Il pensiero di Chesterton - L'uomo naturale e l'enigma del mondo 6 - Crusoe e gli oggetti scampati al naufragio

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Chesterton: il pensiero"

L'estraneità e la contingenza delle cose testimoniano l'esistenza di questo qualcuno o qualcosa cui va, deve andare, la nostra riconoscenza; questa riconoscenza, pur essendo un sentimento religioso, non implica necessariamente l'adesione ad una fede, che equivarrebbe a identificare il qualcuno cui essere grati. Per Chesterton in particolare fu la gratitudine a condurre alla fede, ma la gratitudine stessa nasceva dalla ragione, era una conseguenza costringente della evidenza della estraneità delle cose, di cui non noi siamo gli autori, e della insufficienza e imperfezione dell'essere che conosciamo, che implica che neppure esso può spiegare sé stesso o noi.
Dopo di essere stato per alcun tempo nelle profondità più oscure del pessimismo contemporaneo, sentii un forte impulso interiore a ribellarmi, a scacciare l'incubo ed a buttar via l'oppressione. [..] M'inventai una teoria mistica, rudimentale ed artificiosa. Era sostanzialmente questa: anche la sola esistenza, ridotta nei suoi limiti più semplici, è tanto straordinaria da essere stimolante. [...] Ero attaccato ai resti della religione con un piccolo filo di riconoscenza. Ringraziavo gli dei, quali che fossero, che potevano esistere: non, come Swinburne, perché nessuna vita viveva per sempre, ma perché qualsiasi cosa vivesse, viveva; non come Henley, per la mia anima inespugnabile (perché, sulla mia anima, non sono mai stato ottimista fino a quel punto) ma per la mia anima e per il mio corpo, anche se potevano essere espugnati. (GKC, Autobiografia, pagg. 93-94)
Anche la vita più ordinaria è meravigliosa, piena di poesia e di eroismo, quando la si guarda con gli occhi innocenti, mettendosi in quella posizione del bambino che abbiamo delineata, guardandola cioè non in base a quanto possiamo aspettarci da essa secondo nostri calcoli e progetti, ma in sé stessa, nella sua alterità e fragilità. Il modo migliore è allora quello di proiettarla contro il nero sfondo del nulla dal quale è scaturita e nel quale potrebbe tornare. Allora ogni cosa ci sembrerà importante e significativa, ci parlerà come fanno gli indizi per Padre Brown o per Gabriel Gale; e sentiremo insieme la necessità di custodire, di trattare con sollecita cura ogni frammento di realtà, ogni frammento di essere strappato al nulla. Chesterton esprime questa posizione insieme intellettuale e morale con l'esempio di Robinson Crusoe. Il romanzo di Stevenson è pieno ai suoi occhi di questa poesia delle cose (poesia dei limiti sono le sue esatte parole): ogni oggetto è di fondamentale importanza perché Robinson avrebbe potuto lasciarlo cadere in acqua; ogni particolare ha valore, significato perché trova una sua nuova utilità nel ricostruire la civiltà che egli ha perso. Nulla è inutile di quanto egli strappa al mare, tutto deve essere gelosamente custodito. Questo vale anche nel rapporto dell'uomo con la realtà; la fedeltà del patriota alle cose è giustificata da questa percezione che l'esistenza delle cose è ad ogni istante una precaria vittoria contro il nulla.
Crusoe è un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare: la parte più bella del libro è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario. Ogni utensile da cucina diviene ideale perché Crusoe avrebbe potuto lasciarlo cadere nel mare. E' un buon esercizio nelle ore vuote o cattive del giorno stare a guardare qualche cosa, il secchio del carbone o la cassetta dei libri, e pensare quanta sarebbe stata la felicità di averlo salvato e portato fuori dal vascello sommerso sull'isolotto solitario. Ma un migliore esercizio ancora è quello di rammentare come tutte le cose sono sfuggite per un pelo alla perdizione: tutto è stato salvato da un naufragio. Ogni uomo ha avuto una orribile avventura: è sfuggito alla sorte di essere un parto misterioso e prematuro come quegli infanti che non vedono la luce. (GKC, Ortodossia, pagg. 88-89)
Ancora in una poesia, Il bimbo mai nato, già contenuta nella sua prima raccolta, Chesterton sottolinea questa posizione, immaginando le accorate promesse in cui si impegna il bambino non ancora nato, purché gli sia solo concesso di nascere.