Giuseppe Ungaretti 5 - L'angoscia del senza Patria
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Lettera a Prezzolini e Soffici da Parigi il 23-4-’20 da Altre poesie ritrovate (p.399 Poesie)
"Pensavo oggi, guardando questo cielo piovigginoso, che se, per un’improbabile grazia, si fosse d’improvviso alzato l’azzurro, non sarei stato colto né da stupore, né da speranza. Anche la nostalgia ha finito di persuadermi. Ho varcato tutti gli stadi dove l’uomo può ancora trovarsi una ragione di vivere.
(…)
Non sai – e chi saprà?- quest’infelicità di sentirsi abbandonato.
Abbandonato anche dalle cose; anche dalla terra, anche dal mistero delle stagioni.
Non aver prossimo; si potrebbe popolare il mondo di confidenti immaginari, ma non essere cresciuto in nessuna terra, ma non portare in nessun luogo l’aria famigliare dell’origine, ma vagare sempre in esilio.
(…)
La vita è una dura disputa mossa da guai concreti, e ci vuole un terreno nel quale attecchire, e ci vuole il caldo che maturi e odori, e ci vuole la sera che inondi di malinconia e la mattina che rinfreschi e rassereni.
Non ho che strade, strade, e strade: il grigio perfido di questo cammino senza conclusione".
Un’analoga inquietudine aveva vissuto l’amico arabo che si uccide a Parigi e a cui Ungaretti dedica
IN MEMORIA
da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perchè non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L'ho accompagnato
insieme alla padrona dell'albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa
Riposa
nel camposanto d'Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
Locvizza, il 30 settembre 1916
Di questa morte così parla Ungaretti :
“I suicidi miei coetanei si tolsero la vita per ragioni profonde, perché si sentivano lontani dalla loro civiltà, senza potersene interamente staccare e senza potere interamente appartenere ad un’altra. Altri furono suicidi per quella disperazione di chi, nato e cresciuto all’Estero, si senta sradicato dalla sua terra, e senta che in essa difficilmente potrebbe rimettere radici, a che in nessun’altra terra potrà mai mettere radici. E’ angoscia della quale non è immune la mia poesia” (p. XXVI – Tutte le poesie).
Ungaretti, pur sentendosene attratto, non cede alla tentazione di darsi la morte: la differenza è che l’amico Sceab
“non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono”.
La poesia si rivela dunque come strumento di salvezza e il poeta è la figura del salvato.