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Giuseppe Ungaretti 8 - La poetica di Ungaretti

Fonte:
CulturaCattolica.it

Del resto è proprio nel Porto sepolto uscito in 80 esemplari a Udine mentre Ungaretti è ancora al fronte, ad opera del suo tenente Ettore Serra, che si afferma la nuova poetica che farà scuola in tutto il primo Novecento.

COMMIATO
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento

Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso.


Come commenta lo stesso Ungaretti la sua poetica della PAROLA “ scavata… come un abisso”?:

“…gli [al tenente Ettore Serra, sul fronte] raccontai che non avevo altro ristoro se non di cercarmi e di trovarmi in qualche parola, e ch’era il mio modo di progredire umanamente ...”
(NOTE – Tutte le poesie - p. 522 )

“ E se non giunsi ad adottare i rumori in libertà, uno stupore contemplativo mi avvinse in confronto alla parola la quale mi si risuscitava in tutta la sua vita millenaria, tale che provai la necessità di fermarla nel compimento, staccata in pause.(…) Nella scelta, nell’impiego e nella quantità delle parole, uomo più o meno responsabile, si svela il poeta.
Fu un raccattare i frantumi dell’orologio per provare d’intenderne il congegno, per provare di rifargli segnare il tempo.”
(Verso un’arte nuova classica, 1919)

“Questo vecchio libro è un diario.L’autore non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo.”
(premessa all’edizione dell’Allegria del 1931 e del 1936)

“La mia poesia è nata in realtà in trincea (…) la guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta, perché il tempo poteva mancare, e nel modo più tragico (…) in fretta dire quello che sentivo e quindi se dovevo dirlo in fretta lo dovevo dire con poche parole, e se lo dovevo dire con poche parole lo dovevo dire con parole che avessero avuto una intensità straordinaria di significato. E così si è trovato il mio linguaggio: poche parole piene di significato che dessero la mia situazione di quel momento: quest’uomo solo in mezzo ad altri uomini soli, in un paese nudo, terribile, di pietra, e che sentivano, tutti questi uomini, ciascuno singolarmente, la propria fragilità. E che sentivano, nello stesso tempo, nascere nel loro cuore qualche cosa che era molto più importante della guerra, che sentivano nascere affetto, amore l’uno per l’altro. E che si sentivano così piccoli come erano di fronte al pericolo, si sentivano così disarmati con tutte le loro armi, si sentivano fratelli. Ecco, questa è in fondo l’ispirazione e il mio linguaggio di quella mia poesia, la nascita della mia poesia, la nascita, la prima conquista, la conquista del valore, che può avere una semplice parola quando si arriva a colmarla del suo significato. (Ungaretti commenta Ungaretti, La fiera letteraria – 1963)

“ A volte è un lavoro lungo, che si fa in pochi momenti. Poesie brevissime mi richiedono sei mesi di lavoro, non sono mai a posto! Si seguono con l’orecchio, non si sa poi che cosa sia questo orecchio, non si sa che cosa sia…perché l’orecchio poi va dietro al significato, va dietro al suono, va dietro a tante cose…non si sa insomma…tutto deve finire col combinare e col dare la sensazione che sia espressa la poesia, no? Non si è mai espressa veramente; si è sempre scontenti no?...Si è sempre scontenti. Si vorrebbe che fosse detto diversamente ma la parola, la parola è IMPOTENTE, la parola non riuscirà mai a dare il SEGRETO che è in noi, mai…lo avvicina…” (intervista RAI, 1960)

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