1 - Kant: la pura ragione

Autore:
Vezzali, Mariano
Fonte:
Tracce - Litterae Communionis

Nei primi decenni del '700 la cultura tedesca sembra passare in secondo piano rispetto al resto del panorama europeo: la Germania occupa in Europa una posizione più defilata, in quanto è priva di quell'unità nazionale che consente invece alla Francia e all'Inghilterra di essere protagoniste a tutti i livelli della storia europea e, quindi, mondiale. Nel più potente degli stati di questa Germania divisa, la Prussia, nasce nel 1724 da una modesta famiglia di artigiani Immanuel Kant. Educato in un clima di rigorosa religiosità luterana, frequenta la facoltà filosofica di Königsberg, la sua città, e, dopo un breve periodo in cui esercita l'insegnamento privato come precettore presso famiglie nobili, inizia la carriera accademica nello stesso ateneo.

Anche se Kant avrebbe operato per tutta la vita a Königsberg, che non gode certamente di una posizione centrale in Europa, situata com'è nella parte orientale della Prussia, egli saprà superare i rischi di una cultura provinciale ed iniziare un lungo confronto con le tematiche principali della nuova cultura europea. Tra il 1746, anno della sua tesi di laurea, ed il 1770, nel suo primo periodo di attività, Kant si cimenta con problemi aperti nella cultura del suo tempo, come l'immagine dell'universo (Storia naturale universale e teoria del cielo, 1755), le basi della fede (Unico argomento possibile per la dimostrazione dell'esistenza di Dio, 1763), la ricerca di un nuovo fondamento dell'etica (Ricerche sulla chiarezza dei principi della teologia naturale e della morale, 1764). Non tralascia poi questioni di logica, pedagogia, matematica, geografia fisica, ed in tutta questa varia attività prepara una sintesi che, dopo un lungo periodo di meditazione fra il 1770 ed il 1780, sfocerà nel «decennio aureo» in cui il filosofo pubblicherà in rapida successione le sue opere fondamentali: la Critica della ragion pura (1781; 1787 seconda edizione), la Critica della ragion pratica (1788), la Critica del giudizio (1790).

È proprio sulla concezione della facoltà razionale che la filosofia di Kant presenta delle novità sostanziali rispetto ai precedenti razionalismi di orientamento metafisico od empirico-storico. Diversamente dal razionalismo empirico-storico (illuminismo francese ed empirismo inglese), nella filosofia kantiana la ragione non ha solo il ruolo di rigorizzare il sapere scientifico e la convivenza sociale in funzione del benessere progressivo della specie umana, ma racchiude anche in sé l'istanza religiosa. Peraltro, diversamente dal razionalismo metafisico, questa istanza religiosa inclusa nella ragione non conduce ad una conoscenza del soprasensibile.

Per comprendere questa nuova impostazione delle possibilità e dei limiti della facoltà razionale, che comporta una conseguente revisione delle possibilità e dei limiti dell'azione umana nella storia, occorre esaminare l'inizio della prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura, l'opera fondamentale di Kant:
«La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le son posti dalla natura della stessa ragione, ma dei quali non può trovare la soluzione, perché oltrepassano ogni potere della ragione umana».

Kant parla qui di un «destino particolare» della ragione, del suo essere «tormentata da problemi che non può evitare», e questa immagine di una ragione tormentata è ben diversa dalla certezza della ragione illuministica e della ragione rivoluzionaria, l'una e l'altra più disposte ad imporre al mondo i loro criteri che a riflettere sulle loro insufficienze strutturali. Ancora, il testo kantiano sottolinea che i «problemi» non sono posti alla ragione da altri che da sé medesima («le sono posti dalla natura della stessa ragione») e che sono irresolubili perché «oltrepassano ogni potere della ragione umana».

Si configura così una divisione all'interno della facoltà razionale tra «potere della ragione» e «problemi della ragione». Il potere della ragione è quello della scienza della natura di tipo newtoniano, e nella Critica della ragion pratica Kant rifonda la base del conoscere considerando che della realtà fenomenica si può dare una scienza solo sulla base dell'essenziale apporto di criteri soggettivi, di forme a priori della mente soggettiva. Si configura così quella rivoluzione copernicana per cui la soggettività razionale acquisisce nella dinamica della conoscenza una posizione prioritaria.

La razionalità, però, è anche costituita di esigenze, le idee di ragione, i cui oggetti, superando l'ambito empirico, non possono essere dimostrati né conosciuti. Dio, l'anima immortale, l'esistenza di un senso ultimo del mondo, gli oggetti delle tre idee che esprimono l'esigenza della ragione umana, non sono dimostrabili perché superano l'ambito della conoscenza scientifica, per sua natura delimitata a quanto è verificabile empiricamente, e nondimeno come istanze connaturate alla più profonda struttura umana, non possono essere cancellate dalle pieghe della facoltà razionale.

Kant riconosce quindi che la ragione esprime da una parte un metodo conoscitivo ed un criterio d'azione rigorosi (il «potere» della ragione) e dall'altra una tensione al sovrasensibile (i «problemi» della ragione): in questo modo lo scetticismo, cui l'uomo del '700 europeo era pericolosamente esposto a seguito della spietata critica alla trascendenza ed al sovrasensibile portata dall'illuminismo, risulta eliminato alla radice, e la ragione diventa il luogo in cui solo risulta pensabile una necessaria alterità, per altro verso negata alla conoscenza umana.

L'uomo di Kant deve fare quindi a meno delle certezze metafisiche garantite conoscitivamente dalla precedente filosofia razionalistica di Cartesio, Spinoza e, per certi aspetti, di Leibniz, ma non può liberarsi con leggerezza dal riferimento ad un assoluto, visto che questo è esigito non da un esangue sentimento morale o religioso, ma dalla forza della più elevata tra le facoltà umane, la ragione, (in cui, per altro verso, trovano il loro solido fondamento la conoscenza scientifica e, come Kant svilupperà in scritti successivi, la prassi politica).

Nella sua prima Critica, Kant presenta quindi una razionalità che tende, per sua interna dinamica a quanto la supera, a delle realtà dimostrabili come l'esistenza dell'anima immortale, di Dio e di un senso complessivo del mondo; una razionalità animata da una forte nostalgia verso degli oggetti ultimi ed infiniti, che non riesce a cogliere con la conoscenza.
L'atto specifico della ragione kantiana sta quindi nel suo superarsi, nell'additare altro come essenziale alla vita umana. Il soggettivismo moderno, che aveva eliminato il riferimento esistenziale all'assoluto trascendente - favorendo invece l'ideologia della costruzione nella storia di un mondo nuovo - sembra battuto, perché il riferimento fondamentale dell'uomo torna in Kant ad essere oltre l'uomo, in un ordine di cose superiore.
Ma tale ordine superiore, per altro verso, non è attestabile da nulla al di là della nuda tensione razionale. Kant pronuncia infatti una definitiva sentenza di morte per la già vacillante metafisica cartesiano-spinoziana, che pretendeva di offrire una conoscenza dell'assoluto, ma d'altra parte non ricerca un nuovo linguaggio in grado di esprimere un segno reale del sovrasensibile, pur potentemente esigito dalla ragione. La sopravvivenza dell'assoluto, del trascendente, dell'eterno, si basa quindi sulla semplice istanza razionale, privata del conforto di qualsiasi riscontro: l'assoluto, il trascendente, l'eterno, si caratterizzano, luteranamente, come il «totalmente altro», disperatamente invocato ma ostinatamente distante.

A questo punto il soggettivismo moderno, scartato nelle sue forme più esteriori ed ideologiche, ritorna ad un livello più profondo, a livello appunto dell'istanza razionale (e quindi soggettiva) che, sola, documenta quanto va oltre la natura e la storia. Se quindi per un verso nella filosofia di Kant è palpabile una nostalgia verso l'alterità, tale alterità risulta tuttavia pensabile solo nei termini ancora soggettivi dell'istanza razionale. Il tentativo kantiano di ampliare l'orizzonte del soggetto recuperando la trascendenza e l'assoluto riesce solo ambiguamente perché non fonda (o non rifonda) le condizioni per un incontro reale con altro (si parlava più sopra dell'assenza di un linguaggio del segno), ma finisce per trascrivere l'eterno nei termini di un'esigenza soggettiva problematica. L'ambiguità di Kant sulla fondazione e sulla conoscibilità dell'assoluto, un'ambiguità fondata comunque su di un'apertura al mistero che resta senza pari nella filosofia moderna, porta con sé dei risvolti che esulano dalla prima Critica che investono la concezione della morale e dell'azione umana nella storia.