Il pensiero di Chesterton - La ragione 6 - Il giardino delle fate
La fiaba, il giardino delle fate non sono affatto evasioni; lungi dall'essere irreali sono più reali del reale perché sono un tentativo di dirne la verità profonda.- Autore:
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Se intendiamo rettamente il concetto di ragione, possiamo dire che l'uomo eterno, l'uomo comune, l'uomo in quanto tale è innanzitutto ragione: una creatura mossa dalla sua stessa natura di apertura all'Essere ad una ricerca inesauribile, una creatura tesa, nella sua fame insaziabile di verità, alla Verità Inestinguibile, alla verità tutta intera. Una verità parziale infatti, è menzogna; questo è il peccato che Chesterton imputa a quei suoi contemporanei che si ergevano a maestri:
“In breve, gli altri maestri erano sempre uomini di una sola idea, anche se la loro unica idea era l'universalità. [...] Trovai soltanto un credo che non poteva venir soddisfatto con una verità, ma unicamente con la Verità, fatta di un milione di tali verità, ma tuttavia una. [...] Se mi fossi fatto la mia filosofia con il mio prezioso pezzo di verità, unicamente perché me l'ero trovato io, mi sarei subito accorto che quella verità si andava deformando in falsità”. (GKC, Autobiografia, pag. 336)
L'uomo è dunque ragione che non può fermare la sua ricerca a nessuno dei risultati che consegue, una ragione sovrana che tutto interroga, ma che per il suo stesso interrogare, è posta in una condizione di attesa, una ragione che non pone limiti a ciò che dall'esperienza può venirgli, una ragione aperta a tutte le possibilità. Una ragione come una finestra aperta e illuminata e pertanto invisibile.
Questo nuovo concetto di ragione, diverso dalla ragione illuminista, Chesterton afferma di averlo rinvenuto nel giardino delle fate. Non si tratta cioè di un idea originale ma di una idea antica come l'uomo e solo da poco oscurata; essa trova documentazione innanzitutto nelle leggende e nelle fiabe che sono la prima filosofia, in quanto sono la prima visione del mondo, del bambino. La fiaba, il giardino delle fate non sono affatto evasioni; lungi dall'essere irreali sono più reali del reale perché sono un tentativo di dirne la verità profonda:
“La mia prima ed ultima filosofia, quella alla quale ho creduto con ininterrotta certezza, l'ho imparata da bambino. L'ho imparata generalmente da una nutrice: solenne e predestinata sacerdotessa della democrazia e della tradizione. Le cose in cui ho sempre creduto di più, allora ed ora, sono le cosiddette novelle delle fate: che a me sembrano cose interamente ragionevoli. Non sono fantastiche: tante altre cose, al loro confronto sono fantastiche. Al loro confronto la religione e il razionalismo sono tutt'e due anormali, sebbene la religione sia anormalmente vera e il razionalismo anormalmente falso. II paese delle fate è il soleggiato paese del senso comune”. (GKC, Ortodossia, pagg. 67-68)
E' il giardino delle fate che insegna all'uomo la corretta definizione della ragione.
Questa ragione più larga non è una invenzione di Chesterton; è semplicemente la ragione così come essa è, liberata dalle restrizioni e dalle amputazioni alle quali la tradizione filosofica derivata in vario modo dall'Illuminismo ci ha abituato. Il determinismo, che vive della illusione e dell'ansia di ricondurre tutto al meccanismo della natura e a leggi universali e necessarie, e il suo opposto, lo scetticismo, che dall'impossibilità di fondare le affermazioni della ragione conclude all'insensatezza del mondo, malgrado i loro esiti antitetici sono assimilati da questa eredità che condividono, da questa comune discendenza dalla ragione illuminista, ragione come misura di tutte le cose.