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Giuseppe Ungaretti 6 - "L'allegria"

Fonte:
CulturaCattolica.it

“L’ALLEGRIA” (1914-1919)

La dura esperienza della Prima guerra mondiale, cui Ungaretti partecipa volontariamente come soldato semplice, combattendo prevalentemente in mezzo alla nuda natura del Carso, lo conduce alla scoperta drammatica della fragilità dell’uomo: un uomo provvisorio, precario, inconsistente, in balia dell’attimo.
E la sua poesia, nata in queste condizioni di precarietà e di sofferenza, è tutta percorsa da un grido: la consapevolezza della fondamentale impotenza umana e il dramma di non conoscere il senso delle cose, ma di avvertirne fortemente l’esigenza e la mancanza di una risposta.

“Il mio povero cuore/ sbigottito/ di non sapere” (PERCHE’)

“Chiuso fra cose mortali/ (Anche il cielo stellato finirà)/ Perché bramo Dio?”
(DANNAZIONE)

“Ma ben sola e ben nuda/ senza miraggio/ porto la mia anima” (PESO)

“Ma Dio cos’è/ E la creatura/ atterrita/ sbarra gli occhi “ (RISVEGLI)

“Volti al travaglio/ come una qualsiasi/ fibra creata/ perché ci lamentiamo noi?" (DESTINO)

“(…) involontaria rivolta/ dell’uomo presente alla sua/ fragilità” (FRATELLI)

“Ma le mie urla/ feriscono/ come fulmini/ la campana fioca/ del cielo/ Sprofondano/ impaurite” (SOLITUDINE)

"Si sta/ come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie” (SOLDATI)

“Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte/ Foglia appena nata” (FRATELLI)

“nella mia poesia… c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione…” (NOTE al Porto Sepolto, Tutte le poesie p. 521 )

Ma questa esperienza di fratellanza che pure il poeta sperimenta nella vita dura della guerra in prima linea, non è sufficiente a colmare la sete di “armonia” con sé, con gli altri, con le cose, che a lungo Ungaretti manifesta come domanda senza risposta.

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