Andrej Rublev

Autore:
Sanvito, Samuele
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

Andrej Rublëv
(1966)
Fotografia: Vadim Jusov
Musica: Vjaceslav Ovcinnikov
Produzione: Mosfilm
B/N e colore (Sovcolor), cinemascope
durata: 185'

Il personaggio principale del film è Rublëv, il grande iconografo russo vissuto all'inizio del XV secolo; tuttavia non bisogna considerare l'opera di Tarkovskij come una pura e semplice biografia cinematografica dell'artista: il protagonista, ossia ciò che costituisce la vita del film e che rimane come punto di vista costante in ogni inquadratura, non è tanto il pittore ma piuttosto la sua Trinità. Il film è un tentativo di capire e di mostrare la genesi di quell'opera: dalla corruzione dell'anima e del corpo, dalla violenza delle guerre del tempo, dall'insinuarsi nei cuori dell'invidia e della superbia è nata un'opera di estrema purezza che fissa in un'immagine l'amore santo e beato della persona di Dio. Quell'immagine di quasi terribile innocenza beata è la Trinità; Rilke dice all'inizio delle sue Duineser Elegien:

[…] Poiché del terribile il bello
non è che il principio, che ancora noi sopportiamo,
e lo ammiriamo così, chè quieto disdegna
di annientarci. Ogni angelo è tremendo.
[…]

"Ogni angelo è tremendo": sembra quasi che la musica che accompagna le ultime inquadrature del film sottolinei questa impressione.
Quelle inquadrature sono le uniche a colori; il colore interviene inatteso dopo tre ore di bianco e nero per celebrare in tutto il suo splendore l'epifania; le bassezze dell'umanità, la vita stessa di Rublëv macchiata da un terribile peccato non potevano colorarsi di una simile magnifica luce. Il film si chiude poi con l'immagine dei cavalli, simbolo di una vita che rinasce (a causa della resurrezione); quei cavalli si contrappongono al cavallo nero del primo episodio che, rantolando a terra, simboleggiava la vita ferita.

Partendo dal concreto esempio di Rublëv intendevo indagare il problema della psicologia della creazione artistica e approfondire la condizione spirituale e i sentimenti civili dell'artista che crea valori spirituali di importanza imperitura.
Questo film avrebbe dovuto raccontare come la nostalgia popolare di fratellanza in un'epoca di feroci lotte intestine e di schiavitù tartara creò la geniale Trinità, ossia un'immagine ideale di fratellanza, d'amore e di quieta santità. Ciò costituiva l'elemento fondamentale della concezione ideologico-artistica della sceneggiatura.
Questa era costituita da una serie di episodi-novelle staccati, nei quali non sempre compare il personaggio di Rublëv. Anche in questi casi, tuttavia si doveva avvertire la vita del suo spirito, il respiro dell'atmosfera che aveva improntato di sé il suo rapporto col mondo. Queste novelle non sono collegate dalla tradizionale linea cronologica, bensì dall'interiore logica poetica della necessità per Rublëv di dipingere la sua famosa Trinità
(da Scolpire il tempo, pg. 36).

Tarkovskij aveva lavorato come apprendista geologo nelle fredde distese della Siberia e sapeva che prima dell'ascesi occorre affondare le mani nella terra, vista come madre o anche come patria (la grande madre Russia). Per questo motivo il film si apre e si chiude con due ascesi: la prima tragica del dedalo moderno e grottesco che tenta, con il suo gesto sterile e narcisista, di avvicinare il cielo con un pallone aerostatico; la seconda è quella della campana, che sale, ma che può salire e suonare solamente perché un popolo, radunato attorno ad una ragazzo improvvisatosi "genio" della fusione, si è sporcato le mani di terra (ed infatti la campana viene fusa nelle viscere della terra illuminata dall'incandescenza della fornace per poi salire, attraverso una lunga inquadratura, verso il cielo). E' la fertilità assoluta, la letizia (ossia l'appartenenza alla terra) attorno a cui il popolo disastrato da anni di invasione tartara e lo stesso Rublëv trovano la forza di riunirsi e ricostruire.

In sostanza il personaggio di Andrej Rublëv è stato costruito secondo lo schema del ritorno alla posizione iniziale che, spero, emerge dal film in maniera abbastanza involontaria dal 'libero' corso della vita, ricreato sullo schermo più o meno naturalmente e organicamente. La storia della vita di Rublëv per noi, in sostanza, è la storia di una concezione insegnata, imposta che, dopo essere bruciata nell'atmosfera della realtà vivente, risorge dalle ceneri come una verità totalmente nuova, appena svelata.
[…]
Uscito dalle mura del monastero della Trinità egli si scontra con una realtà inattesa, sconosciuta e veramente spaventosa. La tragicità di quell'epoca può essere spiegata soltanto con la necessità ormai impellente del cambiamento
(da Scolpire il tempo, pg. 84).

Rublëv viene fatto chiamare da Teofane il Greco per dipingere l'Apocalisse. Quando esce per la prima volta dal suo monastero si trova di fronte ad un mondo ostile che lui ben presto inizia a conoscere attraverso uno sguardo quasi infantile. Superbia, immoralità, paganesimo, violenza; l'uomo è minacciato da ogni parte. Al culmine di tutto questo Rublëv decide di non poter più dipingere per un'umanità tanto spietata ed offre il silenzio come riscatto del proprio peccato che, non dimentichiamo, è l'omicidio . Ma la vita e l'arte non sono né un pensiero né una dottrina, non sono il frutto diretto della conoscenza e della saggezza ma un dono consegnato all'artista senza alcun suo merito "per ricordare ai popoli di essere popoli", questo è l'errore in cui cade Kirill, un confratello invidioso di Rublëv. Il giovane fonditore rivela a Rublëv di non sapere il segreto per la costruzione delle campane: la vocazione e il genio puro riconsegnano la vita nelle mani di un popolo affranto da anni di guerre e oppressioni. Così Rublëv comprende, come in una sorta di rivelazione, di non potersi sottrarre, pur con le mani macchiate da un antico peccato, alla chiamata suprema della Verità.