattore invasivo e pervasivo. Le manipolazioni biologiche, genetiche sono sostenute da chi ritiene che la scienza non deve essere normata da niente, non deve riferirsi a niente: né ad una visione religiosa, né ad una visione morale, né a ad un'autorità, superiore ad essa, semmai solo a autorità socialmente regolative. La scienza di oggi, non come è teorizzata, ma come è praticata, nel così detto mondo civile, non obbedisce a nessuno, né alla legge di Dio, né a nessuna evidenza di carattere morale, al massimo accetta una regolamentazione di tipo giuridico.
Pertanto l'intervento della Chiesa nella questione galileiana, come sempre avviene negli interventi della Chiesa, non deve essere visto soltanto in rapporto al presente o al passato, ma deve anche essere visto in funzione del futuro. Lo scientismo e il tecnologismo hanno sicuramente finito per creare una società tecnocratica nella quale l'uomo rischia di essere considerato semplicemente come una particella di materia. Quindi la scienza che esprimeva in modo sovrano la soggettività, finisce per creare un processo nel quale l'uomo diventa l'oggetto di una manipolazione.
La preoccupazione della Chiesa nell'intervenire nella vicenda di Galileo è, quindi, articolabile secondo i seguenti punti:
1. l'intento è quello di salvaguardare la pace del popolo cristiano;
2. rendere meno traumatico il contesto culturale e sociale già così grave;
3. non compromettere una cultura tradizionale, che doveva essere ripensata e non solo abbandonata;
4. considerare oltre alle enormi possibilità di sviluppo del metodo scientifico, anche i gravi problemi ad esso connessi.
Per questi motivi si può dire che l'intervento della Chiesa è stato sostanzialmente un fatto necessario. Era necessario intervenire, perché la questione riguardava per sua natura, al di là delle intenzioni dei singoli o dei gruppi più livelli e quindi eccedeva l'ambito di competenza specifica.
3) La condanna e la lunga carcerazione.
La condanna imponeva di riconoscere che la visione eliocentrica non era sufficientemente confermata scientificamente, quindi per la cultura del tempo teologica e scientifica risultava erronea.
D'altra parte come già accennato solo molto dopo arrivarono le prove scientifiche sul sistema copernicano: "Conferma del moto della terra si poté avere solo con la fisica newtoniana, e prove precise con la scoperta dell'aberrazione della luce stellare di Bradley (1725), della parallasse stellare del 1827 e con la celebre esperienza di Foucault del 1851" [Ibidem, p. 66].
Dire, quindi, che nel 1633 c'erano dei grossi problemi scientifici per arrivare alla dimostrazione rigorosa della visone eliocentrica non era assolutamente antiscientifico. Dire che la visione geocentrica era l'unica era certamente sbagliato, ma la Chiesa non ha mai sostenuto che Galileo sbagliasse perché rifiutava l'unica posizione vera. La Chiesa sosteneva che Galileo sbagliasse perché contrapponeva ad una tesi sufficientemente suffragata dal punto di vista scientifico, una visione che non riusciva a tenere il passo sul piano della conferma scientifica.
L'abiura consistette quindi nel rinnegare la scientificità, la validità scientifica della teoria copernicana e in quella circostanza non si chiese a Galileo di non ricercare. Già nel 1616 non gli fu chiesto di non cercare, ma di non pubblicare. Gli fu chiesto semplicemente maggior cautela perché, se sui pulpiti di Firenze si discuteva pro o contro Copernico, voleva dire che la questione non era una questione scientifica, ma era diventata una questione religiosa di portata popolare. Il popolo però non aveva gli strumenti necessari per comprenderla.
Infine, occorre fare alcune brevi osservazioni circa la condanna al carcere. La carcerazione coincise con qualche mese trascorso nella villa di campagna dell'arcivescovo di Firenze, si direbbero oggi gli arresti domiciliari, dove ha potuto svolgere la sua solita vita. Dopo di che, tornò ad Arcetri e in considerazione della sua tarda età gli furono sospese tutte le restrizioni salvo l'obbligo di recitare una volta alla settimana i sette Salmi penitenziali. Tuttavia, la Chiesa ammetteva da tempo che uno potesse passare la sua pena ad altri, nel caso fossero disposti ad attuarla al suo posto. Galileo, avendo una figlia Maria Celeste clarissa, affidò a lei il compito di recitare al suo posto i Salmi, cosa che la figlia fece. Documentazione di questo episodio è conservata in uno splendido epistolario in cui Maria Celeste scrive della vita in convento, raccontando che aveva adempiuto rigorosamente all'incarico datogli di recitare i Salmi.
In un mondo in cui regimi hanno fatto milioni di morti e i processi sono stati condotti come sono stati condotti, non solo sotto Stalin e Hitler, ma anche nei così detti paesi civili, dove la carcerazione è quello che è, dove uno può suicidarsi in carcere perché non ce la fa più, credo che non si possa proprio dire che, nell'esercizio della sua autorità giurisdizionale, la Chiesa abbia avuto le mani pesanti (diverso è il caso di Giordano Bruno).