Solaris

In un film girato in ambienti freddi e inospitali in cui il carattere fantascientifico sembra annichilire ogni ombra di umanità, ogni possibilità di salvezza, Tarkovskij ha voluto cantare un inno inquieto all'amore umano e al dramma del rapporto col Mistero, un inno che porta con sé gli interrogativi faustiani e che rievoca la tensione nevrotica dei monologhi shakespeariani.
Autore:
Sanvito, Samuele
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

Solaris
(1972)
Fotografia: Vadim Jusov
Musica: Eduard Artem'ev
Bach - PRELUDIO CORALE IN FA MINORE
Produzione: Mosfilm
colore (Sovcolor), cinemascope
durata: 165'

"Non abbiamo bisogno di altri mondi. Abbiamo bisogno di uno specchio" dice Snaut durante la festa nella biblioteca (non dimentichiamo che il film successivo sarà proprio Lo Specchio). La frase sottolinea la pesante incertezza attorno alla conoscenza di se stessi, alla coscienza dell'io, alla conoscenza della coscienza che avvolge i protagonisti e allo stesso tempo contrasta con tutto quello che gli ultimi secoli hanno detto sulla scienza: contrasta con l'atteggiamento meramente positivista di Sartorius e con l'atteggiamento iniziale dello stesso Kelvin (il modernismo; contrapposto poi all'antico, ai greci, al Medioevo). Ma l'atteggiamento di quest'ultimo muterà nonostante i suoi interrogativi rimangano senza risposta: "Snaut, ma perché andiamo a frugare l'universo quando non sappiamo niente di noi stessi?".

Pertanto in Stalker come in Solaris ciò che mi interessava meno di tutto era l'elemento fantascientifico. Purtroppo in Solaris c'erano ancora troppi accessori fantascientifici che distraevano dal tema principale. I razzi, le stazioni spaziali: le richiedeva il romanzo di Lem, è stato interessante fare tutto ciò, ma adesso mi pare che l'idea del film si sarebbe cristallizzata in maniera più precisa ed evidente se si fosse riusciti ad evitare tutto questo (da Scolpire il tempo, pg. 178).

"Una domanda vuol dire sempre desiderio di conoscere e per conservare le semplici verità umane ci vogliono i misteri. Il mistero della felicità, della morte, dell'amore". E' proprio questo amore il centro del film; l'amore umano di un uomo per una donna. Questo amore è lo stesso che uno scienziato o uno psicologo (Kelvin) mantengono vivo anche nella loro indagine scientifica. Kelvin deciderà quindi di rimanere sulla stazione senza distruggerla per amore di Hari e allo stesso modo amerà, nell'ultima scena, l'incarnazione del padre davanti al quale si inginocchierà come un "figliol prodigo". La scelta si manifesta quindi come gesto amoroso e richiama il bisogno iniziale di uno specchio dell'anima, il bisogno di vedere la nostra coscienza e tutto ciò che ad essa è legato, quindi in ultima analisi il nostro io; questo Specchio è Hari.

In Stalker, forse, per la prima volta ho avvertito l'esigenza di essere univocamente chiaro nell'indicazione di quel valore positivo fondamentale (la dignità dell'uomo, la fede e l'amore, NdC) di cui, come si suol dire, vive l'uomo.
...Solaris parlava di persone sperdutesi nel cosmo e costrette, volenti o nolenti, a salire un altro gradino della scala della conoscenza. Quest'ansia senza fine di conoscere, data all'uomo, per così dire, dall'esterno, è a modo suo molto drammatica, perché è accompagnata da un'eterna inquietudine, da privazioni, da dolore e da delusioni: la verità ultima, infatti, è irraggiungibile. Inoltre all'uomo è stata data anche la coscienza, che fa sì che egli si tormenti quando le sue azioni non corrispondono alla legge morale: anche la presenza in lui della coscienza, quindi, è in un certo senso una cosa tragica. Le delusioni perseguitavano i protagonisti di Solaris, e lo sbocco che noi proponevamo loro era abbastanza illusorio. Esso consisteva nel sogno, nella possibilità di prendere coscienza delle radici che legano l'uomo per l'eternità alla Terra che l'ha generato. Ma anche tali legami erano per loro in sostanza ormai irreali
(da Scolpire il tempo, pg. 177).

Il film si apre con una sorta di saluto alla terra; Kelvin si aggira nei prati e nel bosco attorno a casa. Il film si chiude con il saluto al padre. Tutto è immerso nel mistero, ogni legame è avvolto dal mistero; si sa che Kelvin non è tornato sulla terra, ma quel mistero (l'oceano di Solaris), sembra dirci Tarkovskij, da sempre avvolgeva la casa, e il cane, simbolo angelico, ne rivela e ne sigilla la presenza (così come in Stalker e Nostalgia).

In un film girato in ambienti freddi e inospitali in cui il carattere fantascientifico sembra annichilire ogni ombra di umanità, ogni possibilità di salvezza, Tarkovskij ha voluto cantare un inno inquieto all'amore umano e al dramma del rapporto col Mistero, un inno che porta con sé gli interrogativi faustiani e che rievoca la tensione nevrotica dei monologhi shakespeariani.