Pierre Lecomte de Nouy: Un soggiorno a Lourdes

Autore:
Agnoli, Francesco
Fonte:
“Dio questo sconosciuto”, Sugarco
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Tre anni dopo Carrel, nel 1957 muore il grande scienziato Pierre Lecomte de Nouy, il quale, “avendo penetrato profondamente nella fisica dei quanta, e cioè nei segreti più riposti della materia, concludeva la sua lunga indagine nel mondo del mistero col chiedere i sacramenti della Chiesa cattolica, che del mistero gli spalancarono la porta”. Lecomte, che si è allontanato dalla Chiesa in cui era stato battezzato, è amico di Carrel, e insieme a lui si appassiona ad alcuni casi di guarigione inesplicabili; insieme a Carrel è poi all’istituto Rockefeller di New York, e da qui torna “in Francia a dirigere il reparto di biofisica dell’istituto Pasteur e collaborò con Sir William Ramsey e coi coniugi Curie… Nel 1939 raccolse le sue esperienze in un libro dal titolo ‘L’homme devant la science’, in cui si rifiutava di accettare la proposizione di Renan secondo cui la conoscenza della realtà avrebbe prodotto il crollo del soprannaturale e dello spirituale”. Pubblica poi nel 1942 ‘L’avenir de l’esprit’ che ebbe in un anno 22 edizioni, ed infine, nel 1944 ‘Destinèe humaine’.
Lecomte muore nel 1947 ricevendo i sacramenti dalle mani del padre La Farge, gesuita, e confessando che la sua gioia era stata e sarebbe stata, se possibile, “di poter emancipare gli scienziati dall’ateismo per menarli a Dio”.
Ma torniamo a Lourdes. Siamo sempre in Francia, all’incirca nella stessa epoca e nella stessa temperie culturale. Il protagonista stavolta è uno scrittore, un giornalista e un poeta, come Zola: si chiama Adolfo Rettè (1863-1930).
E’ un ateo convinto, un materialista, attratto dal buddismo, che cerca a modo suo i suoi discepoli. Sentirsi profeta è un po’ il vizio di molti non credenti: almeno in se stessi confidano; credono nella propria capacità se non di creare, di modellare e perfezionare, loro, il mondo (Igino Giordani, “I grandi convertiti”, 1945).
La sua dottrina di riferimento, la sua ricetta di salvezza, è una sorta di anarchismo individualista (“l’innesto individualista sull’albero comunista”), sempre di moda tra chi non ama riconoscersi limitato e povero, e vede invece ogni realtà esterna a se come un ostacolo alla propria realizzazione. Rettè gira per la Francia, predicando il credo positivista e denigrando la fede religiosa in generale e il cristianesimo in particolare. Parla e scrive, sui giornali, nei salotti, cercando di sfogare la sua “rabbia antireligiosa”. Cerca e vuole i suoi pulpiti, il suo motivo per vivere, imprimendo una traccia di sè, se non nell’eternità, almeno nella storia.
Un giorno, in una saletta di Fontainbleau, nel corso della solita tirata ateistica, Rettè esalta “l’attento uditorio promettendo che, in virtù della ragione e della scienza, sarebbe finalmente spuntata un’era di felicità assoluta all’insegna della totale libertà e della uguaglianza perfetta e della fratellanza senza ombre”. Lo slogan finale è semplice e chiaro: “Guerra al capitalista, guerra al soldato, guerra al prete”. Uno slogan pacifista e guerrafondaio allo stesso tempo, anch’esso tipico delle menti rivoluzionarie, fondamentalmente gnostiche e ribelli.
Ma alla fine delle conferenza, alcuni uomini si accostano a lui, per discutere, privatamente. Gli chiedono, convinti di ottenere risposta, una semplice domanda: “dal momento che il mondo non è stato creato da nessuno, noi vorremmo sapere come tutto ha avuto inizio. Di ciò la scienza deve essere informata e voi ci spiegherete quanto essa sa a tale riguardo”. Di fronte a questa semplice obiezioni Rettè vacilla: è l’obiezione più banale del mondo, eppure un intero sistema di pensiero, capace di promettere il paradiso in terra, non sa rispondere.
Rettè se ne accorge, capisce che in realtà le sue prediche non hanno fondamento: manca, semplicemente, la base su cui costruire l’edificio positivista e scientista, un edificio tra il resto, di cui si prevedono, per il futuro radioso, guglie grandiose, pinnacoli, statue, bellezze ineffabili.
Manca semplicemente il perché dei perché, il prima dei prima, l’origine di tutto. Eppure gli ascoltatori lo guardano: aspettano da lui una risposta, tanta è la loro fede. Certe domande, infatti, non si fanno per farle: sono troppo antiche e troppo nuove, sempre le stesse, da troppi secoli.
E Rettè sente dentro di sé che non può ingannarli, che non è possibile fingere. La scienza non sa, non giustifica: “dovevo dire loro che gli studiosi onesti rifiutano di affrontare il problema dell’origine del mondo? Dovevo comunicare che taluni si limitano a formulare ipotesi vaghe e che i ciarlatani del materialismo lanciano in aria, come bolidi, affermazioni categoriche, ma poco solide e poco convincenti? D’altra parte, tale questione dell’origine di tutto era un punto tenebroso sull’orizzonte del mio orgoglio e più volte avevo rifiutato di affrontarla…Rimasi qualche minuto in silenzio e poi dissi: la scienza non può spiegare come il modo ebbe inizio!”, può forse arrivare al modo, mai al perché (Angelo Comastri, “Dove è il tuo Dio?”, San Paolo).
Il dado ormai è tratto: ci sono ancora alcuni anni di lotte interiori, di vizi, di articoli intrisi d’odio e di sesso e di bestemmie alla Madonna, di canzonature al povero Huysmans, accusato di essersi convertito, ma qualche anno dopo Carrel, anche Rettè, convertito, parte per Lourdes.
La sua testimonianza è ardente e calorosa: quella di ogni convertito, senza timori e senza reverenze umane. E’ raccolta nel suo “Un soggiorno a Lourdes” (Mander, Treviso, 1912), la storia del suo pellegrinaggio a piedi sino alla cittadina francese. In esso Rettè racconta due miracoli cui dice di avere assistito, e tanti e tanti episodi di fede, per lui ancora più incredibili. Ciò che lo stupisce di più, ancora una volta, sono i miracoli meno visibili: la storia di uomini e donne che vengono a Lourdes per chiedere la grazia, e che, pur non ottenendola, rafforzano la loro fede e sopportano con più forza il loro dolore.
Nel VI capitolo del suo resoconto, Rettè analizza le varie pseudo-spiegazioni proposte dai materialisti dell’epoca al fenomeno Lourdes. Sono molto interessanti, perché dimostrano, in quanto, appunto pseudo-spiegazioni, che anche i più accaniti nemici di Lourdes riconoscono l’esistenza di strani avvenimenti che è necessario, in qualche modo, giustificare.
Lascio la parola a lui: “Gli uni dissero: E’ l’acqua delle piscine. Spiegazione la più debole: poiché, se bastasse bagnare con acqua ghiacciata un tubercoloso all’ultimo stadio, ovvero un malato affetto da carie delle ossa, per guarirlo istantaneamente, perché la medicina non ricorrerebbe a questa rudimentale terapeutica? Se si trattasse di un effetto puramente fisico, ciò che avviene a Lourdes dovrebbe avvenire da per tutto… Altri increduli si appigliano all’autosuggestione. Si risponderà loro anzitutto con questo fatto che le esperienze di Charcot, come pure quelle della scuola di Nancy, non diedero in questo senso alcun risultato comprovante. Si suggerì a persone isteriche di pigliare le carote per ananassi: non si è mai riusciti a suggerire a moribondi, colpiti di cancro o di lupus, ma immuni di malattie nervose, di guarire subitamente e completamente per uno sforzo di volontà… E i fanciulli? I lattanti di pochi mesi che non sanno ciò che da lor si vuole, che gridano e si dimenano, quando li svestono per tuffarli nella piscina, è forse per auto-suggestione che guariscono?…
Vinti anche su questo punto i materialisti mutano tattica. Il miracolo, essi dicono, si produce a Lourdes sotto l’influenza di un fluido che si sprigiona dalla folla esaltata la cui preghiera freme, piena di entusiasmo, attorno agli ammalati. E’ un effetto quasi magnetico. Questa baggianata fu adottata da Zola, uomo fecondo in cianciafruscole. Si ricorda il famoso ‘soffio sanatore delle folle’ di cui egli fece ‘la torta alla crema’ nel romanzo, pieno di mala fede, che scrisse su Lourdes.
Che molti malati fossero riconfortati, eccitati alla preghiera, dall’atmosfera di religione e di pietà che regna intorno a loro, alla Grotta… è un fatto incontestabile. Ma che le invocazioni della folla alla divina misericordia si concretino in una panacea fluida che guarisca, istantaneamente, ulcere inveterate e carie delle ossa è una spiegazione che muove al riso”.
Muoverà al riso, dico io, ma pur di non credere ai miracoli, cui credettero scienziati come Pasteur, Carrel e Lecomte, e scrittori come Rettè, Zola inventò questa spiegazione: segno, lo ripeto, che qualcosa di straordinario, come effettivamente affermò, la aveva vista anche lui!
Conclude Rettè: “Soggiogati e vinti dall’eloquenza dei fatti… reagiscono con la seguente obiezione. Ciò che agisce, nei miracoli di Lourdes, sono forze naturali tuttavia sconosciute; ma che la scienza spiegherà in un avvenire più o meno lontano”.
Ancora una volta si sfugge proiettando in un futuro lontano che ad oggi, oltre cent’anni dopo, non è ancora arrivato, il regno della scienza assoluta, infallibile, capace di rendere felice e immortale l’Umanità e di esaurire il mistero dell’uomo e di Dio attraverso qualche formula e qualche legge fisica, qualche “romanzo sperimentale”. E’ una fede anche questa, benché si cerchi di negarlo, la più irrazionale di tutte.