“Barabba” 5 – Lo schiavo Sahak e la seconda liberazione
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La seconda parte del romanzo, dopo un’ellissi di circa vent’anni, vede Barabba schiavo nelle miniere di rame di Cipro, incatenato con uno schiavo armeno, Sahak, convertito al cristianesimo da un altro schiavo greco. Sahak, dalle poche parole che riesce a scambiare con Barabba, viene a sapere che costui ha incontrato e visto di persona quel Rabbi di cui lui tanto aveva sentito parlare e di cui si era fatto incidere il monogramma sul retro della piastra servile.
“…Ma lo aveva visto qualche volta? Sì…lo aveva ben visto. Sahak doveva dare grande importanza al fatto che Barabba lo avesse veduto; perché, dopo un poco, domandò un’altra volta se quel che aveva detto era proprio vero. E Barabba rispose di nuovo, ma senza molto entusiasmo, che lo aveva veduto.
Sahak lasciò cadere il suo piccone (…) Tutta la galleria della miniera era come trasfigurata e nulla più aveva l’aspetto di prima. Egli era incatenato ad uno che aveva visto Dio!”
E Barabba, trascinato suo malgrado dall’entusiasmo di Sahak, acconsente a pregare anche lui e gli chiede persino di incidere sulla sua piastra quei segni misteriosi che dovevano indicare la loro appartenenza al figlio di Dio. Ma questa decisione che rende così felice Sahak, dura poco e Barabba ridiventa presto ombroso e strano e non prega più con l’amico.
Finché un giorno il nuovo sorvegliante addetto ai due schiavi, vedendo Sahak pregare, invece di punirlo si interessa a lui e alla sua fede e decide di aiutarlo ad uscire dalle miniere, da cui nessuno schiavo poteva avere la speranza di uscire vivo. Sahak accetta ben felice, riconoscendo in questo l’avvento del Regno del Risorto, ma a condizione di portare con sé anche Barabba.
Barabba il liberato riceve quindi per la seconda volta la salvezza.
I due schiavi sono condotti ora a lavorare all’aria aperta, al sole e questo li ripaga della durezza anche della nuova condizione. E Sahak, grato di questo miracolo che
“…lo aveva ricondotto al sole e ai gigli dei campi, dei quali Egli stesso aveva così stupendamente parlato…”
si lascia andare a comunicare dettagliatamente la sua fede a un piccolo schiavo, “il guercio”, che sembra esserne molto interessato anche lui e invece li denuncia al Governatore.
Il dialogo che si svolge presso la grande dimora del Governatore romano vede Sahak confermare la sua testimonianza di fede a costo della vita, e vede Barabba negare invece ogni sua appartenenza a quel Dio.
“…Io non ho Dio. (…)
Il romano lo guardò, guardò il suo viso devastato, la cicatrice sotto l’occhio e la dura, aspra bocca, che aveva ancora serbato molta della sua forza. Non vi era sguardo in quel volto…”
Barabba dunque tradisce e Sahak viene crocifisso.
“Quando Sahak venne crocifisso,Barabba se ne stava un po’ lontano, nascosto dietro alcuni cespugli d’ibisco perché l’amico sulla croce non potesse vederlo.(…)
Stette a guardarlo fisso, con gli occhi ardenti, (…) e il suo sguardo non avrebbe potuto staccarsene, se pur lo avesse voluto, e non lo voleva. (…)
Nessuno di quelli che avrebbero dovuto badare alla sua morte se ne accorse: se ne stavano a terra e giocavano ai dadi, proprio come avevano fatto quella volta, parecchio tempo innanzi. (…)
Il solo che se ne accorse fu Barabba (…) emise un gemito e cadde in ginocchio come se pregasse. (…) e certamente pianse. (…)
Così fu quando Sahak venne messo in croce e Barabba il liberato stette a vederlo.”