Alexis Carrel: scienziato convertito a Lourdes

Autore:
Agnoli, Francesco
Fonte:
“Dio questo sconosciuto”, Sugarco
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Alexis Carrel (1873-1944), invece, è un medico e uno scienziato di fama mondiale, imbevuto di spirito positivista, a cui dobbiamo vari progressi nelle tecniche di sutura dei vasi sanguigni e nelle ricerche sui trapianti di tessuti e organi essenziali per le audaci operazioni chirurgiche del nostro tempo. Studia all’Università di Digione e Lione, e nel 1900 si laurea in medicina.
Nel 1912 ottiene il premio Nobel per la medicina e la fisiologia. La sua formazione come dicevo, è positivista, e purtroppo tracce di essa rimarranno anche dopo la conversione. Infatti nel 1935 Carrel sosterrà che “criminali e malati di mente devono essere umanamente ed economicamente eliminati in piccoli istituti per l’eutanasia, forniti di gas adatti. L’eugenetica è indispensabile per perpetuare la forza… L’eugenetica può esercitare una grande influenza sul destino delle razze civilizzate; l’espandersi di pazzi e deboli di mente deve essere prevenuta perché è peggiore di qualsiasi fattore criminale. L’eugenetica chiede il sacrificio di molti singoli esseri umani”. Per noi, oggi, queste frasi suonano terribili, specie se si pensa a quanto fatto, negli stessi anni, dai nazionalsocialisti.
In realtà si tratta di una posizione diffusissima, maggioritaria, tra gli scienziati di formazione positivista di quel tempo. Ebbene Carrel è appunto uno scienziato ateo, che nel 1903 decide di recarsi a Lourdes, attratto dalle voci disparate che si rincorrono su questo straordinario paesino. Zola, che è consapevole del fatto che un solo miracolo è sufficiente a confutare l’ateismo, ha da poco scritto un romanzo, “Lourdes” (1894), in cui dinanzi a episodi inspiegabili, che in un primo tempo lo affascinano e sbalordiscono, tira in ballo tutto l’armamentario di pseudo spiegazioni tipiche degli scettici: le guarigioni sarebbero casi di autosuggestione, frutti della manipolazione mentale dei frati e delle suore, conseguenze di fluidi emanatisi da folle eccitate, episodi non spiegabili dalla scienza solo a causa dello stadio ancora arretrato degli studi medici. Quello che oggi non è razionalmente comprensibile, insomma, lo sarà domani, punto e basta.
Quello di Zola, supportato dalle logge massoniche che invocano la chiusura di Lourdes, rivolgendosi a tal fine persino al governo Combes, si rivelerà un fiasco: anche perché in breve il metodo apparentemente scientifico dell’autore, viene confutato, e si scopre che Zola ha appositamente falsificato le vicende relative ad alcune guarigioni inspiegabili.
Ebbene, proprio qualche anno dopo Zola, anche Carrel si reca a Lourdes, per studiare la faccenda, per vedere, se necessario per confutare. Non è che uno dei tantissimi medici francesi e dal resto del mondo, che arrivano in questa località e che spesso, una volta convintisi che a Lourdes succede qualcosa di miracoloso, hanno poi paura di proclamarlo ad alta voce, per non essere derisi e invisi alla cultura dominante.
Ma quello che subito stupisce Carrel non sono i miracoli della grotta: è il miracolo della fede dei malati che viaggiano con lui verso la meta. “Questo treno da pellegrinaggio, scrive, sembrava un treno di piacere, a parte le risate e i ritornelli allegri. Un parroco di campagna, dal viso bruno e scavato, correva da vettura a vettura; aveva con sé una cinquantina di montanari. Con loro viveva, mangiando un pezzo di pane e una fetta di salame e bevendo a canna dalla bottiglia”.
Riflettendo tra sé e sé, con tipico mentalità positivista, Carrel nota che “nessuna di queste creature vuole rassegnarsi a scomparire, ognuna sente in sé il bisogno di vivere, l’aspirazione a vivere. Felici quelli che credono che ci sia, al di sopra di noi, un’intelligenza, che dirige il piccolo ingranaggio della macchina e che gli impedirà d’essere schiantato dalle forze cieche”. Macchina, forze cieche: perfetto linguaggio da positivista. Infatti Carrel è convinto che “al di fuori del metodo scientifico non esisteva alcuna certezza”.
Parlando di sé stesso in terza persona, afferma: “le sue idee religiose, distrutte dall’analisi sistematica, l’avevano abbandonato… S’era allora rifugiato in un indulgente scetticismo… Ma ora, nella profondità recondite del suo pensiero sussisteva una speranza vaga, probabilmente incosciente, di afferrare i fatti che danno la certezza, la pace, l’amore… Per sapere assai poche cose - diceva tra sé - io ho distrutto in me cose molto belle”. “Sapere assai poche cose”: questa è la consapevolezza di un premio Nobel, aliena dall’arroganza di tanti scienziati e romanzieri, che farà la differenza.
I primi casi di guarigione cui Carrel si accosta, gli sembrano spiegabili con l’autosuggestione, come se da una folla in preghiera, piena di fiducia, si potesse sprigionare “una specie di fluido il quale agisce con una forza incredibile sul sistema nervoso” (la spiegazione proposta da Zola). Ma questo fluido, pensa Carrel, non può avere efficacia quando si tratta di affezioni organiche.
Ebbene Carrel ha in breve la possibilità di assistere in prima persona, in tutti i passaggi della vicenda, alla guarigione di una donna in punto di morte, affetta da tubercolosi, pleurite, e peritonite tubercolare. Di fronte ad una guarigione evidente, inspiegabile, improvvisa, Carrel si converte e rivolge d’improvviso la sua preghiera alla Madonna: “Vergine dolce, soccorrevole verso gli infelici che umilmente v’invocano, soccorretemi…”.
Nelle sue meditazioni spirituali, tra le altre cose, Carrel scriverà: “C’è una grande differenza tra Gesù di Nazareth e Newton: ed è che il precetto dell’amore reciproco è una legge infinitamente più importante della gravitazione universale” (Alexis Carrel, “Viaggio a Lourdes, Frammenti di diario”, Morcelliana, 1956).