La liturgia: sorgente di educazione
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Il fatto che ci accomuna tutti in quanto popolo di Dio è la appartenenza al mistero della Chiesa.
Essa è la sorgente della nostra personalità, il determinante ultimo e completo della nostra vocazione. Perciò per realizzare un atto di vigilanza adeguato per quanto riguarda la strada che ad ognuno di noi è stata assegnata, la nostra meditazione non deve fare altro che seguire il momento tipico della vita della Chiesa: quello della parola liturgica.
Nel suo senso più vasto la liturgia è l'umanità resa consapevole della adorazione a Dio come supremo suo significato, e del lavoro come gloria a Dio. […]
Ognuno deve corrispondere e rispondere a Dio e al richiamo del mistero della Chiesa secondo la grazia che gli è stata data, secondo il "talento" che gli è stato affidato.
Dice san Paolo: "Dum tempus habemus, operemur bonum". Finché abbiamo tempo, agiamo secondo il bene. "Tempus" indica l'ora e il contenuto dell'ora, corrisponde quindi al termine "occasione". E l'occasione è la parola che ci viene rivolta e che l'ora dopo potrebbe non esserci riofferta.
La meditazione sulla Liturgia è meditazione su un discorso educativo: quello della Chiesa. Quindi è tanto più valida, quanto più coglie la parola che la Chiesa ci vuol dire in quel particolare momento dell'anno. Perciò, se è vero che si può restare colpiti di fronte ad una frase o ad un'altra del testo liturgico, dobbiamo essere attenti a non ridurre la ricchezza di questa meditazione ad una cernita di frasi. Questo non è il centro del problema. Occorre che ci educhiamo a non meditare in quel modo la liturgia perché commetteremmo un errore. O, più che un errore, una minorazione, una riduzione dell'atteggiamento di valorizzazione della presenza di Dio. Spesso è stata operata tale riduzione: si è cioè trattata la Bibbia, che è la storia del mistero di Dio nel mondo, come fonte di belle frasi - giuste e profonde -, ma si è lasciato da parte il contesto, cioè il vero discorso di Dio. Così abbiamo ridotto la Bibbia a sostegno dei nostri ideali morali. Invece di cogliere il discorso di Dio come la lingua nuova che distrugge la nostra sapienza, abbiamo reso la parola di Dio sostegno della nostra sapienza. Quando non si è trattata la Bibbia in senso accomodatizio, cioè quando la "frase" non si è interpretata così come suonava al nostro orecchio, all'orecchio della nostra mentalità, della nostra cultura, invece di cercare di adeguare la nostra mentalità, la nostra cultura al significato, alla comunicazione, alla testimonianza che scaturiva dalla frase.
Dobbiamo accostarci ai singoli brani della liturgia come a sottolineature dialettiche di un'unica parola. Dobbiamo non compitare, ma consonare con la vita di Cristo nella Chiesa. La liturgia è un discorso che non ha termine e vi si è trascinati dentro dal flusso della forza della grazia di Dio, del mistero di Dio nel mondo. La liturgia vissuta costituisce molto semplicemente la strada della nostra moralità. Per moralità si intende l'atteggiamento giusto, il comportamento giusto, "giusto" cioè di fronte al destino, atteggiamento giusto sulla strada del destino.
La liturgia è l'enunciazione sintetica e molto semplice di questa strada.
Infatti la moralità cristiana non è altro che la conversione del cuore, il volgersi del cuore alla direzione esatta, il che indica un "cuore" nuovo, vale a dire: percezione e giudizio, sentimento, decisione e azione nuovi.
Tale moralità come conversione è definita da due grandi categorie:
Prima di tutto l'ascolto. La liturgia è il libro dei poveri di spirito, di coloro che non inventano parole. La liturgia è ciò che il popolo cristiano fedele segue, ripete, risponde. Per questo è l'ambito dell'obbedienza. Non c'è nessuna strada semplice per la conversione che non sia l'obbedienza del cuore.
La liturgia è innanzitutto ascolto e, così come è innanzitutto ascolto, è la parola che inizia la conversione. "Lex Domini irreprehensibilis convertens animas". La parola del Signore è infallibile, è precisa e cambia l'anima. La parola del Signore storicizzata è la liturgia.
Proprio perché l'inizio della conversione è l'ascolto, la liturgia è il luogo dove si attende la venuta del Signore. Infatti, quando una persona prega, o legge, mangia o lavora, che cosa fa in realtà, se è cristiano, se ha il cuore convertito? Attende la venuta del Signore e basta. E nella misura in cui vive questa attesa cambia tutto ciò che ha tra le mani, e già quella venuta incomincia.
Il primo fattore della moralità cristiana perciò è l'ascolto e l'attesa della Sua venuta, che è in fondo l'atteggiamento della povertà di spirito. Se uno infatti non ha niente prima, ascolta, se non ha niente prima, attende, e da questo si aspetta di diventare diverso.
Il secondo fattore della moralità cristiana è la totalità del coinvolgimento nella grazia del mistero di Dio. Noi viviamo tutto dentro questa "grazia" che ci raggiunge con la vita liturgica della Chiesa e i suoi Sacramenti.
Da una parte infatti la liturgia ha come fulcro i sacramenti: parole ultime del discorso, avvenimenti in cui l'azione divina si attua, presenza della comunità come mistero; e dall'altra la liturgia chiarisce il senso dei sacramenti: la confessione o l'eucaristia nel periodo di Natale, per esempio, è come se avessero un significato particolare diverso da quello del tempo pasquale; in ogni momento però sono compresenti tutti i gradi del significato.
Ora, se in questa grazia non mettiamo dentro tutto, dividiamo Cristo dal mondo, quasi che noi ipostatizzassimo un Cristo al cospetto di un mondo che ha dei diritti di fronte a lui.
Invece la conversione del cuore, che è l'avvenimento della nostra povertà nello spirito, genera l'unità della persona. Al di fuori di essa, qualunque energia abbiamo, qualunque personalità sentiamo di possedere, siamo divisi. Divisi: Cristo-mondo, comunità-mondo, persona e attività nel mondo.
Questa conversione del cuore, avvenimento della povertà nello spirito, generativa della unità della persona ha un solo alveo: la liturgia. Un solo alveo dentro il quale, nella misura in cui è vissuto, viene buttata tutta l'acqua della nostra vita: mangiare e bere, parlare e pregare, lavorare. E così, dovunque siamo, sorge l'alba del nuovo mondo, cioè inizia la Sua venuta.