Il pensiero di Chesterton - La ragione 5 - Il cerchio e la croce
"Il circolo è, per sua natura, infinito e perfetto, ma resta fissato nelle sue dimensioni; non può essere né più grande né più piccolo. La croce, che ha nel suo centro una collisione e una contraddizione, può stendere le sue quattro braccia all'infinito senza alterare la sua forma. Per il paradosso centrale che essa contiene può crescere senza cambiare”- Autore:
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Sia il materialismo, l'evoluzionismo e tutte le altre teorie che a queste si richiamano, sia lo scetticismo rifiutano di stare davanti alla totalità del reale: il materialismo negando ciò che non può spiegare, lo scetticismo negando la possibilità di una spiegazione.
Negare alla ragione il diritto all'infinità come pieno possesso, negare che essa possa attingere al principio da cui tutto discende non conduce puramente a negare che essa possa conoscere; equivale invece ad affidarle un compito infinito. L'uomo ragionevole non potrà mai acquietarsi, il suo intelletto non potrà mai esimersi dal porsi tutte le domande che ci si può porre e dal tentare di rispondere a tutte quelle che può, proprio come il piccolo paffuto pretucolo dell'Essex che abbiamo conosciuto.
E' la ragione correttamente intesa secondo questa seconda accezione che ci urge a superare la concezione razionalistica che è una concezione ristretta della ragione, che volendo esaltarla non solo la penalizza ma la paralizza. La ragione intesa come misura del reale non può che constatare il proprio fallimento, la propria inadeguatezza al compito che si è imposta; il che equivale a dire che c'è di più nel mondo di ciò di cui essa può con le sue sole forze rendere conto; che c'è un Mistero, che essa non può spiegare né misurare e davanti al quale essa non può dunque che restare in attesa, in quell’atteggiamento di apertura costitutiva che è la sua vera natura. Negando la categoria del Mistero, la ragione nega sé stessa.
La questione radicale è dunque quale definizione di ragione noi diamo. La ragione come misura di tutte le cose, la ragione figlia dell'Illuminismo, ha per Chesterton fatto la sua corsa, ha dato ciò che poteva dare e non resta che constatarne il fallimento. La corsa a vuoto della ragione dimostra l'errore iniziale, dimostra l'errore della premessa, vale a dire la definizione di ragione che vi era implicata.
La possibilità del pensiero che è la caratteristica prima dell'umano consiste unicamente in una definizione di ragione che tenga conto non solo dei suoi limiti strutturali, ma innanzitutto del suo strutturale legame con la Verità tutta intera. Occorre una definizione di ragione che salvaguardi la sua esigenza di totalità, di esaustività, senza cadere nella trappola di identificare un particolare con il Tutto fermando la ricerca; o nella disperazione di non poter trovare nessuna verità certa. Occorre una definizione che garantisca alla ragione la possibilità di confidare nei propri risultati e nel valore delle proprie conclusioni, senza farne la misura e l'ultimo tribunale della realtà. Tale ci sembra essere la definizione della ragione come apertura all'Essere, come tensione a rendere conto della realtà secondo la totalità dei fattori che la compongono, senza censurare nulla e specialmente la parte che spetta al Mistero e al sovrannaturale. La visione del mondo del Mistico non è per nulla una rinuncia alla ragione ma un uso più largo, più comprensivo della stessa (spregiudicato, lo ha chiamato Giordani); la ragione che guarda al mondo cosi come esso è, secondo quella totalità di fattori di cui parlavamo, è lo sguardo innocente e realista che vede nel mondo il suo fondamento trascendente. E' la ragione che non negandolo, si apre al Mistero, senza tentare di ridurlo alle proprie categorie e rinchiuderlo nei propri schemi e senza neppure venire meno alla sua vocazione alla comprensione totale; una ragione che vive di una tensione inesauribile. Questo secondo modello di ragione Chesterton chiama Misticismo; la ragione non è il cerchio che deve comprendere tutto, ma una finestra spalancata su tutto. Ecco una citazione che realmente illumina questo diverso concetto di ragione che definisce gran parte della antropologia di Chesterton:
“Ci farebbe bene a volte essere come una semplice finestra: aperti, illuminati e invisibili”. (GKC, Il bello del brutto, pag. 79)
In Ortodossia egli illustra la contrapposizione di queste due opposte concezioni della ragione, la ragione come misura e la ragione come apertura, con i simboli visivi del cerchio e della croce.
“Come abbiamo preso il circolo per simbolo della ragione e della pazzia così possiamo prendere la croce come simbolo del mistero e della salute. II buddismo è centripeto; il cristianesimo è centrifugo: esso erompe. Il circolo è, per sua natura, infinito e perfetto, ma resta fissato nelle sue dimensioni; non può essere né più grande né più piccolo. La croce, che ha nel suo centro una collisione e una contraddizione, può stendere le sue quattro braccia all'infinito senza alterare la sua forma. Per il paradosso centrale che essa contiene può crescere senza cambiare”. (GKC, Ortodossia, pag. 40)
La croce, con la collisione che porta al suo centro, è il simbolo della ragione che accetta il Mistero, che accetta, basandosi sull'evidenza di ciò che vede, qualcosa che non può spiegare, comprendere, possedere. E' una ragione umile, che umilmente e tenacemente lavora al soddisfacimento delle sue esigenze di chiarezza e di esaustività, ma insieme è consapevole che queste esigenze sono in qualche modo più grandi di lei perché essa porta, in un mondo magari illimitato ma finito, un’esigenza infinita. Il bisogno strutturale della verità totale che costituisce la ragione è il marchio che testimonia la sua origine da un Infinito Oltre ("L'Insaziabile", fa dire Claudel ad un suo personaggio, "non può che derivare dall'Inestinguibile."), ed insieme il richiamo che da quello gli viene.